Interviste "The Intelligent Movement - Corpo, Individuo e collettività nella cultura Hip-Hop" pt.1 B-Boy Daga

Pubblicato il 11 agosto, 2024
Lettura: 23 min read
Articolo di Matteo Benacchio

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Prima Intervista a Daniele Vergos aka B-Boy Daga

Foto di Erik G

A che età hai iniziato a ballare breaking e in quale città?

Sono Daniele Vergos, in arte Daga, vengo da Siracusa, ballo dal 2002 quindi sono quasi 19 anni che pratico questa disciplina. Insomma, ho iniziato a Siracusa in un quartiere normale, diciamo, non troppo povero e non troppo ricco. Ho iniziato per caso: andavo a fare la spesa con mia mamma al supermercato, proprio così (ride), ero un ragazzino di 11 anni, 12 anni, nel parcheggio sotto questo supermercato - la SMA di Siracusa era famosa all’epoca - sotto questo parcheggio, praticamente, c'erano dei ragazzi che avevano creato una sorta di cerchio con degli scuter e avevano messo un cartone per terra, io inizialmente non avevo capito cosa stessero facendo, vedevo solo gente girare sulla testa, sulla schiena, in verticale e movimenti strani. Quando vidi questa cosa ho detto: "Ok, questo è quello che voglio fare nella vita!" Mi sono avvicinato a loro per chiedergli informazioni e all'inizio sono stati un po' schivi perché comunque tanto tempo fa non era come adesso che è molto più accessibile la comunicazione e anche la condivisione stessa, era molto riservata come cosa, e lì ci fu mio fratello Dario che mi introdusse a loro. Così, diciamo, è iniziata questa avventura.

Tuo fratello già ballava?

Mio fratello non è che ballava, però si era avvicinato all'ambiente, perché comunque andava a una scuola superiore dove la cultura hip-hop era già diffusa all'interno. Quindi, questi ragazzi che ne facevano parte conobbero mio fratello e mio fratello mi ha introdotto a loro. È stato così. Da lì, insomma, mi spiegarono qualcosa, qualche base, finché poi era sempre un andare a rivederli, a incontrarci, ad allenarci e cose così, si è instaurata dentro di me una consapevolezza sempre maggiore: era quello che volevo fare, insomma. Quindi così è nata, almeno per me.

Quindi, hai iniziato a ballare per strada?

Si, ho iniziato per strada e ho continuato a ballare per strada per almeno quattro, cinque anni. O da solo o andavo da chi era più grande di me che ne sapeva - ovviamente - di più e quindi cercavo di stare il più tempo possibile con loro per avere più informazioni, infatti, io sono cresciuto con degli ideali prettamente americani, perché comunque l'hip-hop viene da lì, anche se poi si è diffuso a macchia d'olio, quindi c'erano altre correnti, altri modi di fare il breaking, di fare l'hip-hop. Io mi sono avvicinato più alla cultura della mia città, ho conosciuto tutta una serie di persone che non ballava soltanto, ma dipingeva; cantava; suonava, c'erano una sorta di posse, così si chiamavano all'epoca, dove c'era chi scriveva, chi era DJ e passava la musica, e quindi si andava ogni tanto a queste serate che si organizzavano, noi eravamo ragazzini, ma c'era gente più grande. C'erano delle situazioni hip-hop, insomma. C'era il DJ che passava musica e la gente che ballava a destra e a sinistra, si creavano delle sfide, ma anche con gli stessi MC: prendevano il microfono, si sfidavano, vedevi un'altra realtà. Non era solamente una sfida di breaking, c'erano pure quei momenti in cui vedevi ragazzi che si sfidavano in freestyle, rappando. Fuori c'erano i ragazzi che dipingevano, era tutta una situazione particolare che a me, personalmente, attirava tantissimo. Mi sono innamorato di questa cultura e diciamo che nel tempo sono andato sempre a documentarmi e a informarmi, finché poi è diventata parte della mia vita, e uno stile di vita, insomma.

Mi hai detto che all'inizio tutti praticavano un po' tutte le discipline. Tu praticavi altre discipline hip-hop?

Ma guarda a me affascinava tutto. Come predisposizione è ovvio che a me veniva meglio fare breaking. Poi, ho provato a suonare, oppure a dipingere nel mio piccolo, era sempre amatoriale, non ero un writer o una persona brava a disegnare, quindi magari evitavo (ride). Però, si! Diciamo che magari da piccolino provi a testare un po' tutto. Adesso, ad esempio, mi affascina molto di più l'aspetto musicale, quindi mi piace ascoltare musica, passare musica. Mi sto dedicando allo scratch, a lavorare sui piatti, questa cosa mi sta piacendo molto, oltre al breaking. La musica mi affascina un sacco, quindi mi piace coltivare anche questa cosa, allo stato attuale.

Credi che questa cosa stia influenzando anche un po' il tuo breaking? Intendo, dedicarti anche al DJing?

Si, tantissimo! Hai molta più consapevolezza proprio di quello che fai. Quindi, quello che fai lo senti dentro. La musica è la chiave di tutto, perché una volta che tu entri in connessione con l'essenza e quello che è il messaggio della musica, si crea quella consapevolezza dentro di te e sai che lo stai facendo nella maniera corretta, o comunque giusta, magari non sarà perfetta, però sei nella strada giusta per poterti esprimere al meglio. È comunque una comunicazione non verbale: tu attraverso il tuo corpo esprimi movimenti, movimenti che la musica ti sta dettando e tu stai, tra virgolette, unicamente facendo da portavoce. Diciamo così.

Certo, interessante, su questa cosa ci torniamo. Prima volevo chiederti: quando sei entrato per la prima volta in una crew?

Allora, io ho avuto varie crew. Quando eravamo ragazzetti creammo una crew locale si chiamava Urban Fighter. Andammo a questo evento che si chiamava South Invasion e creammo la nostra prima crew, poi con il tempo, qualche tempo dopo, mi sembra nel 2004-2005, entrai nella famosa Dangerous Minds, che era la crew siracusana per eccellenza ed erano tutti molto più grandi di me: almeno cinque, sei anni in più di me. Mi chiesero di entrare a far parte della loro crew. Io non ci credevo ovviamente perché per me era un sogno. Questo è durato fino al 2007, perché poi ognuno ha preso la sua strada, si è sciolto il gruppo. Io avevo quattordici, quindici anni, all’inizio e ci sono stato fino ai diciassette. Poi, ho avuto un anno in cui mi sono allenato da solo, non c'era una realtà di crew stimolante per me, anche se loro erano i pionieri di Siracusa e io, infatti, mi sono sempre sentito, e mi sento tutt’ora, ancora Dangerous Minds, dentro di me. Io porto ancora i loro insegnamenti e cerco di rappresentarli. Poi, sono entrato a far parte di una crew di Roma: gli Heroes, tramite un ragazzo di Roma che venne giù. Io in realtà la presi come una opportunità perché comunque in Sicilia in quegli anni, molti partivano per Roma, cioè, Roma in quegli anni stava piena di b-boy, c'era una scena estrema e tutta Italia stava a Roma, quindi, per me è stata un’occasione maggiore per potermi spostare dalla Sicilia che, essendo un’isola, ci conoscevamo praticamente tutti e io che volevo ricercare ancora di più ho detto, "ok, proviamo". Per questo, sono andato per un periodo a Roma a conoscere i ragazzi, mi sono ambientato e ho deciso di trasferirmi lì. Sono stato dal 2009, fino al 2012. Poi, nel 2013, dopo aver conosciuto Snap, abbiamo stretto subito amicizia e avendo le stesse idee su quello che è l'hip-hop (Lo hai conosciuto a Roma? Si a Roma, lui si era trasferito a Roma per studio), ci trovammo a confrontarci su certi aspetti dell'hip-hop che praticamente erano uguali. Così, ci siamo stretti anche musicalmente, finché poi entrai in quella che è oggi la mia attuale crew: i Last Alive. Dal 2013, ne faccio parte.

Per te cosa rappresenta una crew? Qual è il tuo significato di crew?

Ha tantissimi significati per me. Quello che ti posso dire di cuore è che è la famiglia. È una famiglia, veramente. Ho vissuto varie crew, con qualsiasi crew per me era molto famiglia. Quindi, per me la crew è, oltre il rappresentare e portare avanti degli ideali comuni sull'hip-hop, instaurare quello che è la nozione di famiglia, fratellanza, condivisione di vita. È tutto, la crew è un'identità, è la tua carta di identità, fondamentalmente.

Proprio connettendomi a questo argomento, volevo farti delle domande relative a un concetto molto diffuso nel mondo hip-hop: ossia il concetto di stile. Si parla spesso di stile in tutte le discipline dell'hip-hop. Volevo chiederti, secondo te, che cos'è lo stile nel breaking e perché è così importante per un b-boy?

Lo stile non è altro che la tua impronta digitale. Rappresenta te stesso, cioè la tua persona; il tuo carattere; il tuo modo di essere; il modo in cui lo fai. Cioè, per stile qui possiamo aprire un sacco di porte, perché si può fraintendere tantissimo. Per me lo stile è sentirsi fresh. Stare sempre on point. Sentirsi bene con quello che si fa. È mettere la propria personalità in maniera originale, perché comunque se tu lo fai con concetto, con una tua visione delle cose e ne sei veramente convinto, si vede. Lo porti avanti e diventa parte di te. Quindi lo stile è il modo che tu hai di approcciarti alle cose. Lo stile per me è questo, anche il vestirsi bene, il sentirsi "fresco", il modo di fare le cose, ti dà proprio un'immagine. Una cosa che mi disse un b-boy danese, b-boy Blanka dei Mighty Zulu Kingz e FloorGangz, lui mi disse: "Un b-boy tu lo riconosci dalla sua ombra”, questa cosa mi è rimasta molto impressa. Mentre oggi tutti tendono un po' a omologarsi, tutti fanno più o meno le stesse movenze, non riconosci uno dall'altro, invece, lo stile ti identifica in quanto persona: “Okey, lui è Daniele, lui è Lorenzo”, e così via. Quel modo di fare è unico, lo stile ti rende unico. Per questo è importante lo stile per me.

Lo stile è qualcosa di personale per te?

Si, molto personale. È una cosa che tu coltivi. Più stai bene con te stesso, più lo si vede dall'esterno. Quindi, la tua identità diventa sempre maggiore. Meglio stai tu con te stesso, meglio riesci a farlo. Per me è questo, è molto importante perché ti differenzia dalla massa.

Tu mi hai parlato di diverse crew che hai avuto, e anche di diverse città, perché sei nato e cresciuto a Siracusa, poi sei andato a Roma, adesso stai vivendo a Lecce. Anche basandosi su questo, quanto pensi che le diverse crew in cui sei stato - e anche le diverse città, con le rispettive scene hip-hop - quanto credi abbiano influenzato la formazione del tuo stile? Ci sono state delle influenze, secondo te, oppure lo stile era qualcosa che si manteneva in un certo modo?

Allora, consideriamo il fatto che io avevo già ben chiara l'idea di quello che volevo diventare, nel senso, già sapevo quello che poteva piacermi e quello che poteva non piacermi, quindi il mio è stato sempre un approfondire e completarsi, in realtà. Vuoi non vuoi entrando a contatto con molte più persone, molti più b-boy, molte più realtà, vedi anche come altre persone si esprimono, quindi, tu non sei limitato nel fare il tuo e basta, hai una visione più ampia e c'è una ricerca maggiore nel fare le cose. Magari, un altro b-boy che si dedica prevalentemente ai footwork, altri che si basano sulle foundation, oppure alcuni che si concentrano solo sulla tecnica, per me è molto basato sul ballo, sul ballare. La mia è stata una ricerca molto stilistica, poi nel tempo, appunto, perché sono venuto a contatto con realtà più grandi, mi è sempre piaciuto il concetto di completezza. Per me posso ballare anche senza avere il bisogno di fare chissà quali acrobazie, anche se mi ha sempre attratto riuscire a fare, a testare, nuove cose. Cioè, mentre a Siracusa ho avuto l'imprinting su quello che è il breaking e l'hip-hop, andandolo a ricercare poi a Roma - che era parte di una scena più grande - sono venuto a contatto a realtà a 360°, e hanno dato sempre maggiore identità a quello che stavo facendo. Ha influenzato parecchio, dandomi conferme su conferme, facendolo sempre meglio.

Quindi, cambiava anche il tuo modo di ballare, entrando a contatto con queste realtà diverse?

Cambiava, cambiava perché era sempre un rinnovarsi. È come se fosse un ciclo. Finiva un ciclo e ne ripartiva un altro. Finché non diventi proprio: maestro di te stesso. Il real master. Cioè, secondo me l'obiettivo di ogni b-boy è diventare proprio un maestro del proprio stile. Non sono le competizioni. Le competizioni servono unicamente a testare quello che sei tu. Insomma, c'è chi sceglie di non farseli i battle (contest). Ognuno la vede a modo proprio. È una continuare ricerca, non c'è mai una fine reale, ma è un continuo andare avanti. Uno deve diventare proprio maestro di stile. Questa è, secondo me, la base.

Guarda, sempre legandoci a questo concetto di stile. Tu mi hai parlato della crew che diventa "una parte di identità", proprio unendo questo concetto all'aspetto pratico del breaking, pensi che la tua crew abbia delle signature moves? Dei passi o dei movimenti che sono solo vostri, o che voi riconoscete come vostri.

Sicuramente si! Magari non nei passi, ma nel modo di fare, quello si. Cioè, il modo di approccio è la nostra identità. Il modo in cui lo facciamo ci identifica come crew di b-boy. Non ci sono dei passi precisi, magari si, ci saranno dei passi che, vuoi non vuoi, stando insieme si fanno, okey, ma la nostra particolarità è che ognuno di noi è diverso, pur facendo la stessa cosa nella maniera uguale: con quel carisma; con quella energia; con quella ideologia di fare breaking. Insomma, non ci sono dei passi precisi. È proprio nel modo di approccio che abbiamo nel farlo, questo si.

Ti cambio un attimo argomento, me lo hai accennato tu prima, relativo all'ambito dei contest e del cypher. Vorrei chiederti innanzitutto: per te che cos'è il cypher, il cerchio?

Per me il cerchio è (pausa), potrei farti tanti esempi, dirti tantissime cose (ride). Fondamentalmente, è il momento in cui tu sei con te stesso. E sei con tutti. Sei con te e con tutti. Sei in connessione con tutti ed è quel momento in cui tu devi dimostrare chi sei, ma a te stesso. È come ti dicevo prima che tu dall'ombra riconosci il b-boy. Quindi, quando tu sei in un cerchio, e balli, la gente deve dire: "okey, questo è Daga", ti riconosce, ti dà un'identità. Questo è molto importante, è fondamentale. Ti dà un'identità. Ovviamente, è condivisione, tutto quello che si può dire, ma fondamentalmente, personalmente, quando entro in un cerchio cerco di far vedere il mio breaking, il mio modo di fare. La mia identità, il mio stile: "questo sono io, lo faccio così!”, capito? Questo è. Poi, si! È un modo di condivisione. Magari fai uno sharing con un altro b-boy che lo vedi e dici: “questo magari ne sa posso confrontarmi con lui”, lo sfido. Magari non lo conosco, poi diventiamo amici, ci prendiamo una birra, fuori diventiamo migliori amici, però, lì per lì si crea quella situazione a dire: "okey, e mo' chi è questo?". Magari, lo fa in una maniera che mi piace ed è proprio per questo che lo sfido: perché mi piace! Vedo che lo fa nella mia stessa maniera, ho capito che lo fa con concetto e allora voglio testare il suo concetto con il mio concetto e vediamo chi ha il concetto più giusto, nel modo di fare. Si potrebbero aprire tantissime cose, il cerchio è tutto fondamentalmente, è la base di quello che facciamo.

Tu sei anche insegnante, no? Hai corsi di breaking, da quanti anni?

Dal 2006, parecchi anni.

Eh si, parecchi anni. Per te quanto è importante insegnare ai tuoi allievi il cerchio, per l'apprendimento del b-boying?

È la prima cosa. È la prima cosa. Io quando entro in sala, la prima cosa che faccio, cioè, quando non conosco i ragazzi, la prima volta che io vedo i ragazzi e devo spiegare quello che sto andando a fare, o che cos'è l'hip-hop, che cos'è il breaking e tutto quanto, prima cosa faccio: "ragazzi, cerchio!" Lì, tutte le timidezze, tutte le insicurezze devono per forza andare via. Cioè, sono costretti a mettersi in gioco e a trovare la propria identità. Quindi, già superata questa barriera - e questo l'ho riscontrato parecchio in quasi tutte le lezioni - quando si crea il cerchio vedo i ragazzi da che sono timidi a che sprigionano una energia, escono fuori le loro persone. Quando superano questa barriera, anche lo stesso modo di spiegargli le cose cambia. Non la vedono più come un esercizio, lo vedono come: "okey, con questo passo posso creare questa cosa", lo vedono in una maniera diversa, si appassionano di più perché credono in loro stessi. Per dirti, io sono cresciuto in un'altra annata, un'altra epoca, un'altra era. Per i ragazzi, adesso, è molto importante il confronto e il farsi vedere forti e questo, magari altri sono molto più timidi, io lavoro prevalentemente su quelli, quelli più timidi, cercare di spronarli a dare il meglio. Quindi, il cerchio, oltre che essere parte integrante dell'hip-hop, e fargli capire il concetto di cerchio, di condivisioni e di tutto, è anche un modo per far sì che escano fuori le proprie identità. Ognuno è diverso a modo proprio, ognuno è una persona unica e sola, quindi è diverso dall'altro e si crea quella rarità, unica. Ogni ragazzino, o ragazzina che lo fa, lo fa nella maniera personale e quindi ritorna il concetto di stile. (pausa) È quello, si. Il cerchio è la prima cosa che faccio. Prima e dopo. Per vedere all'inizio come stanno allo stato attuale. Durante la lezione si fanno determinate cose e a fine lezione si ri-testano per creare quell'upgrade personale su ogni ragazzo. E metterlo in funzione nel cerchio.

Quindi, il cerchio tu lo strutturi sempre alla fine delle lezioni, in linea di massima?

Prima e dopo. Sia all'inizio che alla fine. Anche per calare i nervi, la tensione, cioè, uno entra e la prima cosa che fa mette la musica, vuole ballare, si riscalda un pochino, insomma è più concentrato! Perché poi nella lezione sta lì a capire come farlo meglio. Io sto lì, magari spiego qualche passo, qualche concetto, qualche cosa nel cerchio, poi gli dico: "hai visto quella cosa che hai fatto prima? Falla in questa maniera, mettila in atto in questa maniera", gli do dei consigli per farlo meglio, capito? Per quello è importante il prima, ma pure il dopo. Questa cosa funziona tantissimo.

E nel mezzo c'è la lezione.

Si, esatto. Nel mezzo c'è la lezione. Dipende, di solito io faccio lezioni molto complete. Magari ci sono giorni in cui faccio solamente toprock, solo passi in piedi, lavoro sul groove, sull'attitude, su questa cosa che è molto importante. Lavoro tanto sul come farlo. Anche perché qualsiasi cosa farai sarà sempre fatta bene se tu hai capito come farlo. Puoi fare qualsiasi cosa, ma lo farai sempre con il concetto giusto, magari potrai perfezionarlo sempre di più e avere più conoscenza di passi, fondamentalmente, o di modi di fare. Quindi, lavoro tantissimo sull'attitude, tantissimo sul groove, tantissimo sul dancing. Poi, si, c'è la parte di footwork a terra, di knowledge, di transiction freeze, tecnica, cioè gli do più chiavi possibili all'approccio con il breaking. Poi sarà al ragazzo a capire qual è la sua particolarità. Magari io sono più predisposto per il ballo, magari un altro ragazzo è più predisposto nella tecnica e si esprime meglio facendo freeze. Quindi, devo cercare di dargli la sua chiave per potersi esprimere con le sue caratteristiche. Ognuno ha un fisico diverso: chi è più sciolto, chi è meno sciolto, chi ha fatto meno streccing, chi sta un po' più chiuso nelle forme, c'è tutto un lavoro dietro che è particolare e per questo mi appassiona insegnare.

Mi hai detto che alcuni ragazzi si concentrano prevalentemente sulla tecnica, tu invece sei più concentrato sul ballo, secondo te, questi due aspetti, quanto sono separati e quanto sono uniti?

Ma in realtà noi possiamo dire tecnica pure lo stesso ballare. Pure il ballo è tecnico, anche dei passi di footwork sono tecnici, hanno delle strutture e vanno fatti in quella maniera. Sta anche lì la tecnica non solo nel semplice giro sulla testa, o power move, o freeze. Quelle si, sono tecniche per cui ci vuole forza, ci vuole esercizio, fondamentalmente. Ma come ci vuole esercizio e tecnica anche nel semplice modo di fare nel toprock, è un insieme di cose. Per me non sono separate, sono la stessa cosa. Poi, ovviamente, c'è chi pende da una parte della bilancia o l'altra e si capisce se c'è più tecnica, o meno. Secondo me bisogna trovare il giusto equilibrio tra lo stile e la tecnica, ripetendo sempre che per tecnica si intende tutto. Per questo a me piace, come ti dicevo prima, il fatto della completezza. Mi piace essere completi nella maniera corretta. Saper ballare, includendo tutto. Trovando chiavi diverse, in maniere diverse. Non mi piace esprimermi nella stessa maniera, ogni giorno sono una persona diversa, quindi cerco sempre di fare quel refresh e farlo in un'altra maniera. Testare me stesso in vari modi. Fondamentalmente è questo. Poi dipende da situazione a situazione, battle, non battle, c'è una preparazione diversa, si aprono tantissime questioni.

Guarda, ho una domanda legata proprio a questo aspetto qui: che differenza c'è tra ballare e sfidarsi - perché tu hai parlato anche di battle - in un cypher e in un contest, in una competizione organizzata?

Allora, la differenza è questa: in un cypher io non faccio vedere al mio avversario tutto quello che so fare, ci vado piano piano, lo porto nel mio mondo, non ho la cosa di fare per forza tutto. Non devo fare una performance - tra virgolette - di atletica. Nella sfida nel cerchio è molto più sui concetti, ti posso sfidare in qualsiasi modo, posso fare semplicemente toprock e sfidarti, fatto così in un battle (contest) perderesti. Io cerco sempre di avere una comunicazione, nel cerchio, con il mio avversario. Ho più libertà, lo posso fare in un'altra maniera. Hai più libertà di fare il tuo nel cerchio. Nel battle (contest) puoi avere quella mentalità, ma questa cosa non è abbastanza, perché si tende a cercare di fare l'entrata - per quello che è adesso il battle - sempre più "performante". È brutta come parola, non mi piace sinceramente, perché la reputo molto sullo sport, molto sull'atleticità, però, è diventato proprio così, nel senso, l'approccio al battle deve essere pulito, deve essere preciso, non puoi permetterti un errore. Ti condiziona molto il battle (contest), perché devi essere preciso. Devi fare le cose nella maniera più, tra virgolette, perfetta possibile. Io nel tempo, però, con la mia esperienza, quello che ho imparato è che - grazie al cerchio - sono riuscito a portare quello che è la sfida nel cerchio, nei battle. E questo per me è un obiettivo fondamentale! Perché se tu riesci a spaccare nei cerchi e riesci a restare tale anche nel battle, secondo me, sei riuscito a trovare un equilibrio perfetto. Sei diventato proprio un maestro di stile. Quando nei cerchi spacchi veramente e quello stesso modo, quell’attitudine, la riesci a portare nei battle e in tutto il resto, secondo me, vinci su tutto. C'è una differenza sostanziale, perché nel cerchio, come ti ho detto prima, si è molto più liberi, non ci sono delle regole di base, può capitare che non ti riesce una cosa, ma non succede niente: c'è un'altra entrata e continui, finché uno dei due non smette. Mentre nel contest essendo due entrate, o tre entrare, cose così, hai quelle entrate e basta. Devi cercare di bilanciare quello che fai. Scegliere appositamente le skills che andrai a fare. C'è chi si prepara le entrate, chi balla invece molto in freestyle. Ma delle signature moves ci devono sempre essere perché ti devono dare identità anche nel tuo modo di fare, si intende. Ci sono modi di fare differenti. Nel mio caso personale lavoro molto in freestyle, molto sulla musica, faccio sì che la musica mi guidi, quello che dice la musica io lo vado a fare, mettendo le mie skill, le mie cose , ovviamente, quello sempre. Cercando sempre di stare nelle regole, tra virgolette, di quello che è il concetto di battle, quindi cercando di essere sempre pulito, tecnico, stiloso, performante, tutto insieme. Mentre nel contest sei costretto a stare a determinate regole, nel cerchio sei più libero. Questo è.

Quanto è importante per un b-boy sapersi adattare alle diverse situazioni, ad esempio, a diversi tipi di cypher: più larghi, più stretti; oppure allo stesso tempo anche ai contest. Ci sono diversi tipi di contest, alcuni più underground, altri più mainstream, tu hai fatto anche il RedBull Bc One Italia, ad esempio, lo hai vinto. Quanto è importante sapersi adattare a tutte queste situazioni differenti?

Io sono riuscito negli anni a sperimentarmi in ogni sorta di jam, evento, grande o piccolo che sia. Perché lo faccio sempre a modo mio, l'importante è quello. Che sia grande o che sia piccolo, il mio modo di fare breaking è quello. Poi lo posso adattare a differenti situazioni, ci sono jam in cui fanno solamente footwork con una gamba (ride), oppure che ne so, quelli lì mascherato (ride di nuovo), uno in quei casi se la vive giocando anche, tra virgolette, si diverte. È anche giusto questo, c'è il divertirsi pure. Non è unicamente una cosa competitiva che devi stare con l'ansia, la jam ti permette di divertirti di prendertela a bene, quello che va va, basta che io porto il mio e sto okey.

Tu mi hai detto che nel tuo caso utilizzi prevalentemente il freestyle, preferisci ascoltare la musica e ballare in questo modo. Si parla spesso di un concetto: il going off. In che cosa consiste?

Mi è successo parecchie volte di avere questo going off. Succede questa cosa. Arriva un momento in cui la musica prende totalmente il controllo su di te. La musica ti entra dentro e il corpo sa già che fare, come un rubinetto, tu apri il rubinetto e l'acqua scorre. Tu non la puoi fermare. Questo concetto è il going off: quando apri il rubinetto, scorre l'acqua. Insieme alla musica, tu vai finché la musica ti porta. È quando la musica ti prende talmente tanto che riesci a esprimerti nella maniera migliore possibile e stai spaccando. Questo è il going off, per me. Riuscirsi a esprimere al meglio spaccando, trasmettendo al meglio la musica. Sempre là siamo: sulla musica, l'energia, il carisma! C’entra tantissima roba all’interno. I famosi kill the beat, quando prendi degli accenti musicali in una certa maniera. La gente va pazza, fa casino. È quello l'obiettivo, andare sul going off, entrare in quel mood ogni volta. Boom, boom, boom, boom (ripete schioccando le dita), going off, going off, going off, sempre questo!

Come ultimo argomento volevo chiederti: secondo te all'interno del mondo del breaking esiste una differenza di genere?

Parlo della questione spesso dibattuta tra i b-boy e le b-girl. Secondo me, sinceramente, forse in passato c'era questa cosa. Adesso credo che le ragazze, le b-girl, in generale, stiano ottenendo degli ottimi risultati, si stanno impegnando tantissimo. Ci sono b-girl che spaccano anche molti b-boy, prendi ad esempio Kastet, per me (ride) gli da addosso a tutti, è fortissima secondo me. Come altre b-girl, ce ne sono tante! Ce ne sono tantissime che meritano, anche tecnicamente. Mentre era vista come una cosa prettamente maschile, io vedo b-girl che anche tecnicamente sono fortissime. Fanno evoluzioni estreme, o comunque non c'è più quel limite. Prima era vista molto più sul maschile: "la ragazza che deve fare, non fa niente, è scrausa", questa era la mentalità che si poteva avere prima, cosa che per me non è mai stato così, anzi, ci sono b-girl che a me hanno inspirato tantissimo, vedi RockaFellaz; Wonda; e ce ne sono tantissime che spaccano e meritano veramente, e danno tantissimo. Secondo me è solamente un concetto sbagliato. Questa differenza tra uomini e donne nella vita stessa non sussiste. Non ci dovrebbe essere, anzi, così come per i bambini allo stesso. Non deve esserci una differenziazione, lo possono fare tutti. Magari non è per tutti, ma tutti lo possono fare. Chi è appassionato realmente può ottenere quei risultati. L'hip-hop fa per tutti, ma magari non è per tutti. Vissuto in una certa maniera, ecco.

Riguardo questa cosa che hai appena detto, per te dividere le categorie nelle competizioni organizzate: fare contest solo per b-girl, contest solo per b-boy, tu come la vedi?

Ci può stare. Ad esempio ci sono eventi che si chiamano open: che possono farli sia maschi che femmine, sia ragazzi che ragazze, e poi c'è il contest a categoria solamente per le ragazze, per testarsi tra di loro e vedere chi tra le ragazze è, magari, la più forte. Quella che spacca di più nell'evento. È giusto dare possibilità e voce alle ragazze com’è stato giusto per noi tra b-boy, però non deve essere un’esclusiva. Non è che ci deve essere solamente quello. Perché, ripeto, per me ci sono b-girl che spaccano davvero, così come b-boy. Quindi non ci dovrebbe essere discriminazione. In un uno contro uno potrebbe partecipare una b-girl e battere un b-boy. Secondo me il breaking è uno, si fa l'uno contro uno e chi vince, vince. Poi, che ci siano i contest anche solo prettamente per le ragazze, magari è una cosa in più e ci sta. È una cosa che da identità pure alle ragazze. Per esempio adesso hanno integrato nella Red Bull stessa la parte per le ragazze, adesso si sa chi spacca pure tra le ragazze. Magari le ragazze che non avevano voce adesso hanno una voce, e sempre di più ci sarà questa voce. Da cinque anni a questa parte la scena di b-girl è aumentata a dismisura. Mentre prima erano poche perché era vista come una cosa prettamente per ragazzi, oggi non c'è più questo pregiudizio, anzi, vedo ragazze che hanno molta più passione dei ragazzi. Non dovrebbe sussistere questa differenza.

All’inizio, quando ballavi a Siracusa e c'era una situazione diversa da quella che vediamo oggi - perché mi hai detto che si è trasformata nel tempo - le ragazze, in quelle circostanze, come si trovavano nella scena?

Ti dico nella mia città precisa non ce ne erano di b-girl (ride). C'era qualcuna, all'epoca si chiamano flying girls, ce n'era qualcuna, però, poi smise subito, restava sempre nell'ambiente, ma non ballava. Era molto più maschile la cosa, era molto più su noi ragazzi di quartiere e di città, non c'erano ragazze che si mettevano sulla testa, perché lo vedevano come un buttarsi a terra, o era troppo difficile, o non lo so, insomma. Adesso c'è qualche ragazza che ha intrapreso questa avventura. Però, nella mia città specifica non ci sono molte b-girl. Se ci sono io, insomma, non le conosco. (ride) A Roma, però, per dirti, che è una città molto più grande di Siracusa, le b-girl ci sono! Eccome, se ci sono! Già questa cosa a me mi ha fatto aprire, mi ha aiutato tantissimo. Magari nella mia città non c'era una scena di b-girl, non c'era qualche b-girl che dicevi: "okey, questa spacca", non c'era. Eravamo solo ragazzi, era tra di noi, questo è cambiato nel tempo.

Un'ultima domanda, se mi dovessi dire che cosa è cambiato nel corso di questi anni, perché insomma, sono vent'anni che balli, quali sono le cose che sono cambiate di più nel mondo dell'hip-hop e del breaking, secondo la tua esperienza?

Di cose ne sono cambiate parecchie, nel senso, innanzitutto sono cambiati i modi. Adesso è diventato tutto molto più commerciale, prima era una cosa underground e di nicchia, quindi non era così diffusa. Mentre prima si pensava solo a ballare e basta, ovunque, senza un fine, tu lo facevi per te, per sfogo, per passione. Adesso chi inizia a fare breaking lo fa perché deve vincere il battle, lo fa perché deve, deve, DEVE VINCERE! Se non vinci, sei fuori! Questo è così anche nella società, se non sei il numero uno non sei nessuno. Si crea questa situazione. Ma questo proprio nella società, non solo nel breaking e basta, è proprio nella società stessa e si riversa anche nel breaking. Perché l'hip-hop, per me, essendo vita, è vita anche quella che tu vivi quotidianamente, quindi, come è cambiato nella vita in questi venti anni è anche cambiato nel breaking, nell'hip-hop. Uno negli anni ha sempre cercato di mantenere l'aspetto culturale della cosa, infatti, vedi la FIDS stessa, adesso ci sono Ezio Greggio (ride) e Bonolis che mi giudicano, o mi fanno le interviste, o che ne so. Poi, magari di per sé la fanno pure nella maniera migliore possibile perché ci hanno investito tantissimi soldi e cercano di riprodurlo nella maniera migliore possibile. Però, fondamentalmente, è gente che non la conosce culturalmente la cosa. Prima c'era la jam, ti beccavi con l'amico, andavi lì per scambiarti due parole, conoscere gente, parlare, fare qualsiasi cosa, divertirsi e condividere, viversi la stessa cultura nella stessa maniera. Semplicemente vivere free, libero di fare le proprie cose, mentre adesso per sottolineare di più la cosa competitiva quello non lo vedi più come amico, ma lo vedi come un nemico e dici: "a quello gli devo spaccare il culo, ci devo andare pesante", entri in un concetto, in un meccanismo particolare. Man mano che si va avanti si tende a tergiversare verso una direzione diversa rispetto a quella che c'era prima. Ci conosciamo tutti, ovviamente ormai, vai agli eventi che ti conosci, però, adesso, se anche vai all'estero e vuoi fare un evento mentre prima era molto di condivisione, ora è molto straight to the point, dritto al punto. Non puoi permetterti errori. Adesso è molto più commerciale, molto basato sulla competizione, molto sui soldi, sui social, è diverso. Ci fanno marketing, business, è diventato un business, la gente ci fa i soldi, c'è gente che investe in questo. Ad esempio, le Olimpiadi nel 2024. Ha avuto un'evoluzione negli anni, ha preso sempre più piede, mentre prima era vista come quello che ballava per strada, adesso viene visto come un, non lo so, un atleta, una cosa di rilievo perché rappresenti la nazionale, capisci? Entri nelle fiamme gialle, diventi un finanziere, hai uno stipendio. Chi l'avrebbe mai pensata una roba del genere venti anni fa?

Questo, secondo te, ha ripercussioni sulla cultura hip-hop?

Ebbè, si! (pausa) Ha praticamente scorporato quello che è l'essenza dell'hip-hop. Ha preso solamente la parte, tra virgolette, figa della cosa e l'ha portata avanti lasciando stare tutta la cultura che c'è dietro, il modo e tutto quanto. Io non sono andato all'ultimo evento della FIDS, ma da quello che ho visto, anche se non posso parlare in prima persona, già che si faccia in un palazzetto dello sport, in quella maniera, ma non per il posto di per sé perché si può fare ovunque, anzi se il palazzetto è figo, tanto meglio, ma è il modo: le interviste, il podio, cioè il podio! IL PODIO! Ma che è il podio? Il quarto posto, la medaglia e l'attestato? Ma di che cosa stiamo parlando? Cioè, è il modo in cui lo si fa che è sbagliato in queste situazioni e la gente purtroppo, perché si tende anche a renderlo per tutti, la gente che non ne sa lo da per certo, non sa tutta la cultura che c'è dietro di ogni persona. È cambiato tutto. Magari c'è chi si adegua alla cosa e lo fa in un certo modo, come ad esempio Snap che ho apprezzato tantissimo che ha portato il suo, sono contento di questo, che lui abbia vinto per questo. Preferisco che vada qualcuno che sa quello che fa, piuttosto che vada qualcuno che non lo sa. Se ci deve essere qualcuno che deve rappresentare l'Italia all'estero, quindi mettere anche una faccia, preferisco che lo faccia qualcuno che ne sappia davvero tanto e che possa rappresentare al meglio la cosa. Nella peggiore possibile delle situazioni, al meglio possibile, capito? Tutto qui.

Abbiamo deciso di regalarvi tutte le interviste che avrebbero dovuto essere contenute all'interno del nostro libro, invece le trovate tutte completamente gratuite qui sul nostro sito. Real Hip Hop! No Doubts!

Prima Intervista a Daniele Vergos aka B-Boy Daga

Foto di Erik G

A che età hai iniziato a ballare breaking e in quale città?

Sono Daniele Vergos, in arte Daga, vengo da Siracusa, ballo dal 2002 quindi sono quasi 19 anni che pratico questa disciplina. Insomma, ho iniziato a Siracusa in un quartiere normale, diciamo, non troppo povero e non troppo ricco. Ho iniziato per caso: andavo a fare la spesa con mia mamma al supermercato, proprio così (ride), ero un ragazzino di 11 anni, 12 anni, nel parcheggio sotto questo supermercato - la SMA di Siracusa era famosa all’epoca - sotto questo parcheggio, praticamente, c'erano dei ragazzi che avevano creato una sorta di cerchio con degli scuter e avevano messo un cartone per terra, io inizialmente non avevo capito cosa stessero facendo, vedevo solo gente girare sulla testa, sulla schiena, in verticale e movimenti strani. Quando vidi questa cosa ho detto: "Ok, questo è quello che voglio fare nella vita!" Mi sono avvicinato a loro per chiedergli informazioni e all'inizio sono stati un po' schivi perché comunque tanto tempo fa non era come adesso che è molto più accessibile la comunicazione e anche la condivisione stessa, era molto riservata come cosa, e lì ci fu mio fratello Dario che mi introdusse a loro. Così, diciamo, è iniziata questa avventura.

Tuo fratello già ballava?

Mio fratello non è che ballava, però si era avvicinato all'ambiente, perché comunque andava a una scuola superiore dove la cultura hip-hop era già diffusa all'interno. Quindi, questi ragazzi che ne facevano parte conobbero mio fratello e mio fratello mi ha introdotto a loro. È stato così. Da lì, insomma, mi spiegarono qualcosa, qualche base, finché poi era sempre un andare a rivederli, a incontrarci, ad allenarci e cose così, si è instaurata dentro di me una consapevolezza sempre maggiore: era quello che volevo fare, insomma. Quindi così è nata, almeno per me.

Quindi, hai iniziato a ballare per strada?

Si, ho iniziato per strada e ho continuato a ballare per strada per almeno quattro, cinque anni. O da solo o andavo da chi era più grande di me che ne sapeva - ovviamente - di più e quindi cercavo di stare il più tempo possibile con loro per avere più informazioni, infatti, io sono cresciuto con degli ideali prettamente americani, perché comunque l'hip-hop viene da lì, anche se poi si è diffuso a macchia d'olio, quindi c'erano altre correnti, altri modi di fare il breaking, di fare l'hip-hop. Io mi sono avvicinato più alla cultura della mia città, ho conosciuto tutta una serie di persone che non ballava soltanto, ma dipingeva; cantava; suonava, c'erano una sorta di posse, così si chiamavano all'epoca, dove c'era chi scriveva, chi era DJ e passava la musica, e quindi si andava ogni tanto a queste serate che si organizzavano, noi eravamo ragazzini, ma c'era gente più grande. C'erano delle situazioni hip-hop, insomma. C'era il DJ che passava musica e la gente che ballava a destra e a sinistra, si creavano delle sfide, ma anche con gli stessi MC: prendevano il microfono, si sfidavano, vedevi un'altra realtà. Non era solamente una sfida di breaking, c'erano pure quei momenti in cui vedevi ragazzi che si sfidavano in freestyle, rappando. Fuori c'erano i ragazzi che dipingevano, era tutta una situazione particolare che a me, personalmente, attirava tantissimo. Mi sono innamorato di questa cultura e diciamo che nel tempo sono andato sempre a documentarmi e a informarmi, finché poi è diventata parte della mia vita, e uno stile di vita, insomma.

Mi hai detto che all'inizio tutti praticavano un po' tutte le discipline. Tu praticavi altre discipline hip-hop?

Ma guarda a me affascinava tutto. Come predisposizione è ovvio che a me veniva meglio fare breaking. Poi, ho provato a suonare, oppure a dipingere nel mio piccolo, era sempre amatoriale, non ero un writer o una persona brava a disegnare, quindi magari evitavo (ride). Però, si! Diciamo che magari da piccolino provi a testare un po' tutto. Adesso, ad esempio, mi affascina molto di più l'aspetto musicale, quindi mi piace ascoltare musica, passare musica. Mi sto dedicando allo scratch, a lavorare sui piatti, questa cosa mi sta piacendo molto, oltre al breaking. La musica mi affascina un sacco, quindi mi piace coltivare anche questa cosa, allo stato attuale.

Credi che questa cosa stia influenzando anche un po' il tuo breaking? Intendo, dedicarti anche al DJing?

Si, tantissimo! Hai molta più consapevolezza proprio di quello che fai. Quindi, quello che fai lo senti dentro. La musica è la chiave di tutto, perché una volta che tu entri in connessione con l'essenza e quello che è il messaggio della musica, si crea quella consapevolezza dentro di te e sai che lo stai facendo nella maniera corretta, o comunque giusta, magari non sarà perfetta, però sei nella strada giusta per poterti esprimere al meglio. È comunque una comunicazione non verbale: tu attraverso il tuo corpo esprimi movimenti, movimenti che la musica ti sta dettando e tu stai, tra virgolette, unicamente facendo da portavoce. Diciamo così.

Certo, interessante, su questa cosa ci torniamo. Prima volevo chiederti: quando sei entrato per la prima volta in una crew?

Allora, io ho avuto varie crew. Quando eravamo ragazzetti creammo una crew locale si chiamava Urban Fighter. Andammo a questo evento che si chiamava South Invasion e creammo la nostra prima crew, poi con il tempo, qualche tempo dopo, mi sembra nel 2004-2005, entrai nella famosa Dangerous Minds, che era la crew siracusana per eccellenza ed erano tutti molto più grandi di me: almeno cinque, sei anni in più di me. Mi chiesero di entrare a far parte della loro crew. Io non ci credevo ovviamente perché per me era un sogno. Questo è durato fino al 2007, perché poi ognuno ha preso la sua strada, si è sciolto il gruppo. Io avevo quattordici, quindici anni, all’inizio e ci sono stato fino ai diciassette. Poi, ho avuto un anno in cui mi sono allenato da solo, non c'era una realtà di crew stimolante per me, anche se loro erano i pionieri di Siracusa e io, infatti, mi sono sempre sentito, e mi sento tutt’ora, ancora Dangerous Minds, dentro di me. Io porto ancora i loro insegnamenti e cerco di rappresentarli. Poi, sono entrato a far parte di una crew di Roma: gli Heroes, tramite un ragazzo di Roma che venne giù. Io in realtà la presi come una opportunità perché comunque in Sicilia in quegli anni, molti partivano per Roma, cioè, Roma in quegli anni stava piena di b-boy, c'era una scena estrema e tutta Italia stava a Roma, quindi, per me è stata un’occasione maggiore per potermi spostare dalla Sicilia che, essendo un’isola, ci conoscevamo praticamente tutti e io che volevo ricercare ancora di più ho detto, "ok, proviamo". Per questo, sono andato per un periodo a Roma a conoscere i ragazzi, mi sono ambientato e ho deciso di trasferirmi lì. Sono stato dal 2009, fino al 2012. Poi, nel 2013, dopo aver conosciuto Snap, abbiamo stretto subito amicizia e avendo le stesse idee su quello che è l'hip-hop (Lo hai conosciuto a Roma? Si a Roma, lui si era trasferito a Roma per studio), ci trovammo a confrontarci su certi aspetti dell'hip-hop che praticamente erano uguali. Così, ci siamo stretti anche musicalmente, finché poi entrai in quella che è oggi la mia attuale crew: i Last Alive. Dal 2013, ne faccio parte.

Per te cosa rappresenta una crew? Qual è il tuo significato di crew?

Ha tantissimi significati per me. Quello che ti posso dire di cuore è che è la famiglia. È una famiglia, veramente. Ho vissuto varie crew, con qualsiasi crew per me era molto famiglia. Quindi, per me la crew è, oltre il rappresentare e portare avanti degli ideali comuni sull'hip-hop, instaurare quello che è la nozione di famiglia, fratellanza, condivisione di vita. È tutto, la crew è un'identità, è la tua carta di identità, fondamentalmente.

Proprio connettendomi a questo argomento, volevo farti delle domande relative a un concetto molto diffuso nel mondo hip-hop: ossia il concetto di stile. Si parla spesso di stile in tutte le discipline dell'hip-hop. Volevo chiederti, secondo te, che cos'è lo stile nel breaking e perché è così importante per un b-boy?

Lo stile non è altro che la tua impronta digitale. Rappresenta te stesso, cioè la tua persona; il tuo carattere; il tuo modo di essere; il modo in cui lo fai. Cioè, per stile qui possiamo aprire un sacco di porte, perché si può fraintendere tantissimo. Per me lo stile è sentirsi fresh. Stare sempre on point. Sentirsi bene con quello che si fa. È mettere la propria personalità in maniera originale, perché comunque se tu lo fai con concetto, con una tua visione delle cose e ne sei veramente convinto, si vede. Lo porti avanti e diventa parte di te. Quindi lo stile è il modo che tu hai di approcciarti alle cose. Lo stile per me è questo, anche il vestirsi bene, il sentirsi "fresco", il modo di fare le cose, ti dà proprio un'immagine. Una cosa che mi disse un b-boy danese, b-boy Blanka dei Mighty Zulu Kingz e FloorGangz, lui mi disse: "Un b-boy tu lo riconosci dalla sua ombra”, questa cosa mi è rimasta molto impressa. Mentre oggi tutti tendono un po' a omologarsi, tutti fanno più o meno le stesse movenze, non riconosci uno dall'altro, invece, lo stile ti identifica in quanto persona: “Okey, lui è Daniele, lui è Lorenzo”, e così via. Quel modo di fare è unico, lo stile ti rende unico. Per questo è importante lo stile per me.

Lo stile è qualcosa di personale per te?

Si, molto personale. È una cosa che tu coltivi. Più stai bene con te stesso, più lo si vede dall'esterno. Quindi, la tua identità diventa sempre maggiore. Meglio stai tu con te stesso, meglio riesci a farlo. Per me è questo, è molto importante perché ti differenzia dalla massa.

Tu mi hai parlato di diverse crew che hai avuto, e anche di diverse città, perché sei nato e cresciuto a Siracusa, poi sei andato a Roma, adesso stai vivendo a Lecce. Anche basandosi su questo, quanto pensi che le diverse crew in cui sei stato - e anche le diverse città, con le rispettive scene hip-hop - quanto credi abbiano influenzato la formazione del tuo stile? Ci sono state delle influenze, secondo te, oppure lo stile era qualcosa che si manteneva in un certo modo?

Allora, consideriamo il fatto che io avevo già ben chiara l'idea di quello che volevo diventare, nel senso, già sapevo quello che poteva piacermi e quello che poteva non piacermi, quindi il mio è stato sempre un approfondire e completarsi, in realtà. Vuoi non vuoi entrando a contatto con molte più persone, molti più b-boy, molte più realtà, vedi anche come altre persone si esprimono, quindi, tu non sei limitato nel fare il tuo e basta, hai una visione più ampia e c'è una ricerca maggiore nel fare le cose. Magari, un altro b-boy che si dedica prevalentemente ai footwork, altri che si basano sulle foundation, oppure alcuni che si concentrano solo sulla tecnica, per me è molto basato sul ballo, sul ballare. La mia è stata una ricerca molto stilistica, poi nel tempo, appunto, perché sono venuto a contatto con realtà più grandi, mi è sempre piaciuto il concetto di completezza. Per me posso ballare anche senza avere il bisogno di fare chissà quali acrobazie, anche se mi ha sempre attratto riuscire a fare, a testare, nuove cose. Cioè, mentre a Siracusa ho avuto l'imprinting su quello che è il breaking e l'hip-hop, andandolo a ricercare poi a Roma - che era parte di una scena più grande - sono venuto a contatto a realtà a 360°, e hanno dato sempre maggiore identità a quello che stavo facendo. Ha influenzato parecchio, dandomi conferme su conferme, facendolo sempre meglio.

Quindi, cambiava anche il tuo modo di ballare, entrando a contatto con queste realtà diverse?

Cambiava, cambiava perché era sempre un rinnovarsi. È come se fosse un ciclo. Finiva un ciclo e ne ripartiva un altro. Finché non diventi proprio: maestro di te stesso. Il real master. Cioè, secondo me l'obiettivo di ogni b-boy è diventare proprio un maestro del proprio stile. Non sono le competizioni. Le competizioni servono unicamente a testare quello che sei tu. Insomma, c'è chi sceglie di non farseli i battle (contest). Ognuno la vede a modo proprio. È una continuare ricerca, non c'è mai una fine reale, ma è un continuo andare avanti. Uno deve diventare proprio maestro di stile. Questa è, secondo me, la base.

Guarda, sempre legandoci a questo concetto di stile. Tu mi hai parlato della crew che diventa "una parte di identità", proprio unendo questo concetto all'aspetto pratico del breaking, pensi che la tua crew abbia delle signature moves? Dei passi o dei movimenti che sono solo vostri, o che voi riconoscete come vostri.

Sicuramente si! Magari non nei passi, ma nel modo di fare, quello si. Cioè, il modo di approccio è la nostra identità. Il modo in cui lo facciamo ci identifica come crew di b-boy. Non ci sono dei passi precisi, magari si, ci saranno dei passi che, vuoi non vuoi, stando insieme si fanno, okey, ma la nostra particolarità è che ognuno di noi è diverso, pur facendo la stessa cosa nella maniera uguale: con quel carisma; con quella energia; con quella ideologia di fare breaking. Insomma, non ci sono dei passi precisi. È proprio nel modo di approccio che abbiamo nel farlo, questo si.

Ti cambio un attimo argomento, me lo hai accennato tu prima, relativo all'ambito dei contest e del cypher. Vorrei chiederti innanzitutto: per te che cos'è il cypher, il cerchio?

Per me il cerchio è (pausa), potrei farti tanti esempi, dirti tantissime cose (ride). Fondamentalmente, è il momento in cui tu sei con te stesso. E sei con tutti. Sei con te e con tutti. Sei in connessione con tutti ed è quel momento in cui tu devi dimostrare chi sei, ma a te stesso. È come ti dicevo prima che tu dall'ombra riconosci il b-boy. Quindi, quando tu sei in un cerchio, e balli, la gente deve dire: "okey, questo è Daga", ti riconosce, ti dà un'identità. Questo è molto importante, è fondamentale. Ti dà un'identità. Ovviamente, è condivisione, tutto quello che si può dire, ma fondamentalmente, personalmente, quando entro in un cerchio cerco di far vedere il mio breaking, il mio modo di fare. La mia identità, il mio stile: "questo sono io, lo faccio così!”, capito? Questo è. Poi, si! È un modo di condivisione. Magari fai uno sharing con un altro b-boy che lo vedi e dici: “questo magari ne sa posso confrontarmi con lui”, lo sfido. Magari non lo conosco, poi diventiamo amici, ci prendiamo una birra, fuori diventiamo migliori amici, però, lì per lì si crea quella situazione a dire: "okey, e mo' chi è questo?". Magari, lo fa in una maniera che mi piace ed è proprio per questo che lo sfido: perché mi piace! Vedo che lo fa nella mia stessa maniera, ho capito che lo fa con concetto e allora voglio testare il suo concetto con il mio concetto e vediamo chi ha il concetto più giusto, nel modo di fare. Si potrebbero aprire tantissime cose, il cerchio è tutto fondamentalmente, è la base di quello che facciamo.

Tu sei anche insegnante, no? Hai corsi di breaking, da quanti anni?

Dal 2006, parecchi anni.

Eh si, parecchi anni. Per te quanto è importante insegnare ai tuoi allievi il cerchio, per l'apprendimento del b-boying?

È la prima cosa. È la prima cosa. Io quando entro in sala, la prima cosa che faccio, cioè, quando non conosco i ragazzi, la prima volta che io vedo i ragazzi e devo spiegare quello che sto andando a fare, o che cos'è l'hip-hop, che cos'è il breaking e tutto quanto, prima cosa faccio: "ragazzi, cerchio!" Lì, tutte le timidezze, tutte le insicurezze devono per forza andare via. Cioè, sono costretti a mettersi in gioco e a trovare la propria identità. Quindi, già superata questa barriera - e questo l'ho riscontrato parecchio in quasi tutte le lezioni - quando si crea il cerchio vedo i ragazzi da che sono timidi a che sprigionano una energia, escono fuori le loro persone. Quando superano questa barriera, anche lo stesso modo di spiegargli le cose cambia. Non la vedono più come un esercizio, lo vedono come: "okey, con questo passo posso creare questa cosa", lo vedono in una maniera diversa, si appassionano di più perché credono in loro stessi. Per dirti, io sono cresciuto in un'altra annata, un'altra epoca, un'altra era. Per i ragazzi, adesso, è molto importante il confronto e il farsi vedere forti e questo, magari altri sono molto più timidi, io lavoro prevalentemente su quelli, quelli più timidi, cercare di spronarli a dare il meglio. Quindi, il cerchio, oltre che essere parte integrante dell'hip-hop, e fargli capire il concetto di cerchio, di condivisioni e di tutto, è anche un modo per far sì che escano fuori le proprie identità. Ognuno è diverso a modo proprio, ognuno è una persona unica e sola, quindi è diverso dall'altro e si crea quella rarità, unica. Ogni ragazzino, o ragazzina che lo fa, lo fa nella maniera personale e quindi ritorna il concetto di stile. (pausa) È quello, si. Il cerchio è la prima cosa che faccio. Prima e dopo. Per vedere all'inizio come stanno allo stato attuale. Durante la lezione si fanno determinate cose e a fine lezione si ri-testano per creare quell'upgrade personale su ogni ragazzo. E metterlo in funzione nel cerchio.

Quindi, il cerchio tu lo strutturi sempre alla fine delle lezioni, in linea di massima?

Prima e dopo. Sia all'inizio che alla fine. Anche per calare i nervi, la tensione, cioè, uno entra e la prima cosa che fa mette la musica, vuole ballare, si riscalda un pochino, insomma è più concentrato! Perché poi nella lezione sta lì a capire come farlo meglio. Io sto lì, magari spiego qualche passo, qualche concetto, qualche cosa nel cerchio, poi gli dico: "hai visto quella cosa che hai fatto prima? Falla in questa maniera, mettila in atto in questa maniera", gli do dei consigli per farlo meglio, capito? Per quello è importante il prima, ma pure il dopo. Questa cosa funziona tantissimo.

E nel mezzo c'è la lezione.

Si, esatto. Nel mezzo c'è la lezione. Dipende, di solito io faccio lezioni molto complete. Magari ci sono giorni in cui faccio solamente toprock, solo passi in piedi, lavoro sul groove, sull'attitude, su questa cosa che è molto importante. Lavoro tanto sul come farlo. Anche perché qualsiasi cosa farai sarà sempre fatta bene se tu hai capito come farlo. Puoi fare qualsiasi cosa, ma lo farai sempre con il concetto giusto, magari potrai perfezionarlo sempre di più e avere più conoscenza di passi, fondamentalmente, o di modi di fare. Quindi, lavoro tantissimo sull'attitude, tantissimo sul groove, tantissimo sul dancing. Poi, si, c'è la parte di footwork a terra, di knowledge, di transiction freeze, tecnica, cioè gli do più chiavi possibili all'approccio con il breaking. Poi sarà al ragazzo a capire qual è la sua particolarità. Magari io sono più predisposto per il ballo, magari un altro ragazzo è più predisposto nella tecnica e si esprime meglio facendo freeze. Quindi, devo cercare di dargli la sua chiave per potersi esprimere con le sue caratteristiche. Ognuno ha un fisico diverso: chi è più sciolto, chi è meno sciolto, chi ha fatto meno streccing, chi sta un po' più chiuso nelle forme, c'è tutto un lavoro dietro che è particolare e per questo mi appassiona insegnare.

Mi hai detto che alcuni ragazzi si concentrano prevalentemente sulla tecnica, tu invece sei più concentrato sul ballo, secondo te, questi due aspetti, quanto sono separati e quanto sono uniti?

Ma in realtà noi possiamo dire tecnica pure lo stesso ballare. Pure il ballo è tecnico, anche dei passi di footwork sono tecnici, hanno delle strutture e vanno fatti in quella maniera. Sta anche lì la tecnica non solo nel semplice giro sulla testa, o power move, o freeze. Quelle si, sono tecniche per cui ci vuole forza, ci vuole esercizio, fondamentalmente. Ma come ci vuole esercizio e tecnica anche nel semplice modo di fare nel toprock, è un insieme di cose. Per me non sono separate, sono la stessa cosa. Poi, ovviamente, c'è chi pende da una parte della bilancia o l'altra e si capisce se c'è più tecnica, o meno. Secondo me bisogna trovare il giusto equilibrio tra lo stile e la tecnica, ripetendo sempre che per tecnica si intende tutto. Per questo a me piace, come ti dicevo prima, il fatto della completezza. Mi piace essere completi nella maniera corretta. Saper ballare, includendo tutto. Trovando chiavi diverse, in maniere diverse. Non mi piace esprimermi nella stessa maniera, ogni giorno sono una persona diversa, quindi cerco sempre di fare quel refresh e farlo in un'altra maniera. Testare me stesso in vari modi. Fondamentalmente è questo. Poi dipende da situazione a situazione, battle, non battle, c'è una preparazione diversa, si aprono tantissime questioni.

Guarda, ho una domanda legata proprio a questo aspetto qui: che differenza c'è tra ballare e sfidarsi - perché tu hai parlato anche di battle - in un cypher e in un contest, in una competizione organizzata?

Allora, la differenza è questa: in un cypher io non faccio vedere al mio avversario tutto quello che so fare, ci vado piano piano, lo porto nel mio mondo, non ho la cosa di fare per forza tutto. Non devo fare una performance - tra virgolette - di atletica. Nella sfida nel cerchio è molto più sui concetti, ti posso sfidare in qualsiasi modo, posso fare semplicemente toprock e sfidarti, fatto così in un battle (contest) perderesti. Io cerco sempre di avere una comunicazione, nel cerchio, con il mio avversario. Ho più libertà, lo posso fare in un'altra maniera. Hai più libertà di fare il tuo nel cerchio. Nel battle (contest) puoi avere quella mentalità, ma questa cosa non è abbastanza, perché si tende a cercare di fare l'entrata - per quello che è adesso il battle - sempre più "performante". È brutta come parola, non mi piace sinceramente, perché la reputo molto sullo sport, molto sull'atleticità, però, è diventato proprio così, nel senso, l'approccio al battle deve essere pulito, deve essere preciso, non puoi permetterti un errore. Ti condiziona molto il battle (contest), perché devi essere preciso. Devi fare le cose nella maniera più, tra virgolette, perfetta possibile. Io nel tempo, però, con la mia esperienza, quello che ho imparato è che - grazie al cerchio - sono riuscito a portare quello che è la sfida nel cerchio, nei battle. E questo per me è un obiettivo fondamentale! Perché se tu riesci a spaccare nei cerchi e riesci a restare tale anche nel battle, secondo me, sei riuscito a trovare un equilibrio perfetto. Sei diventato proprio un maestro di stile. Quando nei cerchi spacchi veramente e quello stesso modo, quell’attitudine, la riesci a portare nei battle e in tutto il resto, secondo me, vinci su tutto. C'è una differenza sostanziale, perché nel cerchio, come ti ho detto prima, si è molto più liberi, non ci sono delle regole di base, può capitare che non ti riesce una cosa, ma non succede niente: c'è un'altra entrata e continui, finché uno dei due non smette. Mentre nel contest essendo due entrate, o tre entrare, cose così, hai quelle entrate e basta. Devi cercare di bilanciare quello che fai. Scegliere appositamente le skills che andrai a fare. C'è chi si prepara le entrate, chi balla invece molto in freestyle. Ma delle signature moves ci devono sempre essere perché ti devono dare identità anche nel tuo modo di fare, si intende. Ci sono modi di fare differenti. Nel mio caso personale lavoro molto in freestyle, molto sulla musica, faccio sì che la musica mi guidi, quello che dice la musica io lo vado a fare, mettendo le mie skill, le mie cose , ovviamente, quello sempre. Cercando sempre di stare nelle regole, tra virgolette, di quello che è il concetto di battle, quindi cercando di essere sempre pulito, tecnico, stiloso, performante, tutto insieme. Mentre nel contest sei costretto a stare a determinate regole, nel cerchio sei più libero. Questo è.

Quanto è importante per un b-boy sapersi adattare alle diverse situazioni, ad esempio, a diversi tipi di cypher: più larghi, più stretti; oppure allo stesso tempo anche ai contest. Ci sono diversi tipi di contest, alcuni più underground, altri più mainstream, tu hai fatto anche il RedBull Bc One Italia, ad esempio, lo hai vinto. Quanto è importante sapersi adattare a tutte queste situazioni differenti?

Io sono riuscito negli anni a sperimentarmi in ogni sorta di jam, evento, grande o piccolo che sia. Perché lo faccio sempre a modo mio, l'importante è quello. Che sia grande o che sia piccolo, il mio modo di fare breaking è quello. Poi lo posso adattare a differenti situazioni, ci sono jam in cui fanno solamente footwork con una gamba (ride), oppure che ne so, quelli lì mascherato (ride di nuovo), uno in quei casi se la vive giocando anche, tra virgolette, si diverte. È anche giusto questo, c'è il divertirsi pure. Non è unicamente una cosa competitiva che devi stare con l'ansia, la jam ti permette di divertirti di prendertela a bene, quello che va va, basta che io porto il mio e sto okey.

Tu mi hai detto che nel tuo caso utilizzi prevalentemente il freestyle, preferisci ascoltare la musica e ballare in questo modo. Si parla spesso di un concetto: il going off. In che cosa consiste?

Mi è successo parecchie volte di avere questo going off. Succede questa cosa. Arriva un momento in cui la musica prende totalmente il controllo su di te. La musica ti entra dentro e il corpo sa già che fare, come un rubinetto, tu apri il rubinetto e l'acqua scorre. Tu non la puoi fermare. Questo concetto è il going off: quando apri il rubinetto, scorre l'acqua. Insieme alla musica, tu vai finché la musica ti porta. È quando la musica ti prende talmente tanto che riesci a esprimerti nella maniera migliore possibile e stai spaccando. Questo è il going off, per me. Riuscirsi a esprimere al meglio spaccando, trasmettendo al meglio la musica. Sempre là siamo: sulla musica, l'energia, il carisma! C’entra tantissima roba all’interno. I famosi kill the beat, quando prendi degli accenti musicali in una certa maniera. La gente va pazza, fa casino. È quello l'obiettivo, andare sul going off, entrare in quel mood ogni volta. Boom, boom, boom, boom (ripete schioccando le dita), going off, going off, going off, sempre questo!

Come ultimo argomento volevo chiederti: secondo te all'interno del mondo del breaking esiste una differenza di genere?

Parlo della questione spesso dibattuta tra i b-boy e le b-girl. Secondo me, sinceramente, forse in passato c'era questa cosa. Adesso credo che le ragazze, le b-girl, in generale, stiano ottenendo degli ottimi risultati, si stanno impegnando tantissimo. Ci sono b-girl che spaccano anche molti b-boy, prendi ad esempio Kastet, per me (ride) gli da addosso a tutti, è fortissima secondo me. Come altre b-girl, ce ne sono tante! Ce ne sono tantissime che meritano, anche tecnicamente. Mentre era vista come una cosa prettamente maschile, io vedo b-girl che anche tecnicamente sono fortissime. Fanno evoluzioni estreme, o comunque non c'è più quel limite. Prima era vista molto più sul maschile: "la ragazza che deve fare, non fa niente, è scrausa", questa era la mentalità che si poteva avere prima, cosa che per me non è mai stato così, anzi, ci sono b-girl che a me hanno inspirato tantissimo, vedi RockaFellaz; Wonda; e ce ne sono tantissime che spaccano e meritano veramente, e danno tantissimo. Secondo me è solamente un concetto sbagliato. Questa differenza tra uomini e donne nella vita stessa non sussiste. Non ci dovrebbe essere, anzi, così come per i bambini allo stesso. Non deve esserci una differenziazione, lo possono fare tutti. Magari non è per tutti, ma tutti lo possono fare. Chi è appassionato realmente può ottenere quei risultati. L'hip-hop fa per tutti, ma magari non è per tutti. Vissuto in una certa maniera, ecco.

Riguardo questa cosa che hai appena detto, per te dividere le categorie nelle competizioni organizzate: fare contest solo per b-girl, contest solo per b-boy, tu come la vedi?

Ci può stare. Ad esempio ci sono eventi che si chiamano open: che possono farli sia maschi che femmine, sia ragazzi che ragazze, e poi c'è il contest a categoria solamente per le ragazze, per testarsi tra di loro e vedere chi tra le ragazze è, magari, la più forte. Quella che spacca di più nell'evento. È giusto dare possibilità e voce alle ragazze com’è stato giusto per noi tra b-boy, però non deve essere un’esclusiva. Non è che ci deve essere solamente quello. Perché, ripeto, per me ci sono b-girl che spaccano davvero, così come b-boy. Quindi non ci dovrebbe essere discriminazione. In un uno contro uno potrebbe partecipare una b-girl e battere un b-boy. Secondo me il breaking è uno, si fa l'uno contro uno e chi vince, vince. Poi, che ci siano i contest anche solo prettamente per le ragazze, magari è una cosa in più e ci sta. È una cosa che da identità pure alle ragazze. Per esempio adesso hanno integrato nella Red Bull stessa la parte per le ragazze, adesso si sa chi spacca pure tra le ragazze. Magari le ragazze che non avevano voce adesso hanno una voce, e sempre di più ci sarà questa voce. Da cinque anni a questa parte la scena di b-girl è aumentata a dismisura. Mentre prima erano poche perché era vista come una cosa prettamente per ragazzi, oggi non c'è più questo pregiudizio, anzi, vedo ragazze che hanno molta più passione dei ragazzi. Non dovrebbe sussistere questa differenza.

All’inizio, quando ballavi a Siracusa e c'era una situazione diversa da quella che vediamo oggi - perché mi hai detto che si è trasformata nel tempo - le ragazze, in quelle circostanze, come si trovavano nella scena?

Ti dico nella mia città precisa non ce ne erano di b-girl (ride). C'era qualcuna, all'epoca si chiamano flying girls, ce n'era qualcuna, però, poi smise subito, restava sempre nell'ambiente, ma non ballava. Era molto più maschile la cosa, era molto più su noi ragazzi di quartiere e di città, non c'erano ragazze che si mettevano sulla testa, perché lo vedevano come un buttarsi a terra, o era troppo difficile, o non lo so, insomma. Adesso c'è qualche ragazza che ha intrapreso questa avventura. Però, nella mia città specifica non ci sono molte b-girl. Se ci sono io, insomma, non le conosco. (ride) A Roma, però, per dirti, che è una città molto più grande di Siracusa, le b-girl ci sono! Eccome, se ci sono! Già questa cosa a me mi ha fatto aprire, mi ha aiutato tantissimo. Magari nella mia città non c'era una scena di b-girl, non c'era qualche b-girl che dicevi: "okey, questa spacca", non c'era. Eravamo solo ragazzi, era tra di noi, questo è cambiato nel tempo.

Un'ultima domanda, se mi dovessi dire che cosa è cambiato nel corso di questi anni, perché insomma, sono vent'anni che balli, quali sono le cose che sono cambiate di più nel mondo dell'hip-hop e del breaking, secondo la tua esperienza?

Di cose ne sono cambiate parecchie, nel senso, innanzitutto sono cambiati i modi. Adesso è diventato tutto molto più commerciale, prima era una cosa underground e di nicchia, quindi non era così diffusa. Mentre prima si pensava solo a ballare e basta, ovunque, senza un fine, tu lo facevi per te, per sfogo, per passione. Adesso chi inizia a fare breaking lo fa perché deve vincere il battle, lo fa perché deve, deve, DEVE VINCERE! Se non vinci, sei fuori! Questo è così anche nella società, se non sei il numero uno non sei nessuno. Si crea questa situazione. Ma questo proprio nella società, non solo nel breaking e basta, è proprio nella società stessa e si riversa anche nel breaking. Perché l'hip-hop, per me, essendo vita, è vita anche quella che tu vivi quotidianamente, quindi, come è cambiato nella vita in questi venti anni è anche cambiato nel breaking, nell'hip-hop. Uno negli anni ha sempre cercato di mantenere l'aspetto culturale della cosa, infatti, vedi la FIDS stessa, adesso ci sono Ezio Greggio (ride) e Bonolis che mi giudicano, o mi fanno le interviste, o che ne so. Poi, magari di per sé la fanno pure nella maniera migliore possibile perché ci hanno investito tantissimi soldi e cercano di riprodurlo nella maniera migliore possibile. Però, fondamentalmente, è gente che non la conosce culturalmente la cosa. Prima c'era la jam, ti beccavi con l'amico, andavi lì per scambiarti due parole, conoscere gente, parlare, fare qualsiasi cosa, divertirsi e condividere, viversi la stessa cultura nella stessa maniera. Semplicemente vivere free, libero di fare le proprie cose, mentre adesso per sottolineare di più la cosa competitiva quello non lo vedi più come amico, ma lo vedi come un nemico e dici: "a quello gli devo spaccare il culo, ci devo andare pesante", entri in un concetto, in un meccanismo particolare. Man mano che si va avanti si tende a tergiversare verso una direzione diversa rispetto a quella che c'era prima. Ci conosciamo tutti, ovviamente ormai, vai agli eventi che ti conosci, però, adesso, se anche vai all'estero e vuoi fare un evento mentre prima era molto di condivisione, ora è molto straight to the point, dritto al punto. Non puoi permetterti errori. Adesso è molto più commerciale, molto basato sulla competizione, molto sui soldi, sui social, è diverso. Ci fanno marketing, business, è diventato un business, la gente ci fa i soldi, c'è gente che investe in questo. Ad esempio, le Olimpiadi nel 2024. Ha avuto un'evoluzione negli anni, ha preso sempre più piede, mentre prima era vista come quello che ballava per strada, adesso viene visto come un, non lo so, un atleta, una cosa di rilievo perché rappresenti la nazionale, capisci? Entri nelle fiamme gialle, diventi un finanziere, hai uno stipendio. Chi l'avrebbe mai pensata una roba del genere venti anni fa?

Questo, secondo te, ha ripercussioni sulla cultura hip-hop?

Ebbè, si! (pausa) Ha praticamente scorporato quello che è l'essenza dell'hip-hop. Ha preso solamente la parte, tra virgolette, figa della cosa e l'ha portata avanti lasciando stare tutta la cultura che c'è dietro, il modo e tutto quanto. Io non sono andato all'ultimo evento della FIDS, ma da quello che ho visto, anche se non posso parlare in prima persona, già che si faccia in un palazzetto dello sport, in quella maniera, ma non per il posto di per sé perché si può fare ovunque, anzi se il palazzetto è figo, tanto meglio, ma è il modo: le interviste, il podio, cioè il podio! IL PODIO! Ma che è il podio? Il quarto posto, la medaglia e l'attestato? Ma di che cosa stiamo parlando? Cioè, è il modo in cui lo si fa che è sbagliato in queste situazioni e la gente purtroppo, perché si tende anche a renderlo per tutti, la gente che non ne sa lo da per certo, non sa tutta la cultura che c'è dietro di ogni persona. È cambiato tutto. Magari c'è chi si adegua alla cosa e lo fa in un certo modo, come ad esempio Snap che ho apprezzato tantissimo che ha portato il suo, sono contento di questo, che lui abbia vinto per questo. Preferisco che vada qualcuno che sa quello che fa, piuttosto che vada qualcuno che non lo sa. Se ci deve essere qualcuno che deve rappresentare l'Italia all'estero, quindi mettere anche una faccia, preferisco che lo faccia qualcuno che ne sappia davvero tanto e che possa rappresentare al meglio la cosa. Nella peggiore possibile delle situazioni, al meglio possibile, capito? Tutto qui.