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Seconda Intervista ad Andrea Corbo aka B.Boy Mind
Intervista dell'autore Jacopo Ferri
A che età hai iniziato a ballare breaking e in quale città?
Allora, io ho iniziato a 19 anni, precisi, spaccati, grazie a un amico che era il figlio del fratello della moglie di mio cugino (ride), un po' complessa come storia. Ho iniziato grazie a questo ragazzo abruzzese che è venuto a Bari un giorno, anche se io ero già affascinato dal breaking, sia chiaro. Lui è stata la prima persona che mi ha concesso di avvicinarmici, anche se dalla prima volta che avevo visto il breaking mi ero innamorato. Credo che sia stato con qualche video. Ricordo che mi colpì quello di Freestyler dei Bomfunk MC's, credo che tutti quanti ci siamo passati. Mi ricordo che la prima cosa che mi venne in mente fu: "voglio imparare a fare footwork", "voglio imparare a muovere le gambe in questa maniera", essere fluido, hai capito? Nonostante in quel video non ci siano dei grandissimi footworker, però ricordo che mi rimasero impressi il windmill e i footwork, le due cose che mi colpirono subito.
Il primo contatto è avvenuto attraverso un video?
Si! La prima volta che ho visto qualcuno ballare breaking è stato in un video. Poi, piano piano ho conosciuto questo ragazzo che mi ha portato al Parco 2 Giugno - un parco della mia città - e ho scoperto che in questo posto si allenavano dei ragazzi. C'erano dei ragazzi che facevano break dance, ricordo che erano degli scrausi incredibili, però, a me facevano impazzire! (ride) Ricordo che mettevano la canzone: "Jump! Jump", e tutti facevano i jump a due mani, ricordo questo dettaglio e dicevo: "mamma mia, questi sono eccezionali!" Rimasi colpito da questa cosa qui. Però, sì, il primo contatto è stato sicuramente tramite dei video.
Questo ragazzo che mi portò al Parco faceva quasi esclusivamente power moves, poi mi spiegò qualche footwork, ma la cosa che faceva principalmente erano le power moves. Successivamente, dopo aver trascorso un po' di tempo con lui, ho avuto voglia di approfondire, di cercare qualcos'altro. I ragazzi del Parco non mi piacevano, non mi ispirava come ballavano, così, ci furono due situazioni successive in cui mi trovai: la prima fu attraverso Froz (B-boy del nord Italia della crew Bandits) che faceva un corso di break dance nella mia scuola, io avevo 18 anni, scusa, non 19, probabilmente 18. Mi ricordo che c'era questo corso con Froz, solo che io ero molto timido, ero convinto di andarlo a frequentare, però alla fine non lo frequentai più. Più tardi notai che c'era un corso di break dance con Slep alla struttura del Corazon Latino - una scuola di danza a Bari -dovevo andarci con un mio amico, ma questo mi diede il bidone (mi diede buca). Io avevo già rinunciato una volta, non potevo farlo di nuovo. Così ci andai, e lì è scattato l'amore.
I primi passi, però, li hai fatti per strada.
Si, esatto! I primissimi passi li ho fatti per strada, cioè accompagnavo questo mio amico al Parco 2 Giugno e mi facevo spiegare qualcosa da lui. Però, per me, la storia è iniziata lì in palestra da Slep. Avevo sicuramente 19 anni, in quel caso, perché avevo finito la scuola da pochissimo tempo, mi ricordo che mi iscrissi a questo corso e mi si aprì un universo. Slep era molto bravo a metterti il fuoco dentro, e poi era un periodo in cui il breaking in Puglia si stava espandendo: c'era la crew dei Funk Warriors che vinceva numerosi contest, c'erano dei ragazzi che ballavano molto forti, loro erano un punto di riferimento per me. Avere come mentore Slep è stata una cosa che mi ha messo energia, mi ha messo adrenalina.
Anche se è passato tanto tempo, ti ricordi per caso quali furono le differenze principali rispetto ad allenarti con quei ragazzi al Parco? Cosa ti ha dato di diverso questo cambiamento?
Secondo me, andare da Slep era come andare per strada in una palestra. Lui non ti insegnava in maniera accademica, ti spiegava qualcosina e poi ti lasciava ballare, l’unica differenza era l'ambiente in cui ballavamo, ma ballare con Slep era come ballare per strada. Lui aveva un modo di insegnare, di essere, di trasmetterti, molto improntato sul breaking di strada. Ad esempio, per regalarti un passo ce ne metteva, tra virgolette, lui ti dava una mentalità, ti spiegava qualcosa e poi ti diceva: "vediamo tu cosa sai fare, vediamo se riesci a metterti in gioco", capito? Questo fa parte della mentalità di strada. Anche se non è qualcosa di positivo da alcuni punti di vista, ma riportato negli anni era qualcosa di molto figo. Tu hai le tue skill, i tuoi video,non c'era youtube, non c'erano tutti i video che ci sono adesso, lui aveva le sue cassette, i suoi DVD, quei passi te li dovevi sudare, capito? Era una cosa molto stimolante.
Dovevi sudarti anche i video, i DVD dei battle. In questo senso non ho iniziato a ballare in palestra. Molto peggio del Parco 2 Giugno per dirti, in palestra si respirava molto di più un'atmosfera di strada.
Ai ragazzi del parco come era arrivato l'hip-hop?
Io credo che in quegli anni era scoppiata una moda, c'era una moda fortissima del breaking. Molti di questi ragazzi avevano qualche video, qualche cassetta, penso che molti abbiano iniziato con i film, o cose così. Ma a quei tempi era una cosa incredibile, a Bari c'erano tre, quattro spot diversi per i b-boy che volevano ballare: c'era uno spot Gorjux, dove ballavano ragazzi con una mentalità; c'era l'Executive, dove ballavamo noi che c'era un'altra mentalità; c'era il Parco, che aveva una mentalità; c'era Bitonto, un'altra mentalità ancora. Erano tempi incredibili pensandoci oggi, in una città piccola come Bari avere così tanti spot, queste identità! La cosa bella è che c'erano delle identità in ogni spot, secondo me, era una bomba!
Comunque si, ai ragazzi del Parco era arrivato tramite video, probabilmente, con un percorso simile al mio, ma loro ballavano già da molti anni.
Riguardo a questa cosa che mi hai detto, relativa ai diversi spot di allenamento, erano luoghi divisi per crew? Puoi dirmi qualcosa di più.
Certo. Diciamo che era un peccato che nei diversi spot non ci fossero delle vere e proprie crew. C'erano delle situazioni, cioè, se tu andavi al Parco 2 Giugno, in alcuni casi, si creava una crew del Parco, ma era una cosa fake. A Bitonto c'era una crew: i Funk Warriors; all'Executive c'eravamo noi, che poi siamo diventati una crew; a Gorjux c'era una crew che si aggregava e disgregava in modo un po' particolare. Ovunque andavi c'era la consapevolezza di approcciarsi a una identità diversa di breaking, di gruppo, di persone. Quindi, si, ora che ci penso, era come se ci fossero delle crew. Però il Parco, no, era un posto per tutti. Erano un po' dei cazzoni lì (ride).
Eri libero di andarti ad allenare da una parte e dall’altra, o fra i vari posti c'era rivalità?
C'era una rivalità incredibile.Quando io ho iniziato a ballare volavano schiaffi continuamente (ride). Ci si picchiava come non ci fosse un domani, in tutte le situazioni. Per dirti: se tu ballavi a Bitonto e la settimana successiva ballavi al Parco, non ti si guardava di buon occhio. Se tu ballavi a Bitonto, ad esempio, sapevi che eri in quella strada, uscire da quella strada era pericoloso. Si poteva ballare in tutti gli spot, ma quando andavi da una parte sapevi che stavi facendo un passo pericoloso, diciamo così. Però era figo anche quello, era come tornare alle bande di New York. Era molto pesante, si! A ogni evento volavano schiaffi di continuo.
Ricordi qualche aneddoto a riguardo?
Guarda, di aneddoti me ne ricordo parecchi (ride) uno che mi viene in mente, ad esempio, mi ricordo che ci fu uno street battle sotto dei portici e c'era questo ragazzo forte, un allievo di Slep, che ballava anche al Parco. Questo non si decideva, ballava sia con Slep che al Parco. Praticamente - quando ci fu questo evento sotto i portici - venne preso di mira da alcuni ragazzi e uno gli tirò un ceffone, gridandogliene di tutti i colori. Io provai a fermarli e ricordo li separarono, ma quel ragazzo smise di ballare. Non è molto divertente come metodo, certo, uno può dire che magari non ha avuto abbastanza energia, c'è chi ha subito le stesse cose ed è andato avanti. Questo è un episodio, ma potrei citartene molti, di ogni sorta.
Tu quando sei entrato in una crew per la prima volta? Ha cambiato il tuo modo di viverti il breaking?
La prima crew in cui sono entrato è stata quella che ho creato: Bari Got Flava, che prima si chiamavano Executive style. Mi ricordo che eravamo un gruppo di ragazzi che stavano per entrare in Funk Warriors Kids, alcuni lo erano già. Ci furono una serie di disguidi, alcuni problemi, ma io, ti dico la verità, non avevo intenzione di entrare in crew con i Funk Warriors, nonostante li ammirassi. A me piaceva ballare con i miei amici all'Executive, a me rappresentava quel posto. A un certo punto creai con Mauro Lavermicocca la crew Bari Got Flava, poi - senza che ti racconto tutte le vicissitudini, ci si potrebbe scrivere un romanzo (ride) - entrarono in crew Claudio Muzzle, e successivamente un ragazzo fortissimo che si chiamava Vincenzo Splash, lui sapeva fare tutte le move, era fresh, nettamente più forte di tutti noi, ma dopo un incidente che ebbe sul motorino smise di ballare. Da lì c'è stato un periodo in cui ci siamo fusi come crew e abbiamo fatto i primi battle in Puglia, siamo usciti fuori dal nulla, non ci conosceva nessuno. Abbiamo fatto i primi contest a Lecce, in provincia, arrivando in finale, semifinale, vinto alcuni eventi, tutti rimasero sorpresi perché nessuno ci conosceva. Avevamo una rivalità con i Last Alive e spesso ne uscivamo vincitori. La cosa che ci ha dato una spinta in più è che siamo stati tra i primi a uscire fuori dall'Italia, siamo stati tra i primi a fare workshop. La scena era frammentata, non c'era molta voglia di condividere con gli altri, c'era una grandissima rivalità che esplodeva negli eventi più grandi. Noi avevamo fame dei battle, facevamo battle più di qualsiasi altra cosa, così, ci siamo messi in gioco.
Questa rivalità tra città che percepivi all'epoca, credi perduri ancora oggi nell'ambiente hip-hop?
Sicuramente tutta la scena è un po' appassita, non c'è più quell'energia, quella fotta. Quando sei ragazzino hai tanta energia, hai tanta voglia di arrivare, quando diventi più grande la cosa è diversa, non c'è stato un cambio generazionale. Conosco tanti ragazzi a Bari che non si sono uniti in una crew, nessuno ha voglia di spingere come avevamo voglia noi, nessuno ha più quella fame, e non te la regala nessuno. Te la devi sudare. Oggi come oggi no, è tutto un po' morto. È appassito, purtroppo.
Tornando al discorso di prima relativo alla crew, volevo chiederti: cosa significa per te essere una crew?
Sicuramente è un concetto che si è evoluto nel tempo, è cambiato. Quando abbiamo creato la crew ciò che per me rappresentava era una famiglia. Le persone con cui vivevo il breaking giorno per giorno, avevamo tutti la stessa identità: c’ero io, c'era Clima, c'era Claudio, C'era Vincenzo, anche la mia ex ragazza, e pure Alessio Giannelli, in un secondo momento. Tutti avevamo lo stesso modo di pensare, stavamo insieme ogni giorno e ballavamo come non ci fosse un domani. Poi si è evoluta la cosa, in crew sono entrati altri ragazzi: Antonio, Gianni, Bruno, venivano da diverse situazioni, così, identità diverse si sono unite al gruppo. Ti dirò la verità, quando ho iniziato a ballare, quel concetto di crew rimarrà sempre ciò che per me è una crew: persone identiche che ragionano nella stessa maniera, che hanno voglia di divertirsi e di spaccare. Successivamente si è trasformato, è diventato: persone totalmente diverse che cercano di convivere, condividendo degli obiettivi nel tentativo di spaccare. Poi, alla fine è diventato: una famiglia di persone totalmente diverse che non condividono quasi più niente (ride), però si vogliono bene. Questo è il processo di crescita che c'è stato. Però, è quello che è stato all'inizio, per me, il vero concetto di crew, persone che hanno solo quello in testa.
Una cosa importante che mi ha dato la mia crew è stata un'identità, il nostro modo di ballare. Quando tu vedi ballare uno dei Bari Got Flava si vede che ha quello stile, quel modo di ballare. Questa è una cosa che mi ha messo un po' in difficoltà all'inizio, perché, secondo me, io avevo un modo diverso di ballare, così come Claudio e Vincenzo, rispetto a Gianni, Antonio e Bruno. Ma ci siamo avvicinati. Piano piano le loro identità si sono avvicinate alle nostre. A volte ci ho sofferto, ma ho preso qualcosa dal loro stile, e alla fine si è creato uno stile che è nostro. C'è la mossa del gallo, ad esempio, che contraddistingue tutti quanti (È anche il simbolo della crew, il gallo, no?Si, esatto), tutta una serie di movimenti richiamano il nostro modo unico di ballare: tipi di ispirazioni comuni come il Kung Fu, o lo stile canadese. Noi balliamo in uno stile mischiato, usiamo le foundation, ma con i movimenti che sono il nostro marchio di fabbrica, che richiamano Bari, le nostre origini.
In che senso, inizialmente, la crew per te era un insieme di persone identiche?
Eravamo identici nel senso che tutti avevamo voglia di divertirci, di viaggiare, di ballare, di metterci costantemente alla prova. Avevamo una fame identica, ci piaceva fare le stesse cose. Non c'era mai un momento di vuoto, ma sempre qualcosa su cui confrontarsi, qualcosa su cui avere uno spunto positivo, c'era una comunione su tutto.
Di base c'era la voglia di mettersi tanto alla prova, forse non eravamo così simili al cento per cento, ma il breaking ci rendeva identici, ci faceva abbattere una serie di barriere, dandoci la possibilità di metterci in gioco.
Mi hai parlato del concetto di stile, un concetto che nel mondo hip-hop sentiamo molto spesso. Che cos'è lo stile nel breaking?
C'è stile quando una persona è coerente con sé stessa. Quando vedi una persona ballare e ha un'identità che è coerente con la sua anima, con quello che lui sta facendo. Ci sono tante persone che cercano di essere diverse da quello che sono, ma quando tu guardi qualcuno e dici: "questa persona ha stile", ti riferisci a qualcuno che ha trovato la sua identità, perché secondo me noi abbiamo un'identità unica, nel ballare, ma in qualsiasi cosa nella nostra vita. Io non ci sono mai riuscito al cento per cento. Questo perché c'è la mente - che è il mio tag oltretutto (Mind) - che ti mette in difficoltà. Tu pensi sempre: "cosa devo fare per riuscire a vincere? Cosa devo fare per riuscire a emergere?", mentre la verità è che una persona per arrivare deve essere sé stessa, avere l'umiltà di capire, e di capirsi. Ovviamente ci sono delle basi da imparare, nel breaking ci sono delle basi, ma bisogna fare una ricerca su di sé. Quando tu guardi un cypher e vedi una persona che ha stile, ciò che tu vedi è una persona in grado di essere naturalmente sé stessa. Ti faccio un esempio, c'è una crew che si chiama Freak Show, praticamente fanno delle robe che a me fanno cagare, il loro modo di ballare non mi piace, però loro hanno un’identità, riescono a ballare in un modo coerente con il loro modo di essere, lo vedi in tutto: nella musica che ascoltano, nel loro modo di vestire, tutto ciò che ammirano lo riescono a mettere nel ballo.
Una volta un b-boy mi fece una critica e mi disse: "guardando il tuo modo di vestire ho capito che tu vuoi essere qualcuno, ma non sei te stesso", e secondo me lui in parte aveva ragione. A me piaceva quel modo di vestire, quel modo di essere, ma c'è una ricerca ancora più profonda che puoi fare su te stesso, per arrivare a emergere al massimo. Questo è stile, vedere un b-boy esprimersi al cento per cento. Vedere la sua anima, non la sua mente.
Lo stile è un qualcosa di personale, oppure anche legato alla tua crew e alla tua città?
Da alcuni dettagli tu la riconosci una crew, però la cosa più potente è quando tu hai una crew di b-boy in cui tutti hanno anche un'identità diversa l'uno dall'altro. Noi siamo sempre stati una crew di pochissime persone, non abbiamo fatto entrare un sacco di ragazzi proprio per questo fatto. Nel ballo ognuno ha una sua ricerca, deve rappresentare sé stesso, oltre che la propria crew.
Per questo, in risposta alla tua domanda ti dico: è una via di mezzo, è un ibrido. Tu devi rappresentare la tua crew, ma allo stesso tempo devi essere unico.
Pensi che lo stile venga appreso oppure inventato?
Eh, bella domanda! Ti dico una via di mezzo, anche qui. È una via di mezzo. Se non apprendi le basi, non puoi inventare il tuo stile, non sarai mai livello alto. Quando tu apprendi le basi puoi padroneggiare il tuo stile particolare. Hai bisogno di apprendere prima di inventare il tuo stile, poi ci sono i geni, i casi limite, ma per me è questo: prima apprendere, poi inventare. Non ci si inventa dal nulla, a priori.
Potresti parlarmi di diverse tipologie di allenamento nel breaking?
Certo! Ad esempio, un allenamento che facevo spesso era allenarmi sulla musica, però - anziché semplicemente ballare - cercavo di provare vari tipi di ritmi (mima una serie di ritmi differenti con la bocca), lo facevo perché è importante imparare ad allenarsi e a ballare su diversi tipi di tempi. È una cosa che ho sempre fatto in allenamento: allenarmi su diversi tipi di musica. Per me i principali sono tre: il funk, il rap e i breakbeat. Io mi allenavo su questi tre, sempre. Un b-boy deve essere in grado di interpretare tutti i tipi di musica.
Poi, a me piaceva lavorare molto sulle forme: essere piccolo, essere più grande, prendere più spazio, prendere meno spazio, questa è una cosa che mi piaceva molto e la trovavo utilissima. Oppure fare entrate a tema, con un solo concetto: usando solo hooks, solo swips, solo drops, e così via, ma quello della musica, era sicuro l'allenamento che facevo più spesso. A ogni entrata sapevo che allenavo determinate skills, sapevo che volevo allenare i livelli, oppure sapevo che volevo essere più dinamico e quindi allenavo gli angoli nei footwork, o ruotavo con alcuni passi. In ogni caso, saper gestire bene la musica, saper ballare BENE su ogni tipo di musica, con la stessa energia, senza perdere energia e hype, era l'allenamento principale.
Quanto è importante il controllo del corpo nello spazio durante un'entrata?
Questa è la cosa che ti stavo dicendo proprio adesso. C'è una cosa che ho sempre amato, più di tutto, ossia: ballare nel cypher, nel cerchio. Secondo me, il saperti gestire in uno spazio piccolissimo è fondamentale. Poi ci sono tanti tipi di cypher, purtroppo o per fortuna, e questi comportano tipi di allenamento differenti, tutti importantissimi.
Quando tu hai un palco grande, uno spazio ampio, comunque devi riuscire a prenderti più spazio possibile, a gestirti questo spazio al meglio possibile. Io provavo in allenamento tutti i passi, però, la cosa più importante era controllare il corpo nel cypher, quando tu hai un cypher piccolissimo ci sono step che sono quasi infattibili e se tu sei un b-boy vero, un b-boy completo, “cazzuto”, devi riuscire a gestire in uno spazio così piccolo tutte le skills o i passi che hai. È fondamentale.
Che cosa rappresenta il cypher nel b-boying?
Secondo me, il cypher rappresenta tantissime cose: rappresenta il confronto con gli altri, lasciare un segno di chi sei, della tua crew. Ritornando al concetto di mente, mi ricordo che nei primi cypher che facevo ero totalmente schiacciato dalla mia mente. Il fatto di confrontarmi con altri b-boy, di ballare e cercare sempre una approvazione, mi tormentava, mi dicevo sempre: "okey, io sto ballando per cercare l'approvazione degli altri”, mentre, secondo me, il cypher è soul. È animo. Tu non balli con le tue skills nel cerchio, tu non balli per impressionare, come accade nei battle (contest), tu balli per esprimere te stesso, la tua anima. Il cerchio ha un flow, se tu spezzi quel flow spezzi l’anima del cerchio, sei fuori! Sei già fuori dai giochi, capito? Il cerchio è il punto dove tu ti metti in gioco, dove tu cerchi di lasciare un'impronta della tua crew, ma sei te stesso al cento per cento, ti lasci andare, puoi essere te stesso.
I battle che più mi hanno gasato nella mia vita li ho fatti dentro il cypher, perché nel cerchio vige altra legge che nei contest, in questi chi fa l'entrata più cazzuta, più o meno, vince. Nel cypher no: chi è più cazzuto, vince! Questa è una cosa leggermente diversa, il cypher è battle, è sfida. Quando avviene nel cerchio è l'universo più magico che abbia mai vissuto, lì puoi fumarti una persona molto più forte di te sulla carta. Tutto diventa possibile. Nel cypher guadagni una consapevolezza che il contest non ti dà. Quando ballavo all'inizio avevo uno spirito più puro di quello che ho adesso, riuscivo a ballare con quella libertà dalla mente che ti schiaccia. Poi, dipende da cypher a cypher, ma per me è libertà, è mettersi alla prova, è tantissime cose.
Quali sono le differenze principali nello sfidarsi, ad esempio, in un cerchio oppure in una competizione organizzata?
Nel cypher tu puoi ballare, sei tu che lo gestisci, puoi fare un battle di cinque, sei, otto, nove entrate, capito? Puoi metterti alla prova, ti puoi confrontare. Nel contest classico - questa è una cosa che a me ha schiacciato nel tempo - fai un’entrata. Tu te la giochi lì, non si vede chi è più forte, si vede chi IN QUEL MOMENTO è più forte. Poi ci sono i giudici che influiscono, mentre la cosa figa nel cypher è che quando fai un battle c'è un solo giudice: te stesso. Magari si, c'è qualcuno che ti fa i complimenti, qualcuno che li fa all'altro, qualcuno che grida mentre balli su un’entrata, però alla fine della fiera quando hai finito la sfida , tu sei il giudice di te stesso. Hai fatto tutte le tue entrate. Nel contest classico è "one shot", hai un peso sulle spalle che è pesante, te la giochi con una botta sola e anche se sei più forte puoi perdere con il più scrauso. Basta che sbagli qualcosa sei perduto.
Io ho sempre amato i battle nel cerchio, però ti dico: anche la sfida nel contest è un’avventura. La cosa figa è che si tratta di una sfida a chi riesce ad azzannare l'altro. Tu ti trovi di fronte un avversario e lo devi sfondare. La cosa che ci ha dato forza (alla crew) è che noi veniamo dai cypher, quindi nei cypher si parla, si è aggressivi, si rompe il cazzo a chi ti sta contro, hai quella fame. C'è chi quella fame non ce l'ha, ti entra nella competizione come un ginnasta ed erano proprio quelle le prede che noi preferivamo perché tu andavi lì gli parlavi addosso, quelli andavano in paranoia, sbagliavano, e noi vincevamo la sfida. (ride). I due tipi di battle hanno qualcosa di simile, ma quello nel cerchio ti dà maggiore consapevolezza ed è più divertente.
Organizzi le tue entrate in un modo diverso nelle due situazioni (cypher e contest), o sempre allo stesso modo?
Quando ballavo nei contest avevo due modi diversi di ballare: il primo era freestyle totale, c’erano eventi in cui sapevo cosa fare, ma il mio approccio era totalmente freestyle ed era il modo di ballare che preferivo, sinceramente; poi, c'è stato un momento in cui ho iniziato a ballare con l’entrate preparate e penso di aver sbagliato tutto (ride), perché non mi piaceva. Nel cypher il battle è a chi muore prima. A chi molla prima. Ho studiato un libro che si chiama "The art of battle" di Alien Ness, ci stavano una serie di tecniche da usare nei battle, delle strategie. Ad esempio, io avevo molti blow up quando ballavo, per questo spesso facevo un blow up e uscivo, blow up e uscivo, blow up e uscivo, così quello che mi trovavo contro - se era una persona che ballava velocissima e faceva tanta roba - con due, tre blow up lo avevo steso, questo non riusciva più a ballare. Mi piace molto giocare in questa maniera. Ho sempre cercato di ribattere a quello che fa il b-boy che sto sfidando, se lui usa determinati passi io cerco di rispondergli a tema. Mi ricordo un contest che feci a Napoli, noi fummo gli unici a usare questa strategia: io "buttai" un’entrata solo per far spompare l’avversario! All’inizio non capirono, mi presero in giro, ma poi vincemmo.
Tu hai anche insegnato, giusto?
Si, ho insegnato.
Secondo te, quanto è importante il cerchio nell'insegnamento del breaking?
Il breaking senza il cerchio non esiste. Senza il cerchio non c'è condivisione di quello che si sta facendo, non c'è lasciare il proprio segno, non c'è rappresentare: in poche parole non esisterebbe il breaking.
Quando io insegnavo all'epoca, fin dall'inizio, la prima cosa che cercavo di fare era il cypher, per ballare tutti assieme. La seconda cosa era il battle, sicuramente, perché fa parte dell'hip-hop, è insito nell'hip-hop, ma il cypher è la base, è iniziare a mettere il tuo segno, rappresentare quello che stai facendo. Se non lo fai, è come se sei cattolico e non vai a messa, sostanzialmente (ride). È la prima cosa che impari facendo breaking, l'elemento base.
Sulla base di questo, come strutturavi solitamente una lezione?
Allora, in una mia lezione iniziavamo facendo riscaldamento, dopo spiegavo qualche passo e lo facevo provare continuamente, ognuno poteva provarlo da solo; quando l'allievo riusciva a padroneggiare il passo c'era il cypher, quindi, in quel cypher dovevi fare quel passo; infine c'era l'ultimo step che era l'evoluzione del passo, ognuno che lo aveva imparato doveva cercare di mettere nel cypher il passo più evoluto. Questo era il principio.
Il cerchio sempre alla fine?
Si! Sia il cerchio che il battle alla fine, anche se io lo mettevo pure nel mezzo. C'era lo spazio per provare il passo da solo, ma poi dovevi metterlo in pratica nel cerchio. Quando insegnavo era tutto in funzione del cypher, o del battle. Dovevi essere in grado di fare una tua entrata, di padroneggiare quello che stavi facendo e di riuscire a sfidare un'altra persona e spaccargli il culo. Questo è il breaking.
Insegnavi unicamente in palestra, oppure anche in altri luoghi?
No, insegnavo anche per strada. Mi è capitato tantissime volte, sarà che sono anziano (ride), ma il fatto che avevamo DVD e che avevamo viaggiato tanto, a Bari moltissime persone mi chiedevano come migliorare, e c'erano dei principi che per me erano fondamentali, quindi, ho insegnato parecchio per strada. Ci sono delle basi che ho appreso grazie ai workshop che ho fatto.
In strutture organizzate?
No, no, anche per strada. Abbiamo fatto workshop con parecchi b-boy: Puzzle, ad esempio, che è stato con noi, ci ha fatto workshop ovunque! Vivere con lui era un workshop continuo! Ti spiegava costantemente per strada, dappertutto, qualsiasi cosa. Anche con i ragazzi dei Polskee Flavor, secondo me, grazie a loro noi siamo diventati Bari Got Flava, ci hanno insegnato tantissime cose. La maggior parte dei workshop che ho fatto, li ho fatti per strada, poco in struttura. Anche come spirito, intendo, non direi mai: "spirito da palestra", nel breaking che ho fatto c'è molta poca palestra.
Di workshop ne ho fatti parecchi in strutture, ma le cose più potenti sono state situazioni che ho vissuto con alcuni b-boy che mi hanno spiegato cosa significava il breaking. Poi ci sono i workshop in palestra in cui ti spiegano il passo, eccetera, però non è quello che fa la differenza.
Queste situazioni cercavi di ricostruirle anche per i tuoi allievi?
Si! Ci vedevamo per strada. La cosa che cercavo di far capire ai miei allievi era la bellezza del breaking, cosa è in grado di darti. La cosa più potente di questa cultura - dell’hip-hop - è creare qualcosa dal niente: quando tu sei niente, senza avere niente in mano, ti dàl'opportunità di creare.
Come ultimo argomento vorrei chiederti: credi che nel breaking, o anche nell'hip-hop in generale, ci sia differenza di genere? Qual è la situazione tra i b-boy e le b-girl?
Questo è qualcosa di cui discuto spesso con la mia ragazza (che è una b-girl) e i miei amici. Secondo me, in questo discorso ci si appella a tante cazzate, cioè:c'è il cypher, ci sono i battle, quando ci sono queste cose siamo tutti uguali, poi, così come nella vita, ci sono i coglioni, le persone che fanno valere la loro autorità per riuscire a guadagnare qualcosa, ma secondo me i cypher e i battle unificano tutto. È un qualcosa su cui si potrebbe discutere all'infinito, onestamente però, non mi tocca più di tanto, se ne discute anche troppo. C'è il cypher, ci sono i battle, a volte si fanno troppe chiacchiere su questo argomento. È una cosa su cui non mi va tanto di discutere.
Delle volte si parla di quanto si può vincerea un b-boy battle, o quanto a un b-girl battle, si discute sul fatto che ci siano meno giudici donne in ogni competizione, ma se io sono l'organizzatore di un evento e ho cinquecento b-boy uomini e cento b-girl iscritte, è normale che io abbia un guadagno maggiore dall'entrata dei b-boy, quindi, che io metta un premio maggiore rispetto al b-girl battle, mi sembra normale. Che poi solo parlare di b-boy battle e b-girl battle è già un categorizzare, capito?
Come vedi questa divisione di categorie nelle competizioni organizzate?
Guarda, ci sono tanti contest che ti rompono i coglioni! Alcuni che fanno bene ai ragazzini come i Kids battle, ma fanno bene relativamente. A volte ci può stare la divisione di categorie, ma a parer mio il breaking è uno. Proprio perché si combatte contro la categorizzazione, basta! Si dovrebbe fare il battle senza farsi troppi problemi. Anche quando si discute sul nome “b-boy”, “b-girl”, si chiacchiera tanto sotto questo punto di vista, ma nella società in cui viviamo oggi di questi problemi ce ne sono sempre di meno. A volte, così, si arriva quasi all'eccesso opposto. Da organizzatore vorrei la categorie divise, perché ci devi guadagnare ed è una cosa diversa; da b-boy le vorrei uniche, sia sotto il punto di vista dei Kids battle che dei b-girl battle. Ci sono b-girl che sono fortissime, come Ayumi;AT! AT lei è più forte del settanta per cento dei b-boy che io vedo ballare al giorno d’oggi, e che cosa è AT una miracolata? Secondo me non fa niente di più di tutte le b-girl italiane che sono nella scena. Questo è quanto.
Nel corso della tua esperienza da insegnante hai mai riscontrato differenze nell'insegnare a b-boy oppure a b-girl?
Dipende. Il fatto è che molte b-girl, secondo me - e questo è un argomento su cui molti mi potrebbero dire qualcosa - amavano il fatto di essere poche in un mondo di soli maschi, di avere gli occhi addosso in un mondo di maschi. Poi, ho avuto delle allieve che spaccavano, questo sicuramente, ma sinceramente una cosa che ho notato anche nelle b-girl che ho conosciuto in giro, è che a loro piaceva essere una minoranza in un mondo di maschi. Forse alcuni mi insulterebbero per questo pensiero (ride), però è una cosa che penso di molte b-girl che ho conosciuto. Perché è qualcosa che non fa solitamente una ragazza, soprattutto prima, nei primi tempi in cui ballavo, ora è una questione un po’ diversa.
Quali sono le cose principali che sono cambiate nella scena hip-hop, da quando hai iniziato a ballare a oggi?
In generale, oggi,c'è un vocabolario molto più grande rispetto a quello che c'era prima. Prima era molto più stretto, orac'è una libertà di esprimersi nettamente maggiore. Questo ha tolto un po' di poesia al breaking perché mentre prima c'era più ricerca, la voglia di creare il proprio stile, oggi c'è la voglia di arraffare, di prendere il più possibile di quello che c'è a disposizione, però è talmente tanto che salti di palo in frasca e non sai più dove andare, non hai neanche il tempo per fermarti e riflettere su dove vuoi andare. Questa è la prima cosa che ho notato.
Segue un po' la società del mondo di oggi, poi dipende ovviamente, ci sono persone che seguono la propria identità e sanno benissimo dove andare, ma la prima cosa che ho notato è questa, anche nel pratico, nel ballare! Prima io per trovare il DVD di Storm mi dovevo ammazzare, fare giorni e giorni di coda su eMule per riuscire a scaricarlo, oggi vai su Youtube e in due secondi hai trovato tutte le foundation del mondo. Penso che se avessi iniziato adesso a ballare non sarei mai diventato un b-boy, non sarei mai riuscito a essere un b-boy. Tutto ciò che a me affascinava del breaking: trovare la mia identità, condividere qualcosa con altre persone - ma soprattutto questa cosa riguardo l’identità- non sarei mai riuscito a farlo, oggi,perché c'è talmente tanto che ti senti sperduto. Quella magia che c'era una volta, quando ti parlo di quattro, cinque spot in cui allenarsi a Bari, è innegabile che oggi non ci sia.
Ho provato a rispondere a questa domanda non in modo ipercritico, ma la verità è questa: non escono più fuori crew, identità, non escono più fuori b-boy che spaccano. Io non penso che i ragazzini che iniziano a ballare oggi non abbiano voglia di creare la propria identità, di creare un breaking diverso, però è un dato di fatto. Fatte rarissime eccezioni è un dato di fatto: ballano in palestra, non per strada, non si creano degli spot, non creano delle situazioni diverse. Purtroppo, credo sia qualcosa che sta scomparendo. Quel tipo di breaking di quando ho iniziato gradualmente sparirà.
L'hip-hop è uno, secondo te, o ne esistono tipologie diverse?
Ognuno di noi ha il suo mondo e il suo mondo lo sviluppa e lo cresce, come fosse il suo giardino. Annaffia il suo mondo fino a quando ha voglia di innaffiarlo, poi c'è chi ha la fortuna di innaffiare nel modo giusto e chi lo fa a capocchia e non è neanche innamorato dell’hip-hop, così il suo giardino non cresce, o sarà un giardino di merda.
Secondo me, è come quando abbiamo parlato di stile: ci sono persone che sono più hip-hop di alcune che lo decantano e stanno nella scena da cinquecento anni. Ognuno deve rappresentare sé stesso, ognuno è sé stesso! È questa la cosa bella dell'hip-hop: ti dà la libertà di essere te stesso, sennò sarai il racconto del racconto di un altro racconto e rimarrai sempre invisibile.