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Terza Intervista ad Alessio Signore aka B.Boy Snap
Intervista dell'autore Jacopo Ferri
Vorrei iniziare facendoti alcune domande relative alla tua storia nel mondo del breaking: a che età hai iniziato a ballare breaking e in quale città?
Allora, ho iniziato a ballare nella mia città natale, Lecce, a cavallo tra il 2004 e il 2005, avevo all'incirca quattordici, quindici anni. Ho iniziato in un momento in cui c'era l'esplosione del breaking, ogni paesino limitrofo a Lecce - o la città stessa - aveva il suo gruppetto di rappresentanza, per cui si vedeva il breaking in ogni dove, magari c'era molta ignoranza a livello di ciò che si faceva, però era quattro volte più diffuso di quanto è adesso, se non di più. Vedevi ovunque il breaking.
Io ricordo che da piccolino uscivo in centro e vedevo ragazzini ballare, sotto i portici qualcuno ci provava, o alle scuole medie in ogni classe c'era un ragazzino o un paio di ragazzini che ballavano: chi aveva il suo gruppetto, chi gente che conosceva, insomma, si carpivano informazioni dalle amicizie strette, ma anche solo passeggiando o guardandosi in giro.
Tu hai iniziato per strada, oppure all'interno di una struttura organizzata?
Appena ho iniziato a vedere il breaking ho chiesto a mio padre di cercare se ci fosse una scuola o qualcosa, e ricordo che mio padre disse: "guarda, là all'angolo ogni tanto vedo qualcuno ballare, chiedilo a loro" (ride), quindi, provai a cercare questi ragazzi, solo che non avendo mai occasione ho iniziato a procurarmi un po' di informazioni da solo.
Mio padre all'epoca, quando era piccolo, si era cimentato un pochino nel breaking, o electric boogaloo - come lo chiamavano - e mi aveva passato qualche nozione basilare, così, prendendo un po' di informazioni da lui, un po' dai video musicali che si vedevano in televisione, ho messo due cose insieme e ho iniziato a costruire uno pseudo-stile. Un giorno, tornando a casa incontrai questi fantomatici ragazzini che ballavano - tra cui c'era anche Wizzy che oggi fa parte del mio gruppo - e anziché chiedergli di insegnarmi decisi di sfidarli, gli dissi: "Hey ma voi ballate? Vi va di fare una sfida?" Loro mi risposero: "va bene, torna domani a quest'ora". Io tornai l'indomani con altri due amici e anziché i soliti tre ragazzini che stavano sotto il portico ne trovai una ventina tutti pronti a vedere questa sfida, noi ovviamente non sapevamo fare nulla e venimmo umiliati (ride), a dir poco. Tramite questa sfida, però, mi scambiai il contatto con Wizzy che iniziò ad avvertirmi ogni volta tramite sms quando c'era un allenamento, una piccola Jam o cose del genere. Passo dopo passo sono riuscito a entrare a contatto con loro, prendendo sempre più informazioni.
Anche loro avevano iniziato a ballare per strada, vedendo i video?
Fondamentalmente, da quel che ricordo io del mio gruppo, o della generazione che ho visto ballare prima della mia, nessuno ha mai avuto un vero e proprio insegnante, nel senso, si provava sempre a prendere le varie informazioni che si trovavano in giro, ma difficilmente avevi una persona che ti faceva da mentore come succede adesso. Da ciò che ricordo, perlomeno, non è mai stato così! È una cosa che è andata piano, non voglio fare di tutta l'erba un fascio, ma la mia esperienza è stata questa
C'erano spot differenti a Lecce per allenarsi?
Il posto principale esiste tutt'ora e si chiama Centrum, o Città Mercato, che è praticamente un centro commerciale a metà sotto un porticato e a metà all’aperto, accessibile anche di notte. Dalla prima generazione di breaking degli anni '90 era un posto già rinomato: sia a Lecce, che a Brindisi, a Bari, o ai paesi vicini. Narrano le leggende - perché io questa cosa non l'ho mai vissuta - che prima ci fossero delle vere e proprie jam, chi arrivava trovava centinaia di persone: chi sullo skate, chi a fare rap, chi a ballare, e si riunivano tutte lì.
Io quando ho iniziato a ballare in quel posto, personalmente, era già visto come un qualcosa di grosso, lì ci si allenava chi già sapeva, non so come farti capire. Io mi allenavo sotto casa con i miei amici, poi dopo aver conosciuto William mi allenavo al parchetto vicino casa e loro mi introdussero ad allenarmi al Centrum, con le persone più grandi, avevo quindici anni, ma chi si allenava lì ne aveva già venticinque, trenta. Posso dire di essermi iniziato ad allenare al Centrum verso i sedici, diciassette anni, poi a diciannove mi sono trasferito a Roma.
A diciannove anni ti sei trasferito a Roma, sul breaking che impatto ha avuto questo cambiamento?
Un impatto importantissimo, io reputo Roma la mia seconda città non solo per il fatto di averci vissuto sette anni, ma anche perché ho passato praticamente la metà del mio breaking lì. Mi ha aiutato tantissimo perché ho vissuto in un certo modo ciò che volevo vivere, a Lecce ero abituato con il mio gruppo, ma poi quando mi sono trasferito - a diciannove anni - non era rimasto quasi più nessuno nel leccese, motivo per cui il nostro nome era diventato Last Alive. Quando sono arrivato a Roma ho trovato unarealtàattiva, mi sono sentito trasportato a quando avevo quindici anni: vedevo tanti gruppi, la competizione, il fuoco negli occhi, i gruppi che venivano da fuori Roma, andavi a una jam e c’erano diversi modi di ballare, diversi modi di pensare, è stato un impatto che mi è servito per più motivi. Uno, mi ha riportato ad avere quel fuoco che sentivo quando ero piccolino, due, perché vedendo tanta gente a un livello più alto di quello cui ero abituato mi ha spronato a crescere sempre di più, anche a livello di eventi, jam, serate, ce n’erano tre volte tante di quante ne potevi trovare a Lecce, di conseguenza era una motivazione che cresceva, ti spingeva a fare sempre meglio.
Quando sei arrivato a Roma i primi contatto con i b-boy li hai trovati per caso, oppure c'era già qualcuno che conoscevi?
No, avevo già qualche contatto perché l'anno prima Andrea Han si era trasferito a Roma, quindi tramite lui già sapevo come muovermi, insieme a me si trasferì anche Davide che poi rimase a Roma per due, tre anni, e in più tramite gli eventi avevo conosciuto diverse persone: Fabio Loop, Locorock, tramite gli allenamenti condividevamo tutti la stessa passione, di conseguenza era molto più facile fraternizzare, diventare amici, rispetto a una persona conosciuta per strada, in altre circostanze. Di lì, piano piano, si è ampliata la mia rete di amicizie all'interno della scena.
Tu mi hai parlato dei Last Alive, me li hai introdotti prima, qual è stata la tua prima crew nel breaking? Credi che entrare in una crew abbia cambiato il tuo modo di ballare?
Allora, la mia prima crew era quella che fondammo con gli amici sotto casa, possiamo dire così. Era un gruppo improntato più sul writing in cui eravamo sette, otto ragazzini, di cui due, tre - oltre a fare writing - ballavamo. Con il passare del tempo io ero l'unico a continuare ad avere questa passione radicata nel breaking, mentre gli altri cominciavano a smettere o comunque la passione cominciava a scemare. Quello è stato il mio primissimo gruppo che si chiamava HS "High Style", un gruppo di vandali, praticamente (ride). Diciamo che non ha cambiato tanto il mio modo di ballare il fatto di essere all'interno di un gruppo, ma ha cambiato più la fotta, per così dire. Un conto è ballare da solo, un conto è ballare rappresentando un ideale, un gruppo, un qualcosa in cui si crede. Quando vai a una competizione, un evento, una jam, o anche in mezzo alla strada con una maglietta del tuo gruppo, la porti con orgoglio: tu stai portando qualcosa in cui credi veramente. Più che nel modo di ballare, quindi, mi ha cambiato nel modo di essere e rappresentare.
Quando sono nati i Last Alive?
La crew Last Alive è nata la notte di San Lorenzo, nel 2008. Io dopo aver lasciato il gruppetto, dopo aver conosciuto gli altri, eccetera, ho visto che la passione del breaking è andata a scemare non solo nel mio, ma in più gruppi di Lecce, per cui siamo partiti nel 2005 che c'erano, idealmente, trenta gruppi, e siamo arrivati nel 2007 che ce ne erano tre. I primi eventi in cui andavo erano stracolmi di gente, credimi, troppa gente che ballava, ma ti parlo anche di una jam con cento b-boy, mentre tre anni dopo la stessa jam ne aveva venti.
Ci fu un primo progetto di un gruppo che si chiamava Enemy Lines che raggruppava tutte, o la maggior parte, delle singole persone che ballavano nel leccese, ma poi iniziò a scemare perché fra tutte queste teste ce n’era qualcuna che non aveva lo stesso obiettivo; dei comportamenti che andavano in contrasto con altri membri del gruppo. Per cui nel 2008 si decise di fare una crew con le persone che avevano più affinità, che si allenavano insieme, uscivano insieme e al contempo avevano l'obiettivo di far qualcosa che andasse al di là dell'allenamento: dalla competizione, alla jam, al viaggio e così via. Così, si venne a formare Last Alive. Ricordo che io fui escluso all'inizio perché non mi allenavo abbastanza (ride).
Chi sono stati i fondatori della crewLast Alive?
Sono stati Andrea Han e William Wizzy. Loro hanno avuto l'idea e mi dissero: "se tu vuoi entrare devi allenarti di più", quindi io due settimane dopo entrai nel gruppo, ma questa cosa che loro mi dissero me la sono portata avanti tuttora (ride), nel senso, il fatto che non mi stavano facendo entrare nel gruppo mi ha fatto dire: "okey, ora vi faccio vedere io!" Ricordo che ho iniziato ad allenarmi più degli altri e questa cosa me la sono portata avanti negli anni, c'è stato un risentimento profondo di questa cosa, sempre in amicizia, ovviamente.
Questa frase che loro mi dissero ha determinato il mio modo di comportarmi e di essere negli anni successivi.
Poi, dopo qualche anno sei entrato nei Mighty Zulu Kings.
Si! Nel 2014, dopo sei anni.
Cosa puoi raccontarmi riguardo questa storia?
Sai, io i Mighty Zulu Kings li ho visti sempre come un ragazzo appassionato di musica potrebbe guardare, se fosse un appassionato di rap il Wu-Tang Clan, o se fosse appassionato di rock gli AC-DC, era qualcosa di davvero molto lontano e leggendario per me, era qualcosa di inarrivabile. Ricordo che nel 2008/2009, quando li ho visti per la prima volta tramite il video dell'Evolution del 2007, mi ero già innamorato. Parlavo con qualcuno e dicevo: "mi piacerebbe entrare con loro", ma venivo perculato da tutti, mi prendevano tutti in giro quando dicevo che volevo diventare un MZK, ma come avrai capito questa cosa mi faceva essere ancora più determinato (ride). Di conseguenza, è stato qualcosa che si è trasformato da un sogno, un obiettivo irrealizzabile, a un qualcosa che, con il passar del tempo, è diventato: "okey, forse si realizza", e infine è diventato: "doveva già realizzarsi!" (ride), ho iniziato a essere nervoso perché questa cosa non era già successa. Ma è stato un processo molto lento.
Sono stato io a ricercare il contatto con i Zulu Kings, non sono mai stati loro o Alien Ness a dirmi: "adesso entri", io ho cominciato entrando in Zulu Nation in Italia, quindi appassionandomi ancora di più a quella che era la cultura hip-hop a trecentosessanta gradi, poi, piano piano, ho stretto i miei contatti: prima con PoeOne, che veniva in Italia, poi se c'era qualche Zulu Kings che faceva giuria in Europa io andavo, sia per stringere amicizia che per toccare con mano quello che vedevo su internet. Poi, è successo che a diciassette anni feci un incidente in cui mi ruppi tre denti, tramite quell'incidente - visto che la colpa era del manto stradale - mi entrarono un bel gruzzolo di soldi, così un po' li misi da parte per spenderli in eventi, viaggi, contest, jam. Se non ci fosse stato questo incidente io non sarei mai entrato negli Zulu Kings, perché da quando ho fatto diciotto anni ho iniziato un andirivieni dall'Italia agli Stati Uniti, prevalentemente New York.
La prima volta andai per conoscere la cultura e tutto quanto, l'anno dopo andai ad Atlanta dove c'era Quick sempre degli Zulu Kings, lui mi invitò a stare a casa sua ed è stato il mio contatto principale. Lì ci fu un contest giudicato da Tyquan, vicepresidente degli Zulu Kings, e insieme a un ragazzo del luogo vincemmo la competizione. Tramite quest’esperienza strinsi il rapporto sia con il vicepresidente che con Quick, loro mi dissero di andare a New York a novembre in occasione dello Zulu Anniversary, di conseguenza da quel momento in poi iniziai ad andare ogni novembre a New York e tramite questa cosa ho conosciuto l'ottanta percento degli Zulu Kings sia americani che mondiali: ricordo che andavo lì e c'era Ness; Tyquan;Casper; Born;Jesse Germ; Omar; ho conosciuto una miriade di persone, anche per dire Johnny Yayo dall'Australia, tramite quell’evento ho stretto rapporti con tutti. Venivo ospitato da loro e ho conosciuto parenti e genitori di gente che mi ospitava, per cui il rapporto è diventato una vera e propria amicizia e con alcuni, nel tempo, una fratellanza. Dal 2009 al 2014 sono passati cinque anni e il rapporto si è fortificato, così nel 2014 è stato Alien Ness a dirmi che quello sarebbe stato l'anno in cui sarei entrato negli Zulu Kings, se dovessi andare nello specifico potrei parlarti per un'ora, ma andando a grandi linee te lo posso riassumere così.
Dal momento che tu rappresenti due crew, Last Alive e Mighty Zulu Kings, volevo chiederti: qual è il valore che hanno queste due crew dentro di te e che impatto diverso hanno avuto sul tuo modo di ballare?
Allora, Last Alive, io lo dico sempre e lo dirò per sempre, per me rimane la mia crew numero uno, perché sono le persone con cui sono cresciuto, ormai abbiamo superato i dieci anni di gruppo insieme, ma ci conosciamo da ancora prima. Siamo passati dall'essere dei ragazzini a degli adulti e abbiamo condiviso troppe cose, io porterò sempre con orgoglio il nome di questo gruppo. Per quanto riguarda Mighty Zulu Kings, invece, come ti ho detto prima, per me è sempre stato una sorta di sogno, quindi inutile dirti che quando ballo rappresento anche loro. Rilasciando l'aspetto storico, io sono orgoglioso di rappresentare Zulu Kings, sia per quello che rappresenta, sia perché so quanto mi sono spaccato per entrarci. Quando fatichi molto per ottenere qualcosa e la devi far vedere a qualcuno la rappresenti con il petto in fuori, come si suol dire. Per quanto riguarda l'impatto su come ballo, sicuramente Last Alive ha agito poco. Noi siamo sempre stati senza un insegnante, ognuno ha sempre avuto le proprie regole, il proprio modo di ballare. Con Zulu Kings, invece, avevo dei punti di riferimento più forti, anche il solo fatto di parlare con Poe One o con un Alien Ness ti faceva capire determinate cose che da solo non avresti potuto capire, va da sé che se un b-boy come Poe One ti dice: “questo passo viene fatto in questo modo per questo determinato motivo”, la prossima volta che farai quel passo proverai a farlo per quel motivo, di conseguenza, il breaking e il modo di fare determinate cose - non tutte ovviamente - è andato un po' a modificarsi.
Quando andavi in America, eri solito fare sessioni di allenamento con loro?
In realtà gli allenamenti erano pochi, ma ogni qualvolta avevo l'occasione rubavo, rubavo con gli occhi. Vedevo come erano le dinamiche, gli allenamenti, il movimento fatto in una determinata maniera, il perché si faceva così. Tornavo a casa con un bagaglio che poi dovevo mettere in pratica e capire ancora meglio.
Ti cambio un attimo argomento, ma si connette sempre a questo aspetto delle influenze. Nell'hip-hop parliamo spesso del concetto di stile in tutte le sue discipline: secondo te, che cos'è lo stile nel breaking e perché è così importante?
Per me è sia un modo di muoversi in una determinata maniera, rispettando determinati canoni del breaking - ovvero io posso avere anche stile facendo danza classica, ma non sto facendo breaking, per cui bisogna rispettare sempre determinate regole - sia riuscire a esprimere un qualcosa nella maniera corretta. Nel momento in cui io vedo che hai una connessione con ciò che stai facendo che è al di fuori dell'esecuzione del movimento stesso, e lo fai nella maniera giusta ed è bello da vedere, per me, in quel momento, tu hai stile. È un connubio tra il movimento e la sensazione. È un qualcosa che si unisce a entrambi. Uno può avere anche un bel modo di muoversi, ma se non ha quella connessione rimane fine a sé stesso, è uno stile farlocco (ride), per così dire, è un'imitazione, una buona copia, ma non è veramente lo stile per come l'intendo io.
Lo stile è qualcosa che apprendi, oppure qualcosa che viene inventato? È una cosa che apprendi perché deve rimanere entro certe regole, ovvero ci sono determinati canoni che devi rispettare, però, allo stesso tempo, è una cosa che vai a creare tu. Questa è una cosa che si sta perdendo adesso, come ti ho detto, nel momento in cui andavo a ballare per strada non avevo un insegnante, per cui ognuno cresceva il proprio stile, il proprio modo di fare. Ora, invece, tutti hanno un punto di riferimento e vuoi o non vuoi prendono quello stile senza riuscire a trasformarlo in qualcosa di proprio. Per cui lo stile viene appreso, ma deve essere anche sviluppato, altrimenti poi si rimane una copia sterile, per così dire.
Nella tua storia mi hai parlato di due crew diverse che hanno avuto un impatto differente sul tuo modo di fare breaking, sotto questo aspetto: credi che lo stile sia qualcosa che si costruisce collettivamente, oppure sia unicamente personale?
Questa è una domanda intricata. Il fatto di stare in gruppo, automaticamente, riesce a farti crescere in determinati modi, ovvero, anche se non vogliamo inconsciamente andiamo a ispirarci alle persone che abbiamo intorno, e la stessa cosa faranno le persone che abbiamo intorno con noi. L'ispirazione viene l'uno con l'altro e va a crescere di pari passo, questo però non esclude il fatto che se si è da soli si possa sviluppare un determinato stile e modo di fare. Penso che sia una domanda molto soggettiva, se noi andiamo a vedere ci sono molti gruppi senza un maestro che hanno uno stile o un modo di fare simile, perché l'ispirazione se la sono passata a vicenda e di conseguenza hanno creato un ramo anche senza volerlo. Questo, ovviamente, non può succedere se sei da solo.
Credi che la tua città (Lecce) abbia un proprio stile che la rappresenti?
No, non c'è questa cosa a Lecce. Non c'è perché non c'è quasi più nessuno che balla (ride), siamo rimasti veramente quattro gatti. Non vedo uno stile di breaking, o un'impronta che identifichi la città. Questa cosa può essere sia una cosa positiva che negativa, dipende da come la si voglia vedere.
Quali sono le caratteristiche principali che dovrebbe avere lo stile di un b-boy, o di una b-girl?
Come dice Poe One in una parola sola si può dire il "flavor", che è un insieme di cose: come ti esprimi; quello che senti; come ti muovi; come vai sulla musica; gli accenti che vai a prendere; l'attitudine che si ha; il carattere; l'espressività. Sono tante cose che formano un connubio che può essere riassunto nella parola stile, è di difficile espressione. Secondo me, una persona che non balla difficilmente può capire cosa sia veramente per un b-boy.
Vorrei farti alcune domande relative a un'altra questione, tu hai partecipato a numerosi eventi nazionali e internazionali, sia mainstream che underground: quali sono le differenze che hai personalmente riscontrato nel ballare in un cypher, oppure in una competizione organizzata (contest)?
Personalmente, all'interno di un cypher mi sento molto più libero di quanto mi sento all'interno di un contest: nel cerchio non ci sono regole, non c'è un giudice, non c'è qualcuno che decide se quell'entrata va bene o meno, non c'è un limite di entrate, posso esprimere totalmente ciò che sento di fare. Quando si parla di contest si tratta di competizioni, ovvero, ci sono determinate regole a cui sottoporsi, il fatto di fare una entrata, due, o tre, ti costringe a strutturare qualcosa in modo da poter battere l'avversario, perché c'è una giuria che ti sta giudicando e deve decidere se la tua entrata è meglio dell'altra. Tu puoi essere libero lo stesso, ma comunque nel contest devi sottostare a una serie di regolamenti, per cui, nonostante anche nelle competizioni organizzate è successo che ballassi facendo unicamente quello che mi andava di fare, mentirei se non dicessi che nel cerchio mi sento più libero.
Per quanto riguarda, invece, la differenza tra mainstream e underground, posso dire che ho un amore per l'underground indiscutibile, perché naturalmente è la prima cosa che ho vissuto, ma devo anche dire che se non fosse stato per il mainstream, probabilmente, non avrei conosciuto nemmeno il breaking, perché ho visto i ragazzini che ballavano per strada, ma ho visto anche B-boy Crumbs su Top of the Pops, all'inizio, ballare con i Black Eyed Peas; ho visto il tipo che girava sulla testa quando c'erano i Bomfunk MC's, su cui passavano i video; ho visto Street Dance Fighters, in cui c'erano alcuni b-boy, fra cui lo stesso Crumbs e non ricordo chi altro, di conseguenza, posso dire che è stata un'unione delle due cose! C'è sempre stato underground e mainstream. La cosa per me più importante è che nel momento in cui si fa qualcosa di mainstream non bisogna sottostare a determinate regole che non si credano giuste. Se per me non è giusta una determinata regola che mi impone il mainstream, io continuerò comunque a fare quello che credo sia giusto. Parlando del discorso relativo all'ingresso del breaking nelle olimpiadi, eccetera, che negli ultimi tempi è stato visto come "il satana" della situazione, vorrei dire che io non sono un fautore del breaking alle olimpiadi, ma se allo stesso tempo lo dovessi vedere da persona esterna, vedrei un evento organizzato da gente che non capisce niente di breaking, la stessa cosa che vedo all'interno del RedBull Bc One: un evento organizzato da una compagnia di lattine che non c'entra niente con l'hip-hop. Però, il RedBull è amato dalla scena nazionale e internazionale, perché è visto come l'evento più grosso a cui partecipare, quando è l'evento più mainstream di tutti! Per questo motivo il fatto di giudicare il RedBull un evento vero e il breaking alle olimpiadi un evento fasullo è un controsenso. Nel momento in cui ci sono persone esterne alla comunità nell'organizzazione, è chiaro che lo stanno facendo sicuramente per un interesse personale, per cui o fanno schifo tutti e due, o non fa schifo nessuno.
Il discorso di rappresentare anche nel mainstream è una cosa che deve essere vista in una maniera più profonda. Come ti ho detto prima: io non sono un fautore del breaking alle olimpiadi, sono però innamorato moltissimo del breaking, della cultura hip-hop e di ciò che essa rappresenta. Quello che io sto vedendo negli ultimi anni è che tutti i ballerini stanno diventando degli automi: tutti eseguono allo stesso modo, non si balla più, ha più importanza l'atleticità che il breaking di per sé, quindi, il fatto che il breaking stia subendo una sportivizzazione va al di là delle olimpiadi, è una cosa che sta succedendo da molto prima. Per questo, se io sono sicuro di ciò che faccio, ho la consapevolezza di farlo nella maniera corretta, se lo vado a fare in un ambiente diverso, questo fa sì che altre persone siano costrette a vedere il breaking non solo come un qualcosa di composto unicamente dall'atleticità, ma anche da altro! E quest'altro è molto più importante! Io ho tastato con mano questa cosa, quando ho partecipato all'ultimo evento della FIDS, perché ho visto ragazzini che mi sono venuti a chiedere: "ma tu come fai ad andare così a tempo?"; "come fai a conoscere tutte le canzoni a memoria?" e io parlando con questi ragazzini gli ho risposto: "queste canzoni fanno parte della nostra cultura in quanto hip-hop, di conseguenza io conosco gli artisti, conosco la storia, sono innamorato di questa musica, non solo del breaking". Se questo può servire a ispirare qualche ragazzo della nuova generazione, o qualcuno anche della generazione attuale, direi che ègià tanto di guadagnato. Questa cosa non potrebbe succedere se tutti noi ci escludessimo a propri da questo tipo di competizioni.
Ricollegandoci all'evento FIDS a cui hai partecipato poco tempo fa: quanto l'essere inserito in un contesto organizzato diversamente da quello abituale (un po' a causa dell'emergenza Covid-19, un po' a causa di un'impostazione differente legata a un nuovo ambiente di competizione) ha condizionato il tuo modo di ballare?
In realtà, ti dirò, nel backstage stavamo facendo cerchio. (ride) In generale, si, l'ho sentita questa differenza in quanto b-boy, perché - come ti ho detto prima - sono un amante del cerchio; dello stare a stretto contatto; del non avere il numeretto attaccato e cose di questo genere. Però, se io devo pensare ad altri eventi come L'IBE, in Olanda, io ricordo che in una sfida ero alla stessa distanza dal mio avversario dell’ultimo evento FIDS, se poi vai a vedere le selezioni, anche, erano fatte con il numeretto. Queste differenze ci sono, ma non sono poi così tanto distanti dagli eventi già commerciali che esistono. Questa cosa non accadrebbe mai a eventi più underground, ma nel momento in cui io vado a un IBE, a un Unbreakable, oppure a un Outbreak Europe, tutta questa differenza con l'evento FIDS a cui ho partecipato non l'ho vista. È logico che c'è, ma è un qualcosa di relativo.
Quanto è importante per un b-boy, o una b.girl, sapersi adattare a differenti contesti di pratica?
Relativamente. Io credo che se una persona sia fatta in un modo, è giusto che continui a portare il suo, con rispetto, in ogni contesto. Per dirti, all'evento FIDS erano vietati i burn, per quanto io mi sia potuto trattenere alla prima sfida l'ho fatto subito (ride). Per cui io posso sforzarmi quanto voglio, ma porterò sempre me stesso, indipendentemente da quelle che sono le regole. Penso che sia una questione molto personale. Per me ha poca importanza questa capacità di adattamento, l'importante è fare ciò che noi crediamo sia giusto e portare il nostro modo di vedere le cose.
Cosa rappresenta, per te, il cypher?
Il cerchio rappresenta la parte più bella. È, uno, la libertà di espressione e, due, la condivisione con ogni persona che hai intorno. È un flusso di energia continuo, un cerchio fatto da b-boy affamati non si ferma mai. Quello è il breaking! Quello è il breaking, al di là della competizione. Quello è portare l'energia, il fuoco, ciò che si sa fare. Per me rimane la cosa più importante. La condivisione per antonomasia è rappresentata dal cerchio.
Delle volte si parla del concetto di going-off, me lo puoi spiegare a parole tue?
Per me è spegnere le problematiche, i pensieri e andare con ciò che si sente. È una cosa che provavo ancor di più quando ero ragazzino. Ciò che ti senti di fare, fai; ciò che ti senti di esprimere, esprimi. Per cui, il going-off, rappresenta la massima forma di libertà, diciamo così.
Tu sei anche insegnante giusto?
Certo.
Per quanto riguarda l'insegnamento: l'approccio al cerchio quanto è importante nella formazione di un giovane b-boy?
Tantissimo, ma non solo l'approccio al cerchio, l'approccio in generale a tutta la cultura. Ai miei allievi ciò che provo - ma non sempre riesco - a insegnare, è quello di portare il breaking, all'esterno della sala. Noi facciamo sempre il cerchio sia all'inizio che alla fine della lezione, questo è un modo per provare quello che abbiamo appreso, ma soprattutto per sbloccarsi, condividere, imparare cosa significa ballare e non unicamente apprendere per portare nella competizione. Se questa cosa riusciamo a portarla fuori dall'ambiente della palestra, ci andiamo ad avvicinare a quello che abbiamo fatto noi anni fa, anche se non mi voglio ancora considerare vecchio (ride), ma diciamo quello che ha fatto la generazione prima di noi. Certo è difficile, ma non impossibile, se i ragazzi hanno la passione giusta possono continuare a farlo con le loro gambe, senza un maestro che li segua in sala.
Hai notato delle differenze nel modo in cui i tuoi allievi ballavano in palestra, ad esempio, oppure per strada?
Diciamo che erano più felici. Io li vedevo molto più propensi al ballare piuttosto che a provare le powermove, ad esempio. Vuoi per un fatto del pavimento, che non è come il parquet della palestra, ma il fatto di ballare all'esterno, almeno a me, ha sempre dato qualcosa di più profondo e di conseguenza mi permetteva di esprimermi al meglio, in maniera diversa. Mi auguro che la stessa cosa avvenga anche per loro.
Come strutturi solitamente una tua lezione?
Quello che cerco di fare è semplicemente insegnare un po' di tutto. Ma la prima cosa - se una persona entra in sala e io non l'ho mai vista - ci facciamo una bella chiacchierata di una mezz'oretta. Mi piace provare a far capire quello che andremo a fare, piuttosto che insegnare un passo e basta. Quindi, io provo sempre a dare le nozioni - ovviamente, in maniera generale all'inizio - perché bisogna per forza provare a trasmettere quel che facciamo anche con il verbo e non solo con il breaking. Poi, proviamo a fare un po' di tutto: a ballare; a seguire la musica; a capire come funziona il tempo; a capire il perché alcuni artisti suonano in un modo; le differenze musicali; le differenze tra i passi; come esprimere la musica; il diverso modo di andare a tempo; le powermove; i freeze e - in più - anche l'aspetto storico e culturale che non è meno importante, anzi, è la cosa che deve prevalere più di tutto.
Come ultimo argomento volevo domandarti: secondo te, nel mondo dell'hip-hop, ma più in particolare nel breaking, c'è differenza di genere? Qual è la situazione tra b-boy e b-girl?
Secondo me, oggi, c'è molta meno differenza rispetto a prima. Sicuramente prima ce ne è stata molto di più. Se dobbiamo parlare del breaking, in generale, oggettivamente dobbiamo dire che nel momento in cui andiamo a una jam, o a un contest, ci sono cento b-boy e dieci b-girl. Non sarei oggettivo a dirti che questa differenza non c'è. La stessa cosa si potrebbe dire con il calcio, che non c'entra niente con il breaking, ma viene visto come qualcosa di prettamente maschile.
Secondo te, le ragazze non si addentrano per scelta o perché trovano un muro da parte della comunità?
Allora, secondo me, questa cosa c'è, ma non ci dovrebbe essere! C'è un muro che si è venuto a creare, a causa della società di cui facciamo parte, però non c'è una differenza tra come un b-boy, o una b-girl, ad esempio, possano esprimere la musica, o possano far parte di questa cultura. Possiamo benissimo convivere ed esprimerlo al migliore dei modi sia gli uni che gli altri, anche perché ci sono delle b-girl ora che sono così potenti che possono benissimo competere con la maggioranza dei b-boy. È un qualcosa che è dato unicamente dall'aspetto culturale: una ragazza che va in mezzo a dieci b-boy che ballano può essere sempre malvista, non so come dirti, ma è dato da ignoranza culturale piuttosto che da un muro realmente esistente.
Come vedi la divisione delle categorie nelle competizioni organizzate? È un aspetto che alimenta la separazione dei generi, oppure favorisce l'integrazione?
Diciamo, ora come ora - se parliamo in maniera oggettiva - una b-girl che si va a iscrivere a un evento uno contro uno di b-boy, al cinquanta per cento delle possibilità, non si iscrive proprio, perché sa che andrà lì e non passerà le selezioni. Di conseguenza, Il fatto di avere due contest: b-boy e b-girl, può favorire il fatto che più ragazze si avvicinino sempre di più al mondo del breaking, però, non deve essere una legge. Non deve esistere il contest b-boy e basta, e il contest b-girl e basta, possono continuare a esistere entrambe le cose, così come deve continuare a esistere l'uno contro unosenza distinzione di genere. Una b-girl deve essere libera di potersi iscrivere a un uno contro unosenza problemi. Per me ci sta che in alcuni eventi ci sia la divisione, mentre in altri chi si vuole iscrivere, si iscriva. Certo che il fattore mainstream sta aiutando le b-girl a costruire una scena sempre più ampia. Se noi guardiamo dieci anni fa, le b-girl, le ragazze che ballavano erano molte di meno rispetto a ora. È una distinzione che sta andando lentamente ad allentarsi, però l'importante è che le categorie non siano unicamente divise, è giusto per una b-girl mettersi a confronto anche con i ragazzi.
Nella tua esperienza da insegnante hai trovato differenze nel rapportarti a b-boy, o a b-girl?
No, più che metodi di insegnamento ho trovato difficoltà a far capire che il breaking è un qualcosa che possono fare anche loro. Sia con i genitori, ma anche con le ragazzine stesse che si sentivano un po' in difetto nel farlo. Per farti un esempio, io adesso ho una ragazzina, l'unica, che ha otto anni ed è una bomba! (ride) È così forte che gli stessi allievi maschi rimangono impressionati che lei riesca a fare delle cose che loro non riescono a fare, in questo modo automaticamente anche lei si sente più spronata, per cui ti ripeto, per me è solo un fatto di crescita culturale deviata, più di come stanno le cose in maniera reale.
Ti faccio un'ultima domanda: l'hip-hop è uno solo, oppure ne esistono tante tipologie diverse?
Eh, questa è una domanda difficile. È ovvio che ognuno di noi lo vive in maniera diversa in base alle diverse esperienze che ha avuto, però per me l'hip-hop rimane uno. Quello che ti dicevo del breaking, permane anche nell'hip-hop, dobbiamo restare all'interno di determinati limiti, sennò si sconfina nel fare qualcosa che anche se ha gli stessi valori e le stesse ideologie non c'entra più niente. Ovviamente, ha diverse sfaccettature, ognuno lo vive in modo diverso, però dobbiamo sempre attenerci a determinate linee che non dobbiamo oltrepassare, insomma, se vogliamo rimanere in tema con ciò che facciamo e se vogliamo continuare ad avere una cultura identificata sotto il nome di hip-hop. Altrimenti sconfinerà in qualcosa che non c'entra niente.
E cosa significa, per te, essere hip-hop?
È un qualcosa che va con ciò che senti all'interno di te stesso. Io mi definisco hip-hop, mi definisco un b-boy e non un breaker perché mi piace il breaking, ma sono anche appassionato del writing, sono appassionato dell'MCing, del DJing, e tutto un mondo in cui sono immerso che va al di fuori del breaking. Se io non dovessi ballare più mi sentirei comunque una persona appartenente al ramo hip-hop. Poi, è logico, uno può anche essere un b-boy e non piacergli il writing, però non posso, ad esempio, essere un b-boy e odiare il rap, o il DJing, o cose del genere. Portare avanti determinati valori ti permette di essere hip-hop anche nel caso non partecipassi attivamente a nessuna di queste quattro arti. È logico che chi le pratica è più all'interno di questa cultura, ma il fatto di non praticarne nessuna non significa esserne categoricamente fuori.