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Quarta Intervista ad Emanuele Dezi aka B.Boy Dezz-It
Intervista dell'autore Jacopo Ferri
Inizialmente vorrei farti alcune domande relative alla tua storia nel mondo dell'hip-hop: a che età hai iniziato a ballare breaking e in quale città?
Ho iniziato a 12 anni, a Roma nel 2002, in una palestra. Il perché è stato molto casuale, diciamo, giocavo a calcio, ma a un certo punto mi prese questa idea di voler ballare, in generale mi era sempre piaciuto, avevo visto alcuni video su MTV a inizio 2000, ad esempio: A little less conversation, una canzone remixata di Michael Jackson in cui c'era un ragazzo che faceva power freeze sul braccio, un altro che faceva footwork, un altro ancora le onde con le braccia; io ovviamente avevo 11 anni e rimasi impressionato, mi intrigava molto. Quindi, a settembre/ottobre di quell'anno presi i miei due amici storici di classe e insieme a loro andammo a fare questa prova di ballo. Volevamo fare hip-hop prima, perché vedevamo questa cosa in televisione, ma poi c'era la prova di break dance e così facemmo questa prima lezione.
Tu hai iniziato in una struttura organizzata, quindi, in una palestra.
Si, quella fu la nostra spinta iniziale. Trovammo un corso dietro casa di un mio amico, proprio dove io andavo in parrocchia, in un campetto dove andavo tutti i giorni dopo scuola con i miei amici. Ci beccavamo là alle quattro del pomeriggio e ci stava un campetto da basket e un campetto da calcio, ci buttavamo sempre a fare una partita a qualcosa. Iniziavamo a uscire da soli il pomeriggio, avevamo dodici, tredici anni, quindi, posso dirti che iniziammo in palestra, però dopo il primo anno che lo facevamo un po' a cazzeggio, ci scattò la fissa e così dopo sette, otto mesi che ballavamo, iniziammo a beccarci il pomeriggio, andando a ballare nella nostra zona. Sotto i portici, ad esempio, davanti all'UPIM c'era questo spot; al Seneca c'era un'altro spot, avevamo questi posti dove ballavamo e quell'estate siamo entrati in contatto con la scena hip-hop del diciottesimo municipio, che era fica! Ci stavano dei writer che beccavamo in giro e loro taggavano in tutta la zona, quindi per noi erano i king, e loro vedevano questi pischelletti di dodici, tredici anni che facevano breaking, a Via Boccea (ride)! Una cosa che non c'entrava proprio niente! Facevamo anche i graffiti noi, andavamo sullo skate, facevamo rap, avevamo iniziato un po' con tutto. Allora entrammo a contatto con questi writer della zona molto più grandi di noi, instaurando i primi contatti con l'hip-hop del nostro piccolo block, fu molto fico! Quindi, si! Ho iniziato in palestra, ma non lo definirei un approccio accademico perché dalla palestra siamo subito andati per strada, iniziando a vestirci in un certo modo, a cercare i writer, provando a imparare da loro, è stato street! Siamo entrati in contatto tramite la palestra, ma poi siamo andati subito in giro nel quartiere a cercare di conoscere le teste hip-hop che c'erano.
C'erano altri ragazzi che ballavano breaking nella vostra zona, o c'eravate soltanto voi?
No, a Boccea c'era la Global Dance - dove ho iniziato - che era praticamente il centro della zona. C'erano ragazzi più grandi che già ballavano da un po', me ne ricordo alcuni che già facevano il mulino, due giri di thomas, uno girava un po' sulla testa, erano grandi e per noi erano fortissimi. Invece, al primo contest che abbiamo fatto - mi pare nel 2004 - che fu davanti alla nostra palestra in una parrocchia, vedemmo i b-boy di Roma come Primizio, Apache, Vic, per la prima volta. Questi b-boy facevano giuria, perché Paolo - il nostro insegnante - li conosceva. Lì abbiamo iniziato a incontrare le crew antagoniste di ragazzi della nostra età ed entrammo in faida, diciamo, in lotta, con una crew di Casalotti. Così, si creò la rivalità: Casalotti-Boccea, che sono due zone limitrofe, due block. Noi ballavamo più di stile, loro già facevano gli air track sui gomiti; i saltelli su un gomito; gli air track sulle mani. La nostra crew si chiamava Style for life: ci stava Lotus; il Dodo che era l'unico della crew che sapeva fare l'air chair! (ride) Con questi ragazzi di Casalotti si creò una cosa figa, poi con gli anni siamo diventati amici.
Dove prendevate l'ispirazione in un periodo in cui non c’erano molte informazioni a riguardo dell'hip-hop o del breaking?
Io mi ricordo che Paolo ci faceva vedere dei video, una volta entrai in palestra e lui si stava vedendo The freshest kids, io ancora non sapevo un cazzo di tutto questo! Lui stava al pc e mi disse che era un documentario sull'hip-hop, mi fece vedere Ken Swift, Crazy Legs, i b-boy originali, e lì mi fece vedere il primo airtrack, io non sapevo nemmeno cosa fosse. Stavo in fissa con le power move, così mi fece vedere un video a rallentatore di questo che faceva l'air track. Entravo a contatto in questo modo con le cose, tramite i video, i film, come ad esempio Street dance fighters, o all'epoca quando uscì 8Mile, con Eminem, o più tardi con i film di Step up, anche se sono venuti un po' dopo. Questo creava un po' di confusione, perché lì vedevi il breaking mixato con tutt'altra roba, così noi emulavamo e ricopiavamo quello che vedevamo. Abbiamo appreso le differenze quando ci siamo aperti un po' al breaking vero e proprio, iniziando ad andare all'Air Terminal dove c'erano tutti i b-boy di Roma. Ricordo che c'erano dei ragazzi rumeni che sparavano gli air track, e lì vidi il primo air track dal vivo della mia vita! Ricordo che dissi a tutti i miei amici: "Rega', c'è uno che sa' fa' l'airtrack!" (ride), e tutta la mia crew era fomentatissima. Da lì ci iniziammo ad allenare all'Air Terminal, dove beccammo i primi battle: gli SPQR Underground, dove c'erano gli Urban Force, ci stava Mario - rest in peace -, ci stavano un sacco di b-boy romani che poi abbiamo conosciuto, abbiamo iniziato a sfidare, cominciando a capire soprattutto la differenza tra lo stile e il provarsi semplicemente le cose durante l'allenamento. I nostri allenamenti prima erano semplicemente provare le cose: provare a girare sulla testa, il mulino, la pallina, i footwork erano quello che capitava, il toprock era una preparazione, io facevo anche electric boogaloo, o almeno ci provavo (ride), per farti capire.
C'era una confusione di stili perché il breaking vi era arrivato in questo modo, oppure voi praticavate stili differenti?
No, per noi era tutta un'unica cosa. Soprattutto per i video che vedevamo. Anche Paolo, il nostro insegnante, praticava un sacco di stili di ballo differenti, quindi, noi acquisivamo tutto quello che vedevamo: il popping, electric boogaloo, le onde, era tutto un po' mischiato, era proprio disinformazione dell'epoca. Io ricordo che la mia svolta personale arrivò quando Paolo mi diede Lords of the floor, il contest del 2002. Questo fu il DVD del primo evento in cui vidi davvero breaking! Vedere tutti quei b-boy che si muovevano in un certo modo: Kmel, El nino a dodici anni che usciva da una borsa (ride), lì è stato il mio punto di svolta! Mi ricordo che provavo a copiare tutto ciò che vedevo, ovviamente, nel male, però mi fece capire la differenza tra quello che facevano loro e quello che facevo io, o quello che si faceva all'Air Terminal. Lo stile si è iniziato a creare, e ha iniziato a prendere forma da lìin poi.
Quando vi siete spostati dalla palestra iniziando a ballare per strada,c'è stato anche un cambiamento del breaking a livello pratico, oppure è stata una trasformazione solo concettuale?
No, non è stata concettuale. Sono due cose diverse. Nel 2006 noi abbiamo lasciato la palestra, dal 2002 al 2004 io sono stato quasi esclusivamente lì, poi ho iniziato a farmi i primi battle a Roma, ad andare all'Hip-hop Connection, quindi a girare anche in Italia, eccetera, a vedere la scena com'era in giro. Quando ho iniziato a uscire un po' dalla palestra ci fu una discussione con Paolo e da quell'anno ci siamo allontanati. Prima era diverso, nei primi tempi era andare in giro nella nostra zona, da ragazzini, con lo spray in tasca a fare i tag e poi fermarsi a ballare, era tutto mischiato. Realmente lo stacco dalla palestra c'è stato nel 2006, dopo quattro anni. In quell'anno molti di noi hanno smesso di ballare, molti ragazzi della prima crew. Da lì abbiamo iniziato ad allenarci ancora di più all'Air Terminal, oppure andavamo da Primizio a Montesacro, ci allenavamo un po' in giro, ci siamo aperti alla scena di Roma facendo alcuni contest e vincendo anche qualche cosa. Mi ricordo che io e Lotus battemmo in un battle gli Urban Force, e noi non eravamo nessuno! Fu una cosa abbastanza d’impatto. Da lì ci siamo aperti alla scena, da quell’anno.
Quando sei entrato in una crew per la prima volta?
La prima crew l'abbiamo fatta nel 2003: gli Style for life, eravamo l'insieme dei ragazzi che ballavano in palestra. Durò fino al 2006-2007. Quando tutti smisero ci trovammo con Mistiko e Mad ancora fomentati. Ci allenavamo a bestia, volevamo spaccare tutti! Ballavamo in modo strano, la knowledge era poca, ci allenavamo anche sul rock, per farti capire, sparando le powermove fomentati. Era molto tecnico. Ricordo che io iniziai a comprarmi le Gazzelle, i Dickies, ci fu uno switchvero e proprio che addirittura quelli della mia crew mi dissero: "ma come ti vesti? Vuoi fare quello stiloso?”,perché c'era ancora questa distinzione tra i diversi modi di vestire: lo stile francese, lo stile americano. Quando facemmo la crew Gang Bang io iniziai a studiare il breaking di più: la Rock Steady Crew, Born, Casper, la storia, e da lì mi accorsi come il modo di vestire aveva la sua importanza nella cultura, nel modo in cui balli e in come ti rappresenta. Gli altri della mia crew erano più orientati sullo stile di Lilou, ad esempio, un po' abstract style, flexible, e non c'era tanto la parte del ballare nel senso vero e proprio. Io feci questo switch, invece.
Poi, hai avuto altre crew?
Nel 2008 ci fu una dispersione generale: chi se ne andò all'università, chi iniziò a essere meno infervorato con il breaking. Io iniziai a entrare in contatto con Fabio Loop, già andavo allo IALS, lui insegnava lì. Eravamo diventati amici, ogni tanto a lezione lo sostituivo. Quelli furono gli anni del Fluido Team, che quell'anno divenne Fluido Clan. Era fortissimo all'epoca perché era un team composto da tutti b-boy che si erano trasferiti a Roma: Eddy, Rohan, Kacyo, Warlus, un sacco di b-boy si erano trasferiti a Roma creando questo team, e io andandomi ad allenare allo IALS entrai a contatto con loro sempre di più. Un giorno, Fabio che stava a cena con tutti loro mi chiamò e mi chiesero di entrare in crew con loro - io ero scarso all'epoca, era il 2007 - ovviamente dissi di si, cazzo, volevo spingere! Gli dissi di sì non perché la mia crew non mi piaceva, era una famiglia per me, tutti noi siamo ancora amici, fratelli, però nel breaking sentivo di dover fare qualcosa di diverso, di dover fare di più. Mi ricordo che glielo dissi e loro ci rimasero male, ma da quel momento iniziai a focalizzarmi molto di più sul breaking, quello fu il momento dello stacco con la Gang Bang crew.
Poi, dopo pochi mesi che ero in Fluido Clan ci fu una litigata con Fabio e lui tolse il nome "Fluido" dalla crew, per cui ci fu un primo passaggio al nome Mouse Traps, nome che ho suggerito io con tanta vergogna (ride), che però fu preso in considerazione e partecipammo anche a un contest a Roma contro gli Urban Force con questo nome, perdendo in un modo abbastanza brutto. Così, ci fu una riorganizzazione e da lì nacque il nome De Klan, che è il nome attuale del gruppo. Dopo pochi mesi io uscii dalla crew perché la pensavo diversamente sul breaking, non mi sentivo molto in linea con le idee che avevano gli altri, in generale, non erano idee migliori o peggiori, ma semplicemente diverse. In quel periodo avevo mantenuto molti contatti con alcuni ragazzi di Roma, come Locorock, oppure alcuni b-boy degli Street Fighters di Ostia, che ai tempi della mia prima crew erano l'unico gruppo di ragazzi della nostra stessa età realmente presenti nella scena di Roma. Nel 2008, quando uscii dai De Klan mi beccavo ancora con gli Street Fighters e mi ricordo che nel 2009 ci fu questo pulman organizzato dagli Urban Force per andare al Circle Kingz in Svizzera, con tutta la scena romana, sia ragazzi grandi che ragazzi piccoli, c'erano tutti! E in questo pulman stringemmo i rapporti con un sacco di gente, anche con Roika e Moretz, ad esempio, che a quei tempi erano tra le b-girl di Roma più attive. Da lì - tornando da quel viaggio - con Ryu, Simba, Leo, Locorock e pure Lotus - che ancora un po' ballicchiava - decidemmo di creare una crew nuova con quelli della nostra generazione che erano rimasti. Così, nacque Raw Muzzlez. Ci volle un po' di tempo per scegliere il nome, all'inizio dovevamo essere sei,sette, ma poi alla fine a creare la crew fummo solamente in quattro: io, Simba, Ryu e Leo. Da quel momento è iniziato il percorso con i Raw Muzzlez, che è quello che portiamo avanti tuttora. Decidemmo di voler spaccare nel breaking e la prima cosa che abbiamo fatto è stato andare in America, un viaggio che ha rivoluzionato un po' tutto quanto.
Tu oggi fai parte di due crew: Raw Muzzlez - che hai appena menzionato - e Concrete All Stars, crew di Los Angeles in cui sei entrato pochi anni fa. Cosa significa, per te, una crew? Dai un significato diverso a questi due gruppi?
Non hanno un significato diverso, per me. La crew è sempre la crew. Raw Muzzlez è una crew che abbiamo creato noi da zero, quindi - ovviamente - il significato che ha all'interno della mia storia e all'interno della mia esperienza di vita è diverso dai Concrete All Stars. I Concrete sono stati più un riconoscimento, io l'ho visto più come un riconoscimento che ci hanno dato a me e a Simba. A forza di andare a Los Angeles tutti gli anni, tutte le estati, entrare in contatto con ognuno di loro - soprattutto con Muneki all'inizio che ora fa parte anche di Raw Muzzlez - ci ha portato all'interno di un ambiente abbastanza crudo, lì abbiamo fatto i primi allenamenti, c'era Kmel, Casper, noi eravamo ancora pischelli. Andando avanti con gli anni, io e Simba abbiamo fatto il giro del mondo ballando, abbiamo fatto numerose esperienze all’estero entrando sempre più a contatto con loro, facendo i cerchi e i battle ci siamo sentiti parte di quell'approccio, loro sono quelli che ci hanno ispirato all'inizio a ballare in un certo modo! Venendo da Roma, dall'Italia, quello che vedi è tanto su internet, così ti ispiri, cerchi di capire quale sia il breaking vero, quello fatto bene. Entrare in contatto con loro era per noi impensabile, ci fu la prima sfida con loro a San Diego in cui Smurf ci venne a sfidare, noi avevamo appena perso il battle contro i Freak Show e lui ci iniziò a guardare facendo top rock nell'angolo, ci chiese se avevamo già fatto la sfida nel contest, e poi ci sfidò. Arrivarono tutti i Concrete All Stars: Prada G, Muneki, Johnny Legs, c'erano tutti, è stato intenso, per noi erano idoli. Far parte di questa crew è un grande riconoscimento per me, sento che rispettano il modo in cui balliamo, la nostra crew qui a Roma, siamo tutti in contatto con loro, è una ficata! Quando abbiamo fatto il Freestyle Session nel 2017 con i Concrete All Stars è stato un grande punto di svolta, ho sentito molto la crew alle mie spalle. Per me la crew deve sempre avere un senso, anche se siamo dall'altra parte del mondo il breaking che facciamo è lo stesso, e se siamo nello stesso cerchio si deve vedere che siamo della stessa crew.
Quanto andare in America, e tutti gli altri viaggi relativi al breaking, hanno influito praticamente sul tuo modo di ballare?
Tantissimo. Nel pratico io intendo anche la parte concettuale, anche quella è parte pratica, secondo me. La parte pratica di passi e di concetti è stata tutta presa dagli Stati Uniti. Se rimani solo a casa tua e guardi i video su Youtube, o vai ai battle della tua città e basta, non puoi prendere. Non puoi. È una cosa che devi sentire sulla tua pelle, ti devi trovare in quel cerchio, in quel battle, ti devi trovare faccia a faccia con qualcuno che ti sfida in un certo modo, come sanno fare lì, dove il breaking è molto più grezzo e duro. Per dire: perché andare a New York che è la mecca dell'hip-hop? Perché camminare per New York ti fa respirare l’hip-hop! Andare a vedere i graffiti; il Five Points - io ho avuto la fortuna di andarlo a vedere prima che lo abbattessero - ; andare a ballare in dei posti storici vivendosi delle situazioni, cioè, è una cosa che respiri! Non è una cosa che puoi prendere vedendo solo le cose su internet. Stesso discorso vale per Los Angeles. In generale nel breaking ciò che conta è starci, è andarlo a fare, andarlo a prendere, andarlo a vedere.
Quanto è importante la sfida e il battle nel breaking e nell’hip-hop, in generale?
È super importante. È proprio il concetto dell'hip-hop. Se tu non ti metti in gioco non stai realmente facendo breaking! Un conto è farlo a casa tua da solo, ma basandomi sulla mia esperienza personale - ti parlo di una visione soggettiva, non credo sia così nero su bianco, anche se per me lo è - per me il termine b-boy è battle-boy, è il significato in cui mi rispecchio. La competizione non significa odiarsi, o rosicare, significa: "okey, io faccio questa cosa, ti sfido, perché la base dell'hip-hop è il battle", in tutte le arti. Hip-hop, queste due parole: Hop, significa farlo, è il salto, mettersi in gioco, saltare dentro al cerchio, competere; Hipsignifica saperlo fare, è la knowledge, capire cosa stiamo facendo. Essere hip si usa anche al di fuori dell'hip-hop in inglese - ad esempio gli hippie, gli hipster, è una parola che si trova in tanti termini - significa "stare sul pezzo", diciamo, tradotto in italiano: essere alla moda, essere in un certo modo con conoscenza.
Se sei nel cerchio e non salti dentro al cerchio non stai facendo hip-hop, puoi essere vestito fresh quanto ti pare, ma non lo stai facendo. La stessa cosa vale a livello competitivo, se tu non competi e te ne stai solo a casa, ad allenarti, tutti i giorni, dodici ore al giorno, ma non vai poi nel cerchio con il rischio di essere sfidato, oppure di sfidare tu qualcuno, non lo stai facendo realmente! È questo che è l'hip-hop. Mettersi in gioco con la tua faccia all'interno del cerchio e dire: "okey, io sono qua, io rappresento la mia città, il mio modo di ballare", è portare il proprio passato, quello che fai al di fuori del breaking e dell'hip-hop nella tua vita, portarlo qua all'interno del cerchio, portare te stesso! E se a te non ti sta bene e mi sfidi io sono qui, mi metto in gioco! Nell'hip-hop è tutto rappresent, rappresentare. Questa è una parola molto sputtanata oggi, tutti la usano, ma il rappresentare ha un significato importante che è alla base del battle e del perché facciamo questa cosa.
Qual è la differenza nello sfidarsi in un cerchio, oppure in una competizione organizzata (contest)?
Sicuramente l'energia, questo è il motivo per cui mi da fastidio andare a fare i contest. Se io vado a una competizione vestito fresh, senza dover partecipare per forza, se non vado lì preparato a partecipare, ma solo per ballare tutto il giorno e rappresentare nel cerchio e fuori, io ci vado con un altro approccio! Ci vado con un altra mentalità! Mi dà molta più serenità, mi trovo a mio agio nel fare questo, perché so che quello è il mio territorio, vivermi la jam in questo modo mi fa sentire tranquillo. Nel contest, soprattutto negli ultimi anni, ci sono delle regole che stanno snaturando il breaking e quindi non mi sento a mio agio. Quella tensione del dover fare un certo tipo di entrate, dover vincere la sfida. Una sfida obbligata contro persone che non conosci, una musica che non ti piace, energia del pubblico che spesso non c'è. Non ti dico nove volte su dieci, ma molto spesso, i contest sono così: Il pubblico è spento, la musica fa cagare, gli avversari non sai chi sono e non c'è un minimo di intesa. Nel cerchio questo non esiste. Nel cerchio balli quando la musica ti piace, nel cerchio c'è un’energia di persone che stanno lì esclusivamente per ballare e partecipare al cerchio, quindi, se tu fai qualcosa di figo, o di brutto, la senti l'energia di chi sta lì! È un'altra situazione, questo è il breaking, questo è realmente il breaking.
Non mi sento a mio agio in un contest. Negli anni sto imparando a portare quello che faccio nel cerchio all'interno del contest, perché è quello che so fare meglio. Non voglio scendere al compromesso di ballare come devo ballare in un contest, l'ho fatto per molti anni e sento che non è divertente: vado lì teso, vado lì pensando che devo sparare qualcosa di difficile per battere chi ho davanti, queste cose qui vanno poi a intaccare il nostro breaking perché non è più libero e sulla musica, ma diventa mentale. Il breaking di oggi è quasi solo mentale - nei battle soprattutto - non è breaking musicale, di anima, di flavor, ma è breaking mentale. Devi essere preparato mentalmente e sapere le tue skill, sapere cosa andrai a fare perché lì vince solo chi è più pulito, chi spara le cose difficili senza sporcarle, senza sbagliare, questo è una merda. Non è una cosa positiva, per me.
Come balli nei due diversi contesti, utilizzi sempre un approccio freestyle oppure ci sono delle differenze?
Innanzitutto, ballo in modo diverso a causa dello spazio. La prima variante che c'è tra il cerchio e un contest è lo spazio. Nel cerchio spesso lo spazio è molto poco, è piccolo, e tu ti devi adattare. Il b-boy si adatta al posto, al luogo, alla situazione in cui si trova. Questo perché quello che noi principalmente facciamo è ballare, non è eseguire dei movimenti e basta, noi balliamo. Se tu mi metti in un cerchio piccolo, o in un cerchio grande, io mi adatto ballando e prendendo la spazio che ho attorno a me perché sono conscio di quello che sto facendo e di me stesso. Sicuramente il mio approccio nel cerchio è diverso, proprio in base a ciò che praticamente andrò a fare a terra, perché lo spazio è diverso. Però l'approccio è sempre quello di entrare con la mia energia, rappresentando in un certo modo.
Direi che, personalmente, sto lavorando per non averla questa differenza. Il mio approccio è sempre quello. Nel contest potrò fare più cose perché ho più spazio: faccio più rotazioni, prendo più spazio con i footwork, cose così. Nel cerchio ballo più "piccolo", ma l'approccio se uno mi sfida nel cerchio o nel contest è sempre guerra. Se vado a una jam, io sto andando in guerra. Non ci vado con l'idea di cazzeggiare, cioè, vado lì anche per ballare tutto il giorno e divertirmi, però attraverso il breaking, di cui il battle ne è la componente principale. L'approccio di come entri nel contest o di come entri nel cerchio è sempre per rappresentare te stesso a testa alta e a muso duro. Sto lavorando sempre di più per non avere questa differenza.
Quanto è importante controllare il proprio corpo all'interno di spazi differenti per un b-boy? Saper fare breaking in un cerchio piccolo, in un cerchio grande, in luoghi diversi. Quanto è importante sapersi adattare a tutte queste situazioni?
L'asfalto, il marmo, il parquet, è tutto diverso. Quando ti trovi in una situazione in cui si va a fare breaking è sempre diverso quello che trovi. Per me sapersi adattare è essenziale. Il b-boy deve sapersi adattare a tutto, non solo allo spazio, ma anche al tipo di spazio, al tipo di luogo. Se stai in discoteca e stai facendo uno show in cui ti pagano trecento euro per fare due entrate e girare sulla testa, tu ti rapporti in un certo modo a quella cosa, perché stai facendo uno show e devi intrattenere le persone, ad esempio. Il luogo in cui ti trovi, la situazione in cui ti trovi sono importanti - sia per la grandezza dello spazio, sia per la tipologia del posto - , ma tu devi saper far breaking ovunque. Sul palco, in un big stage, ballo in un certo modo, nel cerchio ballo in un altro modo. Se io faccio solo footwork, per dire, non è che sul big stage non ballo: adatto il mio breaking a quello spazio. Stessa cosa nel cerchio: se io faccio solo powermove e nel cerchio non so fare un'entrata, sono un coglione, non faccio breaking. Io devo saper adattare tutto quello che faccio ai vari spazi. Questa distinzione di modi di ballare non ci dovrebbe essere, in generale.
Spesso nel breaking si parla di un concetto: il going off, in che cosa consiste?
Se devo dare una definizione rapida e concisa ti dico: è fare breaking. È il momento in cui fai realmente breaking. Il momento del goingoff è quando tu sei in una situazione in cui non puoi non farlo, cioè, il momento in cui vai off e spegni il cervello, è quando realmente il tuo corpo si muove sulla musica e tu non stai pensando. Il pensiero non c'è. Ci sei solo tu e l'azione spontanea, unica, irripetibile di quel momento sulla musica. Anche Easyrock lo racconta in un’intervista: lui fece un'entrata in un cypher in discoteca su una canzone che gli piaceva un sacco, iniziò a ballare totalmente a caso, tutti si fomentarono con la sua entrata e quando usci fuori, non ricordo a chi, gli disse: "io non so neanche una cosa di ciò che ho fatto", e questo gli rispose: "perché stavi facendo davvero breaking". Questo è un esempio che ti fa capire il go off, che poi se lo vogliamo analizzare è come dovrebbe sempre essere ballare.
Se tu vai in un cerchio, in un battle, è questo che dovrebbe essere valutato! Chi è che riesce a fare con il proprio corpo a livello tecnico e musicale, il meglio? Non chi esegue meglio i propri movimenti studiati, senza anima, solo di mente. Ma chi è che riesce a chiudere la mente, a bloccare i pensieri, ad andare solo esclusivamente con la musica e usare tutto ciò che il suo corpo sa fare e che ha studiato e allenato, prendendo il massimo da quell'unico e irripetibile momento? Questo è il goingoff.
C'è un modo particolare in cui ti prepari psicologicamente e fisicamente per entrare nel cerchio?
All'inizio entrare nei cerchi non era facile, almeno io personalmente sentivo sempre la pressione, specialmente in America quando ti vivi un certo tipo di energia con un certo tipo di b-boy che ballano da tanto, o che sono troppo più forti di te e hanno una confidenza che tu ti sogni la notte, in quei cerchi è difficile entrare. A forza di fare quello e di essere timido, il mio approccio al cerchio è diventato: "prima faccio il salto dentro, poi ci penso."
Io quando arrivo a una jam non mi metto a chiacchierare, a fare il giro, a salutare tutti i b-boy presenti. Io arrivo e vado direttamente nel cerchio. Questo mi aiuta molto. Non vedere le persone, non salutarle, non entrarci in contatto, trovarcisi poi in un cerchio e in un battle, l'energia è diversa! Ovviamente adesso in Italia siamo un po' tutti amici, ci conosciamo da anni, la scena è quella, quindi se io becco persone che conosco da quindici anni ci inizio a parlare. Ma a me piace arrivare alla jam a testa bassa, non vedere nessuno, andare nel cerchio, posare lo zaino ed entrare. Questo mi aiuta molto nella preparazione psicologica, perché mi fa saltare quella fase di timidezza e incertezza. Prima fai il passo all'interno del cerchio, poi ci pensi, ormai sei dentro.
Tu insegni anche giusto? Da quanti anni?
Dal 2008 circa, quindi da dodici, tredici anni, cose così.
In base alla tua esperienza, quanto credi sia importante l'insegnamento e l'apprendimento del breaking attraverso il cypher?
Il cypher all'interno della lezione ci sta e ti deve aiutare ad apprendere delle cose, ma il cypher vero a proprio lo trovi quando vai a un evento. Tu a lezione lo puoi emulare, simulare, con un certo tipo di energia, anche perché sei in palestra con cinque, sei allievi, dieci - se ti dice culo - non c'è quel tipo di energia che trovi quando vai a un evento con persone che non conosci. Questa è la cosa che mi interessa far sbloccare ai miei allievi: avere la confidenza, allenarsi l'approccio al cerchio e ai battle con me in sala, però quando sono a una jam devono sapere da soli come rapportarsi a altri b-boy, come entrare nel cerchio, come rapportarsi all'evento vero e proprio, come entrare nella sfida! Qual è il primo passo fisico che devi fare quando: "3,2,1, inizia il battle!" Come entri? Qual è il primo passo che farai? Il cypher in una lezione si può fare come allenamento, ma non sarà mai il vero e proprio cerchio dove devi sentire la pressione di non sapere chi hai di fronte, rappresentando te stesso lì davanti a tutti. È una cosa completamente diversa del farlo con i tuoi amici in sala.
Come strutturi solitamente una tua lezione?
Guarda, io insegno anche yoga quindi includo spesso delle cose nel riscaldamento: esercizi di respirazione, di warm up, per scaldare bene il corpo e prepararci in modo fisico a quello che andremo a fare, mi piace saper mantenere il corpo in un certo modo per evitare infortuni e poter ballare anche a cinquanta anni, mantenendo in forma sé stessi. Quindi, ovviamente all'inizio un po' di warm up, specialmente per ginocchia, polsi, schiena, collo, che sono le cose che usiamo di più nel breaking. Dopodiché, dipende dal livello che hanno i ragazzi. Se io seguo persone che hanno iniziato a ballare con me da qualche mese devo fare un percorso in cui gli devo far capire cos’è la musica, come si ascolta la musica, i tempi delle canzoni, le foundation del breaking sia fisiche che concettuali, di cui fanno parte anche le cose che ho appena detto. Questo percorso può prendere un anno, come due, come pochi mesi, anche se è raro che prenda pochi mesi, ma questo percorso deve essere fatto perché se non hai le basi non puoi costruire niente sopra. Se i mattoni sono di cemento è un discorso, se sono di sabbia è un altro. Io voglio costruire con i miei allievi dei mattoni di cemento armato e poi far costruire a loro la propria casa, sempre con il cemento. È importante dare delle buone basi su cui possano costruire il proprio breaking. È così che strutturo un anno accademico, diciamo, in cui seguo delle persone.
Se ho, invece, dei b-boy che ballano già da molti anni, che hanno delle lacune, che non hanno mai viaggiato o non sanno dei concetti, vado a ripassare tutte le foundation mancanti e a correggere le posizioni, l'approccio, provando a dare delle cose in più. Anche il cypher è una cosa che utilizzo, lo faccio quasi sempre a fine lezione, come i battle, ma come ti ho detto prima non è la base della mia lezione. Sono più importanti altre cose, come - ad esempio - l'approccio al cypher, per dire.
Per cambiare argomento. C'è una famosa frase del writer americano Kase 2 che dice: "Devi avere stile se vuoi combattere per lo stile, se non hai stile perché vuoi far parte di un movimento che è interamente basato sullo stile?", sulla base di questa affermazione vorrei chiederti: cos'è lo stile nel breaking, secondo te, e perché è così importante nella cultura hip-hop?
Allora, prima di tutto - come stavamo dicendo prima - è così importante perché noi balliamo. Prima ancora di ballare facciamo parte di questo movimento, di questa cultura. Sia se balli o se fai gli scratch, sia se canti o fai i graffiti, ognuno di noi una volta che ha preso le basi di una disciplina deve trovare il modo per esprimere sé stesso, questa è la bellezza dell'arte in generale, e quindi, anche dell'hip-hop. Hai la libertà di esprimere te stesso al cento per cento all'interno di questo movimento. Poi, ovviamente, se io mi sento una ballerina di danza classica e vado a fare breaking, non vado con le scarpe di danza classica in un cypher, quello è un andare fuori da ciò che gli altri prima di noi hanno costruito all'interno dell'hip-hop e della cultura hip-hop,perché noi rappresentiamo anche un movimento, basato anche sul modo di vestire, ad esempio. Tu sei hip-hop ventiquattro ore su ventiquattro, non solo quando vai a fare breaking in palestra o alla jam. Lo stile è un prendere forma. È così importante perché se tu rimani in una certa scatola e non vai al di fuori di questa scatola, ne rimarrai sempre all'interno e non evolverai mai il tuo unico, unico, movimento - ora stiamo parlando di breaking, quindi ti parlo di movimento -, e non svilupperai neanche il tuo carattere che è una cosa alla base del breaking e di molte crew. Non troverai mai il tuo character, che non è il carattere, ma il personaggio.
La frase che si dice di solito è che tu devi riconoscere un b-boy dalla sua ombra, quindi, se tu vedi un b-boy ballare e vedi la sua ombra lo DEVI saper riconoscere, e questo avviene solo quando quel b-boy è andato oltre, è andato così a fondo, ha ballato così tanto, ha così tanta passione in questa cosa che - come dice Bruce Lee - si è "cristallizzato". Non è più il passo e basta, è il passo fatto da te. Tutti al mondo ti possono insegnare quel passo base, ma quel b-boy che ha cristallizzato quel passo nel proprio modo, le foundation, che è uscito fuori, lo farà in un modo che tu dall'ombra potrai riconoscere che è lui! Pure se si tratta di un passo basa che tutti sanno fare. È questa la definizione, per me. Poi, se mi chiedi perché è così importante, ti rispondo perché è la ricerca reale. Perché è così che esce fuori chi sei veramente, non esce fuori il passo, esce fuori IL MOVIMENTO. "Is not the move, is the movement", come si dice, non è il passo che fai: è come lo fai! È lì che esce fuori l'anima, secondo me, che va oltre! E così stiamo entrando un po' anche nello spirituale, però - come quando parlavamo prima del going off - quando chiudi la mente, e non c'è più la mente e nemmeno i sensi, esce fuori quella parte tua unica. Stessa cosa nello stile. Quando vai oltre certe cose e crei quel tuo unico modo di muoverti che le persone sanno riconoscere e apprezzare, lì non è più ballare e basta, lì è proprio esprimere sé stessi al cento per cento.
Credi che lo stile sia qualcosa di individuale o anche collettivo? Credi ci sia uno stile trasversale che si sviluppa all'interno di una crew, oppure di una città?
Forse la parola stile per una cosa collettiva è sbagliata, cioè, non è la parola corretta. Per esempio, si dice: "lo stile di quella città", "lo stile di quella crew", ha senso quando lo dici, però non credo che stile sia proprio il termine corretto per identificare una cosa del genere. Come stavamo dicendo prima, secondo me, è qualcosa di più individuale lo stile. Lo stile nel senso della parola e di come l'ho descritto fino a ora è proprio una cosa individuale che viene fuori da sola. Tu non lo devi forzare, lo stile viene fuori facendo questa cosa. Può succedere che una crew faccia questo lavoro insieme, quindi potrebbe essere che una crew crei collettivamente un proprio stile, però credo non sia il termine giusto per definirlo. È più un modo di fare le cose, in cui all'interno ognuno avrà il proprio stile che sarà comunque diverso e unico, non sarà mai di tutti quanti uguale soprattutto se ognuno arriva a evolverlo a modo suo. C'è un modo di ballare e un approccio simile, ma dire: "lo stile di una città", o di una crew, non è la parola esatta.
Credi che la tua città, o le tue crew, abbiano un'identità - se non vogliamo chiamarla stile - che le rappresenti collettivamente?
Si, dipende. La mia città, Roma, è ancora molto giovane sotto questo punto di vista. Sicuramente si sta formando, ma - come dicevo prima - l'approccio che c'è a Roma - grazie ad alcune crew di Roma che hanno fatto la storia negli ultimi quindici, venti anni - è ciò che un b-boy che viene da fuori si aspetta di trovare quando viene. Quando una persona viene a Roma - una cosa che ho sentito dire spesso anche durante gli eventi che abbiamo organizzato - dice di voler venire perché trova delle cose, un approccio, un certo modo di fare breaking. La gente sa che se viene a Roma troverà i cerchi, troverà qualcuno che la sfida, una certa situazione, perché le crew di Roma hanno creato nel tempo questo approccio. Però siamo lontani dal dire che la città abbia un proprio stile, un proprio modo di ballare!
Sotto questo punto di vista, se tu vai ad allenarti a Milano, per esempio, oppure in una qualsiasi altra città italiana, tu senti una differenza nella situazione o nel modo pratico di ballare?
Certo, certo. Spesso ci siamo trovati con altri b-boy di Roma in alcuni eventi al di fuori della città e ci siamo uniti inconsciamente per rappresentare quell'approccio, per far vedere che Roma era nel cerchio, che Roma c'era a quell’evento. Per far vedere che erano i b-boy di Roma ha creare un determinato cerchio, ha sfidare delle persone, è importante questo! Però, ti ripeto, io non parlo di stile. Alcune città nel mondo hanno un proprio stile, un proprio approccio che caratterizza quella determinata città.
Anche di movimenti, intendi?
Anche di movimenti, esatto! E di foundation, soprattutto! Per questo ti dico a Roma, stile, non è la parola esatta. L'esempio che faccio sempre è quello di Toronto, una città che mi ha colpito molto, perché Toronto ha le proprie foundation. Ci sono dei passi di Toronto, dei movimenti, delle skill - chiamiamole così - che sono caratteristiche di quella città. Loro le chiamano:"Toronto's foundation”. Sono dei passi che hanno una storia dietro, delle crew che hanno fatto la storia di quella città, una storia più grande e più lunga, hanno già passato quel periodo di problemi e scazzi fra le crew, stanno avanti in questo. Lo stile in quella città si è cristallizzato un po'. Si è creato uno stile portato da b-boy che sono leggendari: come B-boy Megas, i Boogie Brats, i Supernaturalz, un sacco di b-boy e crew di Toronto hanno fatto la storia, hanno cambiato il breaking.
Tu pensi che a Roma questo non ci sia?
No, assolutamente no. Non abbiamo ancora sviluppato le foundation di Roma, per così dire. Ci può essere un approccio di Roma, oppure un approccio della nostra crew, o di quell'altra crew, il modo di ballare che abbiamo, ma non c'è uno stile di Roma. Questo no. Ovviamente, è normale che a livello pratico - per quanto riguarda una crew - più ci si allena insieme e si sta insieme più si creano dei passi e dei movimenti che sono in comune a tutti: un certo modo di entrare nel cerchio, un certo modo di uscire, un certo modo di fare un battle, perché tutti nella crew hanno un certo concetto alle spalle. Però è una cosa che avviene in automatico.
C'è un insieme di caratteristiche fondamentali che dovrebbe possedere lo stile di un b-boy, o di una b-girl?
Sicuramente,qualcosa c'è. Si riconosce se una persona ha stile o no: da come si veste, da come si pone, dai movimenti, così nella vita come nell'hip-hop. Nell'hip-hop è importante il vestiario, bisogna essere "fresh and clean", non vai a fare il battle con le scarpe rotte e le ginocchiere sopra ai pantaloni. Tu ti rappresenti in quel momento e devi andarci funky, fresh! Perché quello che viene ricordato alla fine della jam - come ci disse B-boy Break Easy a New York- è ”the funkiest", il più funky, quello che è stato più funky nell'evento! Non chi ha vinto l'evento, magari quello non se lo caga nessuno! Quello che è stato più fresh, più funky, vestito meglio, che ha avuto un impatto maggiore sull'evento, è quello che alla fine viene ricordato.
Quindi, si! Ci sono delle cose pratiche in cui si riconosce qualcuno che ha stile. Ti ho fatto l'esempio del vestito, ma nel breaking parliamo anche di finesse, ad esempio, che rappresenta quanto sei un maestro dei movimenti che vai a fare; con quanta grazie ed eleganza - anche se non è la traduzione corretta - ti muovi, facendo quella cosa. È una cosa che per ottenerla lo devi fare. Lo devi proprio fare! Lo stile che riconosci nel pratico si vede nella finesse, nell'approccio e nella confidenza, nella totale naturalezza che si ha nel fare quella determinata cosa. Per me, un b-boy che nel mondo rappresenta questa cosa è Kmel, lui è un maestro di questa cosa. Quando Kmel balla è così libero e naturale che lui nella vita non avrebbe potuto fare nient'altro, si vede quando balla, ha uno stile in cui riconosci proprio LO STILE. È libero e naturale. Questo è quello che poi ti fa vedere realmente se uno ha passato del tempo a fare questa cosa, o no. Se ha stile o no.
Ti introduco un'ultima questione: spesso abbiamo sentito parlare di differenza di genere nel mondo hip-hop, secondo te, nel breaking c'è differenza di genere?
La differenza di genere è un po' un concetto che nell'hip-hop andrebbe eliminato. (ride) Se tu fai rap, oppure i graffiti, e sei una ragazza, o sei un bambino, o sei un uomo adulto di cinquanta anni, o un ragazzo di quindici: è quello che vai a fare sul muro che parla. È l'arte. Se tu vedi un graffito bellissimo non sai chi l’ha fatto, se senti degli scratch troppo potenti potrebbe averli fatti una ragazza. La stessa cosa dovrebbe essere nel breaking. È l'arte quella che dovrebbe essere valorizzata e vincere alla fine della giornata, dovrebbe vincere chi è il più funky - come dicevamo prima - chi balla meglio! Creare questa distinzione - oltre a livello fisico, perché comunque i corpi sono diversi a livello naturale - nel breaking è sbagliato. Non è la cosa che andrebbe valutata. Perché se io avessi dieci anni, o ce ne avessi quaranta, o se fossi una ragazza, conta in ogni caso quello che poi andrò a fare ballando, non quanti giri su una mano o sulla testa avrò fatto per vincere, ma chi avrà ballato meglio! Una ragazza che sa ballare è in grado di spaccare la maggior parte dei b-boy su questo pianeta, perché la maggior parte delle persone non sa ballare. Poi, se tu balli con cose anche tecnicamente difficili che c'è di male, è breaking! Noi usiamo tutto il nostro corpo! Il breaking - come l'hip-hop, in generale - è dare il massimo con il poco che hai. Io l'hip-hop lo vedo molto in questo modo. Stessa cosa: se tu hai questo corpo, sei una ragazza, chi lo dice che non puoi fare determinate cose tecniche, ti alleni per arrivare a un obiettivo, come fa un ragazzo, come fa un bambino, come fa una persona più vecchia, o più grassa, non lo so! Ci vorrà più tempo, magari, a differenza di corpi, ma ci sono bambini di dieci anni che fanno cose tecniche che noi di trenta ci sogniamo. Secondo me è sbagliato pensarla in un certo modo, è limitante, perché chi dovrebbe essere riconosciuto e considerato alla fine di una jam è solo chi balla meglio.
Credi che in Italia, negli anni, ci siano stati fenomeni di discriminazione nei confronti delle b-girl?
Si. C'è sempre stato un po' di sessismo. Io sono sempre stato dalla parte delle b-girl, nel senso che ho sempre incoraggiato le b-girl con cui mi sono allenato. Ho un sacco di allieve b-girl, un sacco! Che ballano pure da poco tempo, e io personalmente non faccio fare cose diverse ai ragazzi e alle ragazze, il breaking è quello. Va allenato, semplicemente. C'è questo sessismo un po' nel mondo dell'hip-hop. È innegabile. Ma le ragazze adesso si stanno facendo sentire, secondo me, al Red Bull BC One hanno messo anche la categoria ragazze, che da una parte è un po' una cazzata perché potrebbero semplicemente includere le ragazze nei top mondiali, senza differenziare il genere, perché ci sono ragazze che meritano e posso essere tra i top sedici del mondo. Però, almeno gli hanno dato questa possibilità. Il Red Bull Bc One B-girls prima non c’era, e credo sia un passo avanti.
Come la vedi questa divisone di categorie dentro le competizioni organizzate, mettendola a confronto con tutto quello che hai detto oggi relativamente al breaking e al cypher?
Prima mi riferivo anche a questo. Ovviamente nel cerchio non c'è questa distinzione, anche per questo si dice: "il breaking è nel cerchio!". Chi sta nel cerchio, sta nel cerchio. Se una ragazza mi sfida nel cerchio è uguale a come se mi sfidasse un b-boy, non cambia niente. Per quanto riguarda il battle è un discorso di cui si parla spesso questo periodo, mi è capitato di parlarne con b-boy e b-girl. C'è chi pensa sia giusto per un discorso fisico, perché i b-boy riescono a fare cose più tecniche, più difficili, il corpo è diverso e quindi credono vada separato. Secondo me non è così e tante b-girl lo stanno dimostrando, come una b-girl cinese di quattordici anni che fa delle cose tecniche paurose, per dire. Le b-girl stanno dimostrando che la parte tecnica le possono fare pure loro, anche meglio degli uomini.
Quando le b-girl spaccheranno a livello tecnico i b-boy - come in alcuni casi sta già accadendo - la mia domanda è: "a che si attaccheranno per la distinzione all'interno dei contest?", la parte tecnica non sarà più un ostacolo, e non ci sarà più niente a cui attaccarsi. Lo stesso vale per i bambini. Io sono contro questa distinzione, perché a prescindere dal livello tecnico colui che balla meglio è colui che deve vincere la sfida, quindi perché dividere una cosa che è ballare? Io non sono d'accordo. Dovrebbe essere come nei graffiti, ti ho detto, lì non c'è distinzione.
Ti faccio un'ultima domanda. In base a tutta la tua esperienza e a quanto hai viaggiato - perché comunque hai girato il mondo: sei stato in America, in Asia, compresi alcuni posti in cui l'hip-hop è arrivato poco, o più tardi, come l'India, o la Thailandia - , secondo te, l'hip-hop è uno solo oppure ne esistono tipologie diverse nel mondo?
La cosa bella del viaggiare - diciamo - attraversol'hip-hop, è che ti accorgi in realtà che l'hip-hop è una base solida in tutto il mondo. Ad esempio, andare in India ed entrare in contatto con i b-boy, ti dà l'opportunità di entrare in contatto con le persone del posto facilmente. Quando andai in India chiesi a un amico di Taipei di darmi alcuni contatti, lui mi disse: "conosco questo ragazzo”, io gli scrissi e lui mi rispose subito dicendomi dove si allenavano. Ci sono andato subito. Ho conosciuto tutta la sua crew e da lì sono stato con loro tutto il mese, si sono presi cura di me in più modi. Una cosa che se non avessi fatto parte del mondo hip-hop non sarebbe mai successa.
L'hip-hop è uno. Poi, ovviamente, ogni paese, ogni posto, ogni luogo se lo vive in modo diverso. Perché ogni luogo è diverso! Però se io capito in un cerchio in India, oppure in un cerchio a Roma, quello che facciamo è la stessa cosa, è un linguaggio universale! Per questo quella frase di Flea Rock: "B-boying is my nationality", è fighissima! Perché la nostra nazionalità è l'hip-hop, ovunque vai. Quindi, assolutamente l'hip-hop è comune in tutto il mondo. Poi c'è un modo diverso di farlo, luoghi e situazioni diverse in cui si è evoluto in maniera diversa: in Korea si fa in un modo, in Giappone si fa in un modo, in India in un altro, in Thailandia in un altro, alle Hawaii in un altro ancora, a Roma in un altro ancora. Però, se noi siamo nello stesso cerchio parliamo tutti la stessa lingua, capiamo quello che stiamo facendo. La cosa più bella dell'hip-hop è che si tratta di un linguaggio universale che ci unisce tutti quanti.