Interviste "The Intelligent Movement - Corpo, Individuo e collettività nella cultura Hip-Hop" pt.5 B.Boy Pumba

Pubblicato il 11 agosto, 2024
Lettura: 25 min read
Articolo di Matteo Benacchio

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Quinta Intervista ad Alfano Lombardi aka B.Boy Pumba

Intervista dell'autore Jacopo Ferri

Foto di Ilaria Ibrisevic

Per iniziare vorrei farti alcune domande relative alla tua storia nel mondo hip-hop: a che età hai iniziato a ballare breaking e in quale città?

Ho iniziato a 18 anni, a Roma.

Come ti sei avvicinato al breaking la prima volta?

Il primo contatto è stato all'Alpheus pomeridiano. Non avevo ancora compiuto 18 anni, quindi non avevo ancora iniziato a ballare. Ho visto in un cerchio un ragazzo vestito con una canotta di colore arancio-giallo lucido, una fascetta e un pantalone su e uno giù che faceva tutti questi step rapidissimi con i piedi - solo dopo scoprii che si trattava del footwork - a un certo punto fece drill sulla testa a manetta, ho scoperto dopo che quel ragazzo era Emiliano D'angelo "Lilly". Questa è stata la prima volta che ho visto il breaking. Poi, da lì a pochissimo tempo, sai quelle cose casuali, camminando per il foro italico dove andavo a pattinare con i rollerblade c'era gente che ballava, un tizio che girava sulla testa. Lì ho rivisto il breaking e ho pensato: "strana 'sta cosa, la voglio fa' pure io!" La folgorazione, però, ce l'ho avuta all'Alpheus. Mi colpì lo stile di quel ragazzo, quel catalizzare l'attenzione facendo delle cose strafighe, non mi colpì tanto il giro sulla testa, ma come si muoveva, sembrava un serpente, era figo. Questo è stato il primo approccio.

Quando tu hai iniziato, il breaking era qualcosa che già si trovava in palestra oppure sei dovuto andarlo a cercare per strada?

In realtà era la fine del 2002 e fu proprio in quegli anni che il breaking cominciò ad andare nelle scuole di danza. Personalmente, non ho iniziato in una scuola, non immediatamente. Io mi sono innamorato di questa cosa insieme a due, tre, compagni di classe del liceo e quindi abbiamo iniziato a farla tra di noi, tra questi migliori amici. Ovviamente, come ogni gruppo di migliori amici che si rispetti c'è il "nigga", tutti i gruppi hanno un "nigga" (ride) e che di solito è bravo a ballare, sai quei luoghi comuni terribili, ma lui era veramente bravo a ballare, musica da discoteca, s'intende. Dopo un po' cominciammo ad allenarci, avevamo il nostro cartone su cui ballavamo e un cartone a parte più piccolo per le verticali, non so perché, probabilmente a terra era una merda (ride), però c'era questo cartone dedicato alle verticali. Dopo un po' di tempo uno di questi ragazzi qua - Adriano si chiama - scoprì che c'era Naish degli Urban Force che faceva delle lezioni a Tiburtina. Noi da lì abbiamo iniziato a capire che cos'era, andando da lui. Mi ricordo che ci spiegava delle cose e su un’ora che c'era di lezione per mezz'ora ballavamo e per l'altra mezz'ora stavamo seduti ad ascoltare le storie. Noi gli rompevamo le scatole, gli chiedevamo di tutto! Da lì, se pensi che questo accadde alla fine del 2002 e nel 2004 noi siamo entrati in Urban Force, il range di miglioramento e consapevolezza è stato poco, sono solo due anni.

Urban Force è stata la tua prima crew?

No. Stavo in una crew che si chiamava Sacramento B-boys ed eravamo io e altri ragazzi, fra cui Adriano e Mel One, che altri non era che Timon degli Urban Force, prima che diventasse Timon. Ci chiamavamo Sacramento B-boys perché eravamo di Montesacro, però il nome Sacramento era più americano (ride), ovviamente. Fu così che nacque la crew che poi, insieme a un'altra crew, divenne Urban Force seconda generazione.

Com'era la situazione a Roma a quei tempi? C'era gente che insegnava?

Allora, le lezioni che facevamo con Naish non le percepivamo troppo come scuola. Era la nostra fonte e andavamo sempre lì.  Poi, abbiamo scoperto l'Air Terminal e il Foro italico: l’Air Terminal è il posto che oggi è Eataly, a Garbatella. Quello lì era lo spot principale. Perché c'era il marmo, c'erano i bagni, c'era la corrente. Era un posto in disuso, quindi noi entravamo abusivamente da un buco e lì tutta la scena si allenava, tutti i giorni qualcuno c'era. Ci si organizzavano anche dei piccoli eventi tra cui l'SPQR Underground, o altre cose autoprodotte dove ognuno metteva due euro e chi vinceva si prendeva tutto, però lì trovavi tutti: c'era Primizio, che a Roma è stata una della persone più di riferimento; c'era qualcuno degli Urban Force ogni tanto; c'erano già Telespalla; Get Funky, questa gente qua. Però, ecco, non c'era qualcuno che spargeva knowledge, se andavi lì tutti i giorni e stavi lì tutti i giorni qualcuno ti iniziava a salutare dopo un po'. Dopo potevi provare a chiedergli qualcosa. Era un po' quel codice non scritto che allontanava gli scrausi a priori, sai quanta gente veniva ad allenarsi una volta o due e poi finiva lì.

Tu pensi perché non riuscivano a integrarsi o perché vedevano che questa cosa non faceva per loro?

Io ho pensato tanto a questa cosa. Ho pensato tanto a questa cosa perché io sono stato un ragazzo adolescente che veniva molto allontanato, però poi negli anni sono diventato io “l’allontanatore". Questa cosa è una di quelle cose di cui non vado molto fiero, personalmente, ma devo dire che in parte - questo atteggiamento non troppo inclusivo a priori - è qualcosa che protegge. Non è fatto con cattiveria o per essere i bulli della situazione, o non voler integrare gli altri, vuol dire cercare di integrare in questa cosa solo chi veramente ama questa cosa. Secondo me non è un ragionamento sbagliato. Ci sono modi e modi di farlo, ma non è un ragionamento sbagliato perché questo fa sì che non siamo cento, ma magari siamo sessanta che però questa cosa non la deformano o rovinano. A mio parere tanta gente che è stata inclusa prematuramente sono tutti quelli che poi hanno utilizzato il breaking a loro vantaggio, rovinandolo, portandolo in contesti assurdi, eccetera. Quindi, includere a priori secondo me non è giustissimo, ci vogliono degli esami: esami non detti, non codificati.

Ti ricordi qualche aneddoto - relativo a questa cosa - che hai vissuto anche tu?

Come no, ti racconto un episodio dell'Air Terminal. Praticamente, io quando ho iniziato a ballare non mi chiamavo Pumba, mi chiamava Head Panda, in breve PH. Perché ero ciccione e mi piaceva stare sulla testa. Io ero scioltissimo e la prima power move che ho imparato è stata head spin, in tutti i modi. Facevo gli invert con le gambe in faccia, facevo testa-verticale, hallow back, mi piaceva tantissimo stare sulla testa, ma ero cicciottello. Mi piacevano tanto i thread - i change si chiamavano ai tempi - ma non mi venivano benissimo: le gambe non mi passavano bene, ero un po' paffutto. C'era una persona a cui io chiedevo la cose che mi snobbava sempre, e se non mi snobbava aveva la battutina del cazzo, sai queste cose così. Per colpa di questa persona ho avuto gli unici due momenti di dubbio all'inizio in cui ho pensato che non faceva per me. Mi ricordo che piansi per queste cose, ero proprio preso male. Ma queste cose, anche per il mio carattere, mi hanno motivato terribilmente! A me questo qua che mi prendeva per il culo mi motivava! Mi faceva soffrire, ma mi motivava! Lo beccai due anni dopo a una finale uno contro uno a Ostia e vinsi quattrocento euro contro di lui. Per me lui è stata una persona importantissima. Ad alcune personalità degli atteggiamenti del genere possono fare molto male, me ne rendo conto, ma per il mio carattere mi ha fatto male all'inizio e poi mi ha molto spinto. Quando ho avuto questa piccola vendetta è stato soddisfacente, ma questa persona la rispetto comunque tantissimo.

Quando avete formato la vostra prima crew il tuo approccio al breaking ha subìto un cambiamento?

Ce l'ho avuta dal giorno zero io una crew alle mie spalle, non sono mai stato da solo. Ho iniziato a ballare con questi compagni di classe e dopo due giorni eravamo già i Sacramento B-boys. Noi eravamo i Sacramanto B-boys e poi abbiamo conosciuto i Da Squad, che erano Trauma, Ino, e qualche altro ragazzo. Abbiamo fatto amicizia. C'era Trauma che era questo tizio assurdo che faceva cose fuori di testa e Ino era, invece, questo ragazzo estremamente portato a fare qualsiasi cosa. Conoscendoci abbiamo fatto una fusione e ci siamo chiamati i Patchwork Flava, sai i patchwork sono i lavori fatti con le toppe e visto che eravamo due crew unite abbiamo scelto questo nome. Dei Sacramento B-boys, tempo un anno, eravamo sopravvissuti io e Timon. Questa unione ci ha portato a fare dei battle, a viverci delle situazioni, ed eravamo visti molto dalla scena come: "chi cazzo so' questi?" (ride), così iniziammo a girare e a Pesaro conoscemmo Nexus. Abbiamo integrato Nexus in questa crew, insieme a Spina e Bracciu. In quel periodo successe che nel frattempo io e Timon stavamo sempre a contatto con quelli che erano i nostri maestri: Tim; Serio, Naish, e Chiara anche, la ragazza. Era un continuo, noi andavamo con loro ovunque, stavamo sempre a chiedere. Ricordo che una volta ci portarono a un evento della Nike a Tiburtina dove loro ballavano su Grandmaster Flash che suonava, cioè, una festa assurda! Un giorno ci invitarono a casa di Tim e ci dissero che loro avevano trenta e passa anni, avevano tante nuove dinamiche da affrontare e chiesero a me e a Timon di diventare parte della loro crew. Capirai, noi tutti mega felici, però io gli dissi: "Assolutamente sì, è un onore! Ma apatto di non lasciare i nostri amici indietro!", quello è stato il momento in cui tutta Patchwork Flava è diventata Urban Force. Loro erano la mia crew, non potevo entrare in Urban Force e accannare la mia crew, era giusto che tutti quanti vi entrassimo. I capi sono stati contenti e da lì è nata la seconda generazione Urban Force, nel 2004.

Come è cambiato il tuo modo di ballare, entrando in Urban Force?

Totalmente, ma non è cambiato solo il modo di ballare. È stata una carica. Immagina un atleta che entra in una cosa più grande, più importante! Comunque Urban Force c'era dal 1996, è una delle primissime crew della seconda generazione del breaking in Italia. Una delle crew più rappresentative d'Italia da sempre, se non forse la più rappresentativa. Quindi era qualcosa di assurdo, per me è stata una carica enorme. Non è cambiato il mio modo di ballare, ma la carica, la fotta, la convinzione! Si dice sempre che si impara dalle sconfitte, ma da una bella vittoria ricevi una grande carica per andare avanti, non è solo a batoste che si prosegue, ma anche a soddisfazioni. Quindi, si! È cambiato molto, è cambiato tanto. Da lì ci siamo uniti e abbiamo iniziato a fare le cose sotto un altro nome. In parte, ti posso dire, ci abbiamo messo un po' a mantenere la nostra identità, nel senso, quando siamo entrati in Urban Force c'è stato un momento di cambiamento. Ci abbiamo messo un po', ma poi è andata, il resto è quello che è. Sono stato in Urban Force dieci anni: dal 2004 al 2014.

Cosa ti ha aiutato a trovare quell'identità quando ti trovavi in Urban Force?

Il motivo per cui ho fatto entrare tutti quanti. Io sono sempre stato un traino come carattere. Sai, nel gruppo c'è sempre il cagacazzi, il pigro - probabilmente il più talentuoso di tutti -, c'è quello negativo e poi c'è il traino. Io sono sempre stato il traino, e il cagacazzi, anche. Però sempre propositivo. Il discorso di trovare la mia identità era per dire che ci mettemmo un po' a capire che eravamo Urban Force, ma non dovevamo atteggiarci, comportarci, oppure ballare come loro. Comunque è stato piuttosto naturale, ci si è messo poco. Io avevo solo un desiderio, mi ricordo: il rispetto della scena. Il mio primo desiderio - quando iniziai a ballare - era essere il "ciccione più forte d'Italia", perché era la mia giustificazione a non dimagrire, mi ero trovato la mia nicchia. Dicevo: "che schifo le powermove", perché non mi venivano. Poi, mi sono detto di voler uscire da quella situazione, feci una dieta ferrea e persi sedici chili. Iniziai a fare le power move. Poi, da quel primo sogno è diventato: "Devo spaccare il culo a tutti, fine." era questo. Quando andavi a vincere un battle non te ne fregava niente del premio, della selezione - dei social non ne parliamo perché non c'erano, c'era solo breakdance.it dove ci facevamo tutti account falsi per insultare altre persone (ride) -, ma c'era la voglia di rappresentare ed essere i più forti. A un certo punto siamo diventati uno spauracchio, quando arrivavamo nei posti la gente iniziava a dire: "che palle!", era figo!

Cosa significa, per te, una crew?

Interessante(pausa). Ti dico interessante perché secondo me è una cosa che cambia nel tempo, cambia con te. La crew è un'idea condivisa. Non è un gruppo di persone che stanno insieme tutto il giorno, non è una famiglia, non è questo quello intendo oggi per crew. È una idea condivisa. Nel momento in cui io condivido un'idea con te e questa idea ha un processo condiviso, un obiettivo condiviso, un metodo condiviso, io e te facciamo una crew. Facciamo una crew e andiamo avanti insieme verso il raggiungimento e il compimento di quella idea. Nella mia vita ho trovato unione con persone che non facevano la mia stessa cosa, ma condividevano con me delle idee e questo ci ha portato a unirci automaticamente, capito? È un'idea condivisa spontaneamente. Questo per me è una crew.

È più un fatto mentale, quindi, piuttosto che pratico?

Assolutamente si! In tutte le crew in cui sono stato, anche se sono state quasi tutte un'evoluzione dell'altra: Sacramento B-boys-Patchwork; Patchwork-Urban Force; Urban Force-Blood Brothers; Blood Brothers-Seaside Attack; e così via. Non è un discorso pratico perché in tutte queste crew c'era sempre il più scarso ed era quello con cui avevo più voglia di farci i due contro due. Cioè, a me non me ne frega un cazzo di fare il team per vincere quella cosa! Per me quella persona è importante! Capito che intendo? Non è un discorso troppo pratico. È normale, abbiamo un obiettivo e nel momento in cui l'obiettivo si disegna dobbiamo remare tutti insieme in maniera pratica e pragmatica, ma è innanzitutto più mentale. Ad esempio: i Blood Brothers! Non sapevamo un cazzo di quanto ci allenavamo, di quello che facevamo, era più uno state of mind.

Mi hai detto che il concetto di crew è cambiato nel tempo.

È cambiato, è normale. Quando nel 2008 abbiamo vinto l'Hip-hop Revolution - che è stato l'evento che poi ci ha mandato in America - lì l'obiettivo era allenarci a stecca per aumentare il livello allo scopo di vincere. Quello fu forse l'evento più importante d'Italia, c'era una Top32 in cui ci trovavi tutte le crew, tutte. Quello e Next Stop Termini furono i due eventi più importanti d’Italia, radunavano più gente dell'Hip-hop Connection, per farti capire. C'era gente forte. Erano eventi pesanti dove noi siamo emersi solo e unicamente perché la giuria era estera. Questa è una storia che con le mie crew esiste dal giorno zero. Noi abbiamo superato scogli enormi grazie a questa cosa. Quando la giuria era italiana, non funzionavamo. Urban Force era emersa in un momento storico sbagliato, probabilmente, eravamo troppo avanti per quegli anni. Quando hai un obiettivo - come vincere un evento così importante - devi lavorare sodo, e tutti devono lavorare alla stessa velocità. Fare delle routine di crew, noi ce le avevamo addirittura numerate. Eravamo molto organizzati e molto decisi, è l'unico modo per alzare il livello.

Ti cambio un attimo argomento, anche se riprendiamo alcuni concetti che mi hai detto prima. C'è una famosa frase di Kase 2 che dice: "Devi avere stile se vuoi combattere per lo stile, se non hai stile perché vuoi far parte di un movimento che è interamente basato sullo stile?", basandosi proprio su queste parole, vorrei chiederti: secondo te che cos'è lo stile nel breaking? E perché è così importante?

Mh, okey. (pausa) Noi veniamo da un periodo in cui si diceva: "balli di stile", ed è sempre stata una cosa che a me faceva rabbrividire. Ci stanno tanti b-boy che propriamente non ballano, ma che hanno un botto di stile. Magari non hanno knowledge o dimestichezza con il top rock, il rocking, il footwork, eccetera, ma hanno stile a loro modo. B-boy che non hanno propriamente delle forme classiche, come il breaking vuole, ma che hanno comunque un botto di stile. Per me lo stile è una foundation. È un "must have". Non è una cosa che costruisci, puoi imparare mille cose, ma non puoi imparare ad avere stile. C'è gente fortissima tecnicamente - e per tecnicamente intendo anche top rock, footwork, non solo power move - che però non hanno quello stile che magari ha una persona molto più scarsa tecnicamente, ma che gli basta stare semplicemente in piedi per essere già figa. Lo stile è un qualcosa strettamente collegato alla personalità, questo è lo stile.

Riprendendo un po' il discorso di prima - relativo alle crew - lo stile pensi sia qualcosa di individuale, oppure collettivo? Può esistere lo stile di una crew, o di una città?

Lo stile cittadino è cittadino perché c'è una persona di spicco in quella città, una persona che è il mentore oppure il riferimento di quel posto. La città non ha il suo stile. C'è una persona che ha dato qualcosa, guarda Torino: Torino non ha il suo stile, ma ha NextOne. Però NextOne è arrivato indirettamente anche in Abruzzo, è arrivato anche ad Ancona, ma Ancona è diversa dall'Abruzzo e l'Abruzzo è diverso da Torino, okey? Ti faccio un esempio: magari ad Ancona Maurizio (NextOne) ha insegnato a Swift, ma lui non è Maurizio, è fisicamente diverso e quindi Swift ha dato ad Ancona quel footwork. Stessa cosa per l'Abruzzo: Marco Sala è quello che insegnato a Cima ed Eddy, ma loro due sono stati quelli che hanno dato l'impronta a tutti i ragazzi. La forza di Roma, secondo me, che poi è stata ripresa dai nuovi di Roma - e non solo - non era nella tecnica, ma nell'ATTEGGIAMENTO. Roma ha insegnato il breaking che ancora non si conosceva all'Italia; Roma ha insegnato a fare i cypher all'Italia. Roma ha insegnato un'attitudine. E Urban Force ha insegnato un'attitudine: i cypher battle; il contatto; il linguaggio del corpo; i burn; tanta roba l'abbiamo insegnata noi, senza avere la presunzione di farlo, ma automaticamente. Sono le persone che fanno lo stile di una città.

Nella vostra crew avevate delle signature moves, dei passi che erano solo vostri?

Si, si. Noi personalmente volevamo essere molto classici nelle forme, ma estremamente tecnici. Però la nostra tecnica era quell'air track, quella corona, quel passaggio preso nella maniera differente. Anche oggi quando insegno ai ragazzi gli dico: "potete uccidervi tutta la vita a provare l'air track, e sprecate un sacco di tempo" (ride), okey? Va bene superare i propri limiti, ma fino a un certo punto. Se nel cammino per superare i miei limiti non faccio quello che mi viene facile rimango una pippa. Se invece quello che mi viene facile lo porto a un livello successivo in quella cosa sarò speciale. Questo è basilare, ma non sempre viene capito.

Secondo te c'è un insieme di caratteristiche che dovrebbe possedere lo stile di un b-boy, o di una b-girl?

Naturale. Lo stile deve essere naturale! Un b-boy deve essere a suo agio con le posture che sceglie di avere e con le movenze che sceglie di eseguire. Ti faccio un esempio, molto si associa con il fisico: se io sono molto magro e longilineo e cerco di avere uno stile forzatamente classic, probabilmente non sarò bello tanto quanto se cercassi di avere uno stile più morbido e più fluido, essendo lungo e morbido di natura, mi spiego? Quindi, se io dovessi lavorare in scioltezza sarei buffo. Spesso si vedono tanti ragazzi che cercano di lavorare nei thread, però fisicamente sono di legno, e quel passaggio che in una persona longilinea sarebbe bello in una persona di legno è brutto. Magari il passaggio è uguale, identico. La prerogativa dello stile è la naturalezza. Delle volte capita di vedere un b-boy vestito malissimo, anche famoso, anche forte, che balla con delle super sneakers, con questi pantaloni a carota che si stringono verso il basso e sono bruttissimi. Non perché sono vestiti male, ma perché hanno delle forme hip-hop classiche con un outfit estremamente new school che cozza! È brutto! Le gambe sono brutte! È come fare un footwork in bermuda se non sai fare bene il three step: è brutto, non te li puoi mettere i bermuda. È come quando esci di casa, si vede se hai una maglietta stretta, o strana, un colore che non c'entra niente. Deve calzare sul corpo di quella persona, sulle sue movenze. Ti potrei fare un miliardo di esempi in positivo e in negativo.

Lo stile è una cosa che cambia nel corso del tempo? È dinamico?

Ci sono varie risposte. Una può essere che si cambia il fisico e di conseguenza cambiano i tuoi movimenti. Parlando personalmente ho avuto un sacco di infortuni e nel tempo mi hanno privato di alcune cose. In questa privazione vai a cercare altre strade perché smettere è impossibile se fai questa cosa veramente. Cercando altre strade vai a cambiare per forza quelle che erano le tue comodità, le tue forme, le tue cose. Questa è una via: cambia il fisico, quindi trovi nuove strade, involontariamente o per forza sennò smetti di ballare. L'altra via - e questa è una cosa che ci ho messo un po' a capire - mi fa venire in mente Poe One quando ci fece vedere i video di Floor Phantom che faceva rocking, in cui narra una storia ballando, ma tu non lo sapevi finché Poe One quella storia non te la spiegava. Poi, ti diceva: "l'occhio non vede quello che il cervello non può capire". Lì per lì questa frase la capisci, ma non la comprendi. O almeno io non l'ho compresa subito, l'ho compresa nel tempo. Nella crescita - e con crescita parlo nel migliorarsi, nel ricercare, nel conoscere sempre più cose - scopri sempre più cose nuove, e a me insegnare ha aiutato tantissimo in questo. Mi è capitato di spiegare delle cose fondamentali a ragazzi che non ne apprezzavano minimamente l'importanza, e quindi quel messaggio non arrivava. Mi è capitato di spiegare la stessa cosa a persone più mature, o magari alle stesse persone ma due o tre anni dopo, e quel messaggio è arrivato come un treno! Capito? Quindi ci sono delle cose che serve il momento giusto per capirle realmente, perché sennò non fanno breccia nella mente del ragazzo e quel ragazzo non raggiunge il suo obiettivo. E mi è capitato veramente con le stesse persone a distanza di anni.

Parlando dell'insegnamento, tu insegni da molti anni?

Dal 2010, diciamo.

Cosa cerchi di insegnare maggiormente ai tuoi allievi?

Anche questo con il tempo è cambiato, però fondamentalmente cerco di insegnare strumenti. Strumenti che consentano - al ragazzo o ragazza che sia - di appassionarsi. Il primo step è appassionare, se tu non appassioni quella persona verrà a lezione e basta, e non serve a un cazzo. Se non appassioni hai già perso in partenza e il tuo lavoro da insegnante è già finito. Quindi, prima cosa che cerco di fare è appassionare. E come li appassiono? Facendo vedere me appassionato! Io sto a tremila quando insegno: faccio mille esempi, faccio mille cose, fremo! Perché vado a scavare in diciotto anni di breaking e loro questa cosa la percepiscono. Se loro la percepiscono si appassionano in primis a te, e appassionandosi a te si appassionano al breaking. I Seaside Attack - che ora non sono più i miei allievi, ma dei compagni di crew - io li ho appassionati! E loro sono andati da soli. Quindi, appassionare è la prima cosa. Dare strumenti è la seconda: per strumenti intendo tecnica che non è opinabile. Dopodiché, ci sono tutte le sfumature. Ovviamente, i miei allievi hanno un'impronta. Io appartengo al breaking e questo non è sport, ma non è nemmeno danza. Cerco di insegnare questo, facendo capire l'importanza di determinati aspetti che ti fanno spaccare quello che fa dieci giri su un dito, capito?

Come svolgi solitamente una tua lezione?

Il mio problema da insegnante è che ogni lezione che faccio la faccio come fosse un workshop, nel senso che a differenza dell'insegnate vero e proprio, io ogni volta che ti vedo ti devo dare qualcosa di nuovo. Quindi, a ogni lezione do una valanga di roba che però settimanalmente non va bene. L'insegnante dovrebbe farti fare un elemento finché non lo impari, però io ho talmente la voglia di passare concetti che ogni volta faccio roba nuova! È una cosa che nel tempo ti distrugge (ride), ogni tanto devo tirare il freno e fare un po' di meno, sennò non ci capiscono niente (ride).

L'insegnamento si svolge unicamente dentro le lezione, o li porti anche fuori i ragazzi?

Stai toccando dei tasti molto pericolosi (ride). Assolutamente vanno portati di fuori! Vanno portati fuori, vanno coinvolti. Nel caso del breaking vanno portati subito nella tana dei leoni. Finché hai un gruppo di allievi che sono bravi, magari è un caso, ma se posso spezzare una lancia in mio favore, a chiunque insegno a un certo punto è in grado di fare breaking decentemente, poi sta a lui il resto del lavoro. Questo è quello che vedo quando lavoro con la gente sporadicamente, o quando lavoro all'accademia mattutina in cui i ragazzi fanno breaking per un anno, o due. In due anni io li metto in grado di affrontare un cypher battle.La cosa importante è portarli subito in giro. Ma non come va di moda ora - da qualche anno a questa parte - con il maestro che sta dietro all'allievo durante il battle, io gli faccio: "Okey, questa è la jam, bella!", perché anche io a differenza di molti insegnanti ancora ballo, sto sempre nei cerchi! Non sto lì dietro al mio allievo, sto più sudato di lui probabilmente (ride).

Parallelamente, però, bisogna stare attentissimi a una cosa: IL LEGAME! Il legame con l'allievo deve rimanere relegato a quello che facciamo. Far sì che gli allievi entrino troppo nella nostra vita e noi nella loro è una cosa al 90% deleteria. Perché va a creare delle aspettative emotive che non c'entrano nulla con quello che facciamo, e queste vanno a condizionare le scelte. Un ragazzo non si deve sentire condizionato a fare le sue scelte da un legame con una persona. Quando spesso si parla di allievi, non sono NOSTRI allievi, non è un mio allievo perché gli ho insegnato: sono allievi del breaking, tramite me. Loro non sono vincolati a me in nessun modo! Poi, l'educazione e il rispetto è un'altra cosa. Un ragazzo deve imparare a essere rispettoso con il proprio insegnante, ma così come deve essere rispettoso nei confronti di tutte le persone che lo circondano. Ma deve sentirsi libero e svincolato. Obbligo dell'insegnante è quello di dare tutti gli strumenti per affrontare le scelte che quel ragazzo dovrà fare.

Ti porto verso un altro argomento di cui parlavamo prima. Mi hai parlato del cypher, di come con gli Urban Force avete portato la conoscenza di come farlo in un certo modo - non solo a Roma, ma anche in Italia - , pensando a questo e mettendolo in relazione alle competizioni che vediamo oggi: secondo te che cosa rappresenta il cypher nel breaking?

Totale. Viene molto prima della competizione. Ma viene prima proprio perché viene prima a livello temporale all'interno di una jam, e questo è un altro messaggio che i ragazzi dovrebbero imparare. Ma anche qui: da chi lo imparano? Lo imparano se lo vedono fare! Chi è mio allievo capisce questa cosa perché vede me farla: vede Pumba che arriva, saluta i suoi amici, posa lo zaino e fa i cerchi; di conseguenza capisce che deve fare i cerchi. Di conseguenza l'allievo capirà che questo è il leader. Se un allievo va lì, si iscrive, si attacca il numero addosso, fa la sua entrata, finisce e il maestro sta fuori a fumare, l'allievo che capisce? Che viene lì per fare la gara. La singola entrata, perché poi non vanno avanti. Non lo conoscono il cypher, in questo modo, lo fanno solo in palestra tra di loro.

Il cypher è totale. Rappresenta quello che facciamo in generale, lo racchiude nel vero senso della parola. È qualcosa di piccolo che tiene al di fuori tutto, e solo se meriti puoi stare là dentro. Se meriti - e meriti non vuol dire se sei forte - puoi stare lì dentro. Se tu vali e hai voglia di fare questo c'è spazio là dentro; il cerchio si stringe sempre di più perché tutte le persone vogliono entrare e quindi il cerchio si fa piccolo, tutti sono fomentati! Quando sei lì dentro vedi tutto: hai il contatto negli occhi con le persone; hai la persone che finisce di ballare e gli dai la pacca sulla spalla perché ha ballato bene, o magari ha sbagliato ma gliela dai uguale per dire: "dai magari dopo ci riprovi"; c'è quello che odi e gli vuoi fare il culo e non vedi l'ora che entri sul pezzo giusto per fargli il culo, che poi probabilmente quello che odi diventa quello che ami perché è così che funziona; cioè, tutto quello che facciamo sta lì! E se sei in grado di farlo lì, lo puoi fare anche sui grandi palchi. Viceversa se sei solo in grado di farlo sui grandi palchi, non sarai mai in grado di farlo nel nostro habitat naturale. È nel cerchio che saltano fuori tutte quelle qualità: quella naturalezza, quell'educazione, quel linguaggio del corpo necessario alla sopravvivenza. Nel cerchio mi è capitato un sacco di volte di ballare e vedere una persona che parla, che dice qualcosa su di te e tu subito scatti attento: "che cazzo dici?", è un microcosmo, capito? È un microcosmo dove succedono mille cose. Dove vedi quello che si atteggia, quello che si è drogato di video di una persona e si muove come quella persona, vedi quello che ha l'aura e ti mette l'ansia solo a stare lì. È troppo bello, ti fa venire la pelle d'oca. Questo è il breaking.

Quanto è importante per te nell'apprendimento del cypher, il capire le dinamiche che avvengono all'interno? Non mi riferisco unicamente al ballare, ma come hai detto tu a saper guardare il cerchio da più punti di vista?

Fondamentale. Fondamentale e quando mi capita di stare in giuria è una cosa che guardo tantissimo, anche nel battle. Da come tu sei "fuori", io capisco se sei fake o no. Da come ti muovi nella vita normale, mentre non stai ballando, io capisco se tu stai emulando o se quella cosa te la stai vivendo. Se tu sei attorno al cerchio e mettono It's Just Begune stai impigrito, e poi quando balli sei tutto funky, sei tutto "yeah", tu stai emulando qualcosa! Perché se parte una canzone come questa, o parte il Wu-Tang, e tu non reagisci fisicamente, c'è qualcosa che non va. Vuol dire che stai emulando, che stai facendo uno sport in quel momento. Il linguaggio del corpo è fondamentale! Io ancora oggi ho tantissima ansia quando vado alle jam, non ansia di paura, ma voglia di fare, io fremo! È come se aspettassi tutti i giorni prima solo per andare lì. Mi diverto nel cerchio, oggi, questo non vuol dire che non faccio battle, però hanno tutti un velo di ironia, ormai. Quel momento in cui sfidi il tuo avversario cattivissimo è passato per me, appartiene al passato. Io sono assolutamente cattivo allo stesso modo, ma con il sorriso in faccia stampato. Forse perché sono un po' più grande, quindi mi comporto in una maniera differente ora, sarei buffo a essere così aggressivo adesso, sembrerei quasi fuori luogo. Poi dipende ovviamente, magari becchi il pezzo di merda che ha bisogno delle sculacciate e lì cambia tutto (ride), però è bello perché tutto ciò che succede intorno, il linguaggio del corpo di tutti, è come guardare un film, è importante! Devi sapere quando fermarti, devi sapere quando non è il tuo turno: hai visto quando due entrano contemporaneamente e vogliono dominare per forza il cerchio, ci sta perché vuoi mettere la tua bandierina, ma a volte è più smart dire: "okey balla" e poi prendertelo senza prepotenza e spaccare. La cosa bella che mi capita spesso di dire è che davvero io attraverso questo ho imparato l'educazione, capito? Perché se sei maleducato con la persona sbagliata, rischi. Impari a dire ho perso, impari a dire ho vinto, impari a dire: "bravo" all'altro, impari a dare un consiglio, a sostenere, a socializzare. Basterebbe imparare a fare breaking per imparare a campare. (ride) Però fare breakingdavvero! Non le gare e le competizioni!

Tu ancora adesso partecipi a gare e competizioni, qual è la differenza di ballare in un cerchio e ballare in un contest? Come ti vivi queste due situazioni differenti?

Nessuna. A oggi è difficile che io faccia una competizione sul palco, perché non mi piace. Ormai mi sento libero di scegliere che cosa fare. In generale, no, io affronto un contest normale come stessi in un cerchio, allo stesso modo. È normale che più vado avanti con il tempo e continuo a conoscere cose, più considero il breaking un linguaggio a sé, più sgamo tutto. Quindi se vedo che tu sei un biter, se vedo che tu fai il coatto ma in realtà non conosci il linguaggio basilare del breaking, io sto lì e ti sculaccio tutto il tempo (ride) e ti rendo quei cinque minuti i più brutti della tua vita. È così.

Quanto è importante per un b-boy il sapersi adattare a tutte queste situazioni differenti? Quanto è importante il saper ballare sopra un palco, sull'asfalto, in un cerchio piccolo, in un cerchio grande, e così via?

Fondamentale. Un b-boy dovrebbe imparare anche a fare delle coreografie, dovrebbe ballare anche qualcosina in più se vuole vivere con questo. E con vivere con questo non intendo per forza insegnare, parlo di ballare con questo. Ha talmente tante cose da offrirti il breaking, è talmente vecchia la cosa di dire: "no non ci ballo in televisione", perché no? Ma magari riuscire a fare questo in tutti gli ambiti! Devi sapere adattare le tue abilità, i tuoi trick, i tuoi passi a un palco gigante, perché se ora vai a fare una competizione grossa il palco è di venti metri! È fondamentale! Il breaking è sempre uno, è sempre un'unica cosa: lo sai fare, o non lo sai fare. Se lo sai fare lo fai dappertutto, se non lo sai fare non lo sai fare.

Cosa pensi della divisone tra underground e mainstream?

No, non c'è più! Appartiene all’inizio degli anni 2000, secondo me non c'è più. È una cosa che non esiste più. Il problema è: chi è giovane adesso e inizia a ballare da poco lo conosce l'underground? Lo toccherà mai? Come fai a dare la colpa a questi ragazzi vestiti in modo obbrobrioso, è difficile che abbiano qualcosa per andare a vedere che cos’è. Non esiste la divisione underground e mainstream, esistono le scelte, sono io che decido se fare questa cosa oppure no, se fare un determinato casting oppure no. Cioè, i b-boy più forti del mondo hanno fatto più film di Fantozzi (ride).

Delle volte si parla di going off, tu come lo descrivi?

Il go off non so se paragonarlo a un singolo istante, oppure a una situazione. Paragonato al momento: è quando ti spegni e vai in automatico - ma non automatico a livello di prestazione - il tuo corpo reagisce spontaneamente non solo alla musica, ma alla situazione. Quelle rare volte che mi è capitato è una cosa che succede in connessione con la persona che hai davanti e l'ambiente che ti circonda. È il momento in cui tu hai tutto sotto controllo senza avercelo sotto controllo. Senza pensarci. Mi è capitato, delle volte, di fare la mia entrata bene e di riuscire nel frattempo a stare sul pezzo, a fare un burna una persona e nel frattempo avere contatto con il pubblico. Non lo so, è tipo un miracolo! (ride) Hai tutto sotto controllo, senza doverci pensare. Davvero, la definizione giusta è miracolo. È quella sensazione che rende tutto l'ambiente circostante consapevole del fatto che tu sei il capo, in quel momento. Poi, la situazione finisce, ma in quel momento hai tutti i riflettori su di te. È una bella sensazione.

Vorrei introdurti un'ultima questione: in base alla tua lunga esperienza nel mondo hip-hop, credi che nel breaking ci sia differenza di genere?

C'è differenza di genere mentale (ride). Il breaking che amo non è il breaking di grandi cose, quindi togliamo un attimo dall'equazione il discorso fisico. Perché nel breaking che amo non mi interessa se sei in grado di fare dieci giri sulla mano, okey? Una cosa che io odio di questa distinzione è il fatto di doverla fare, e il fatto che a metterla in evidenza sia sempre il lato, tra virgolette, più debole. Sono sempre le b-girl che evidenziano questa differenza, il b-boy non lo fa, anzi, più b-girl ci sono più è contento. Quindi per quale motivo bisogna evidenziarla? Teoricamente non dovrebbero nemmeno esserci i b-girl battle, però quello non è un differenziare perché una b-girl può entrare in un b-boy battle quando vuole. Nel momento in cui si fa il kids battle, oppure il b-girl battle, è solo per mettere a proprio agio un gruppo di persone, non un agevolare, un differenziare perché valgono di meno, ma dire: "okey, hai delle caratteristiche differenti, ti metto a tuo agio creando una categoria per te", ma non ti vieto di entrare nell'evento standard, anzi, devi venire. Soprattutto nel breaking vero, questa differenza non esiste! Ci sono b-girl potentissime. Quindi, anzi, il b-girl battle è un'agevolazione per mettere a proprio agio, lo fai per coinvolgere più ragazze e far vedere che questa cosa la possono fare senza nessun problema. Non lo distinguo. Io parlando dei miei allievi, posso dirti che le ragazze sono molto più forti dei maschi: molto più forti, molto più stilose, molto più originali, molto più coatte.

Tu sei insegnante di una crew di b-girl che si chiamano We Too B-girls, giusto?

Sono una crew a sé stante, io le alleno, le ho allenate.

Hai mai trovato delle differenze nell'insegnare ai ragazzi e alle ragazze?

No, sono più intelligenti. Le ragazze sono più veloci, meno legnose, questa è la differenza di genere (ride). Personalmente, mi è capitato di avere tantissime ragazze dedite molto di più al lavoro, il maschio dopo un po' cede.

Ti faccio un'ultima domanda, anche se un po' mi hai già risposto prima: secondo te l'hip-hop è uno solo, o ne esistono tante tipologie diverse?

No, è uno solo. Senza dubbio. È uno solo, ma non è solo quello. Haipresente il discorso sull’acqua di Bruce Lee? Uguale! L’hip-hop È uno solo che prende le sembianze diverse, a volte anche tanto diverse, perché si adatta automaticamente a un contesto storico e così via. L'hip-hop che c'è oggi, la musica che c'è oggi, il dress code, il linguaggio, è diverso da quello che c'era venti, trenta anni fa. Ma non è che gli dobbiamo cambiare nome solo perché ne sono cambiati i colori, è sempre quello! L'hip-hop se sei in grado di capirlo è come se fosse una medicina, e quindi arriva e interviene sotto vari aspetti in varie situazioni. Non è che c'è più di un hip-hop, c'è lui che cambia e prende la forma in base a dove deve intervenire, capito? E questa cosa è fighissima. Poi, se tu vuoi credere che l'unico hip-hop sia quello di Africa Baambaata, Grandmaster Flash e Kool Herc, va bene, ma per me ancora oggi ce n'è tantissimo.


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Quinta Intervista ad Alfano Lombardi aka B.Boy Pumba

Intervista dell'autore Jacopo Ferri

Foto di Ilaria Ibrisevic

Per iniziare vorrei farti alcune domande relative alla tua storia nel mondo hip-hop: a che età hai iniziato a ballare breaking e in quale città?

Ho iniziato a 18 anni, a Roma.

Come ti sei avvicinato al breaking la prima volta?

Il primo contatto è stato all'Alpheus pomeridiano. Non avevo ancora compiuto 18 anni, quindi non avevo ancora iniziato a ballare. Ho visto in un cerchio un ragazzo vestito con una canotta di colore arancio-giallo lucido, una fascetta e un pantalone su e uno giù che faceva tutti questi step rapidissimi con i piedi - solo dopo scoprii che si trattava del footwork - a un certo punto fece drill sulla testa a manetta, ho scoperto dopo che quel ragazzo era Emiliano D'angelo "Lilly". Questa è stata la prima volta che ho visto il breaking. Poi, da lì a pochissimo tempo, sai quelle cose casuali, camminando per il foro italico dove andavo a pattinare con i rollerblade c'era gente che ballava, un tizio che girava sulla testa. Lì ho rivisto il breaking e ho pensato: "strana 'sta cosa, la voglio fa' pure io!" La folgorazione, però, ce l'ho avuta all'Alpheus. Mi colpì lo stile di quel ragazzo, quel catalizzare l'attenzione facendo delle cose strafighe, non mi colpì tanto il giro sulla testa, ma come si muoveva, sembrava un serpente, era figo. Questo è stato il primo approccio.

Quando tu hai iniziato, il breaking era qualcosa che già si trovava in palestra oppure sei dovuto andarlo a cercare per strada?

In realtà era la fine del 2002 e fu proprio in quegli anni che il breaking cominciò ad andare nelle scuole di danza. Personalmente, non ho iniziato in una scuola, non immediatamente. Io mi sono innamorato di questa cosa insieme a due, tre, compagni di classe del liceo e quindi abbiamo iniziato a farla tra di noi, tra questi migliori amici. Ovviamente, come ogni gruppo di migliori amici che si rispetti c'è il "nigga", tutti i gruppi hanno un "nigga" (ride) e che di solito è bravo a ballare, sai quei luoghi comuni terribili, ma lui era veramente bravo a ballare, musica da discoteca, s'intende. Dopo un po' cominciammo ad allenarci, avevamo il nostro cartone su cui ballavamo e un cartone a parte più piccolo per le verticali, non so perché, probabilmente a terra era una merda (ride), però c'era questo cartone dedicato alle verticali. Dopo un po' di tempo uno di questi ragazzi qua - Adriano si chiama - scoprì che c'era Naish degli Urban Force che faceva delle lezioni a Tiburtina. Noi da lì abbiamo iniziato a capire che cos'era, andando da lui. Mi ricordo che ci spiegava delle cose e su un’ora che c'era di lezione per mezz'ora ballavamo e per l'altra mezz'ora stavamo seduti ad ascoltare le storie. Noi gli rompevamo le scatole, gli chiedevamo di tutto! Da lì, se pensi che questo accadde alla fine del 2002 e nel 2004 noi siamo entrati in Urban Force, il range di miglioramento e consapevolezza è stato poco, sono solo due anni.

Urban Force è stata la tua prima crew?

No. Stavo in una crew che si chiamava Sacramento B-boys ed eravamo io e altri ragazzi, fra cui Adriano e Mel One, che altri non era che Timon degli Urban Force, prima che diventasse Timon. Ci chiamavamo Sacramento B-boys perché eravamo di Montesacro, però il nome Sacramento era più americano (ride), ovviamente. Fu così che nacque la crew che poi, insieme a un'altra crew, divenne Urban Force seconda generazione.

Com'era la situazione a Roma a quei tempi? C'era gente che insegnava?

Allora, le lezioni che facevamo con Naish non le percepivamo troppo come scuola. Era la nostra fonte e andavamo sempre lì.  Poi, abbiamo scoperto l'Air Terminal e il Foro italico: l’Air Terminal è il posto che oggi è Eataly, a Garbatella. Quello lì era lo spot principale. Perché c'era il marmo, c'erano i bagni, c'era la corrente. Era un posto in disuso, quindi noi entravamo abusivamente da un buco e lì tutta la scena si allenava, tutti i giorni qualcuno c'era. Ci si organizzavano anche dei piccoli eventi tra cui l'SPQR Underground, o altre cose autoprodotte dove ognuno metteva due euro e chi vinceva si prendeva tutto, però lì trovavi tutti: c'era Primizio, che a Roma è stata una della persone più di riferimento; c'era qualcuno degli Urban Force ogni tanto; c'erano già Telespalla; Get Funky, questa gente qua. Però, ecco, non c'era qualcuno che spargeva knowledge, se andavi lì tutti i giorni e stavi lì tutti i giorni qualcuno ti iniziava a salutare dopo un po'. Dopo potevi provare a chiedergli qualcosa. Era un po' quel codice non scritto che allontanava gli scrausi a priori, sai quanta gente veniva ad allenarsi una volta o due e poi finiva lì.

Tu pensi perché non riuscivano a integrarsi o perché vedevano che questa cosa non faceva per loro?

Io ho pensato tanto a questa cosa. Ho pensato tanto a questa cosa perché io sono stato un ragazzo adolescente che veniva molto allontanato, però poi negli anni sono diventato io “l’allontanatore". Questa cosa è una di quelle cose di cui non vado molto fiero, personalmente, ma devo dire che in parte - questo atteggiamento non troppo inclusivo a priori - è qualcosa che protegge. Non è fatto con cattiveria o per essere i bulli della situazione, o non voler integrare gli altri, vuol dire cercare di integrare in questa cosa solo chi veramente ama questa cosa. Secondo me non è un ragionamento sbagliato. Ci sono modi e modi di farlo, ma non è un ragionamento sbagliato perché questo fa sì che non siamo cento, ma magari siamo sessanta che però questa cosa non la deformano o rovinano. A mio parere tanta gente che è stata inclusa prematuramente sono tutti quelli che poi hanno utilizzato il breaking a loro vantaggio, rovinandolo, portandolo in contesti assurdi, eccetera. Quindi, includere a priori secondo me non è giustissimo, ci vogliono degli esami: esami non detti, non codificati.

Ti ricordi qualche aneddoto - relativo a questa cosa - che hai vissuto anche tu?

Come no, ti racconto un episodio dell'Air Terminal. Praticamente, io quando ho iniziato a ballare non mi chiamavo Pumba, mi chiamava Head Panda, in breve PH. Perché ero ciccione e mi piaceva stare sulla testa. Io ero scioltissimo e la prima power move che ho imparato è stata head spin, in tutti i modi. Facevo gli invert con le gambe in faccia, facevo testa-verticale, hallow back, mi piaceva tantissimo stare sulla testa, ma ero cicciottello. Mi piacevano tanto i thread - i change si chiamavano ai tempi - ma non mi venivano benissimo: le gambe non mi passavano bene, ero un po' paffutto. C'era una persona a cui io chiedevo la cose che mi snobbava sempre, e se non mi snobbava aveva la battutina del cazzo, sai queste cose così. Per colpa di questa persona ho avuto gli unici due momenti di dubbio all'inizio in cui ho pensato che non faceva per me. Mi ricordo che piansi per queste cose, ero proprio preso male. Ma queste cose, anche per il mio carattere, mi hanno motivato terribilmente! A me questo qua che mi prendeva per il culo mi motivava! Mi faceva soffrire, ma mi motivava! Lo beccai due anni dopo a una finale uno contro uno a Ostia e vinsi quattrocento euro contro di lui. Per me lui è stata una persona importantissima. Ad alcune personalità degli atteggiamenti del genere possono fare molto male, me ne rendo conto, ma per il mio carattere mi ha fatto male all'inizio e poi mi ha molto spinto. Quando ho avuto questa piccola vendetta è stato soddisfacente, ma questa persona la rispetto comunque tantissimo.

Quando avete formato la vostra prima crew il tuo approccio al breaking ha subìto un cambiamento?

Ce l'ho avuta dal giorno zero io una crew alle mie spalle, non sono mai stato da solo. Ho iniziato a ballare con questi compagni di classe e dopo due giorni eravamo già i Sacramento B-boys. Noi eravamo i Sacramanto B-boys e poi abbiamo conosciuto i Da Squad, che erano Trauma, Ino, e qualche altro ragazzo. Abbiamo fatto amicizia. C'era Trauma che era questo tizio assurdo che faceva cose fuori di testa e Ino era, invece, questo ragazzo estremamente portato a fare qualsiasi cosa. Conoscendoci abbiamo fatto una fusione e ci siamo chiamati i Patchwork Flava, sai i patchwork sono i lavori fatti con le toppe e visto che eravamo due crew unite abbiamo scelto questo nome. Dei Sacramento B-boys, tempo un anno, eravamo sopravvissuti io e Timon. Questa unione ci ha portato a fare dei battle, a viverci delle situazioni, ed eravamo visti molto dalla scena come: "chi cazzo so' questi?" (ride), così iniziammo a girare e a Pesaro conoscemmo Nexus. Abbiamo integrato Nexus in questa crew, insieme a Spina e Bracciu. In quel periodo successe che nel frattempo io e Timon stavamo sempre a contatto con quelli che erano i nostri maestri: Tim; Serio, Naish, e Chiara anche, la ragazza. Era un continuo, noi andavamo con loro ovunque, stavamo sempre a chiedere. Ricordo che una volta ci portarono a un evento della Nike a Tiburtina dove loro ballavano su Grandmaster Flash che suonava, cioè, una festa assurda! Un giorno ci invitarono a casa di Tim e ci dissero che loro avevano trenta e passa anni, avevano tante nuove dinamiche da affrontare e chiesero a me e a Timon di diventare parte della loro crew. Capirai, noi tutti mega felici, però io gli dissi: "Assolutamente sì, è un onore! Ma apatto di non lasciare i nostri amici indietro!", quello è stato il momento in cui tutta Patchwork Flava è diventata Urban Force. Loro erano la mia crew, non potevo entrare in Urban Force e accannare la mia crew, era giusto che tutti quanti vi entrassimo. I capi sono stati contenti e da lì è nata la seconda generazione Urban Force, nel 2004.

Come è cambiato il tuo modo di ballare, entrando in Urban Force?

Totalmente, ma non è cambiato solo il modo di ballare. È stata una carica. Immagina un atleta che entra in una cosa più grande, più importante! Comunque Urban Force c'era dal 1996, è una delle primissime crew della seconda generazione del breaking in Italia. Una delle crew più rappresentative d'Italia da sempre, se non forse la più rappresentativa. Quindi era qualcosa di assurdo, per me è stata una carica enorme. Non è cambiato il mio modo di ballare, ma la carica, la fotta, la convinzione! Si dice sempre che si impara dalle sconfitte, ma da una bella vittoria ricevi una grande carica per andare avanti, non è solo a batoste che si prosegue, ma anche a soddisfazioni. Quindi, si! È cambiato molto, è cambiato tanto. Da lì ci siamo uniti e abbiamo iniziato a fare le cose sotto un altro nome. In parte, ti posso dire, ci abbiamo messo un po' a mantenere la nostra identità, nel senso, quando siamo entrati in Urban Force c'è stato un momento di cambiamento. Ci abbiamo messo un po', ma poi è andata, il resto è quello che è. Sono stato in Urban Force dieci anni: dal 2004 al 2014.

Cosa ti ha aiutato a trovare quell'identità quando ti trovavi in Urban Force?

Il motivo per cui ho fatto entrare tutti quanti. Io sono sempre stato un traino come carattere. Sai, nel gruppo c'è sempre il cagacazzi, il pigro - probabilmente il più talentuoso di tutti -, c'è quello negativo e poi c'è il traino. Io sono sempre stato il traino, e il cagacazzi, anche. Però sempre propositivo. Il discorso di trovare la mia identità era per dire che ci mettemmo un po' a capire che eravamo Urban Force, ma non dovevamo atteggiarci, comportarci, oppure ballare come loro. Comunque è stato piuttosto naturale, ci si è messo poco. Io avevo solo un desiderio, mi ricordo: il rispetto della scena. Il mio primo desiderio - quando iniziai a ballare - era essere il "ciccione più forte d'Italia", perché era la mia giustificazione a non dimagrire, mi ero trovato la mia nicchia. Dicevo: "che schifo le powermove", perché non mi venivano. Poi, mi sono detto di voler uscire da quella situazione, feci una dieta ferrea e persi sedici chili. Iniziai a fare le power move. Poi, da quel primo sogno è diventato: "Devo spaccare il culo a tutti, fine." era questo. Quando andavi a vincere un battle non te ne fregava niente del premio, della selezione - dei social non ne parliamo perché non c'erano, c'era solo breakdance.it dove ci facevamo tutti account falsi per insultare altre persone (ride) -, ma c'era la voglia di rappresentare ed essere i più forti. A un certo punto siamo diventati uno spauracchio, quando arrivavamo nei posti la gente iniziava a dire: "che palle!", era figo!

Cosa significa, per te, una crew?

Interessante(pausa). Ti dico interessante perché secondo me è una cosa che cambia nel tempo, cambia con te. La crew è un'idea condivisa. Non è un gruppo di persone che stanno insieme tutto il giorno, non è una famiglia, non è questo quello intendo oggi per crew. È una idea condivisa. Nel momento in cui io condivido un'idea con te e questa idea ha un processo condiviso, un obiettivo condiviso, un metodo condiviso, io e te facciamo una crew. Facciamo una crew e andiamo avanti insieme verso il raggiungimento e il compimento di quella idea. Nella mia vita ho trovato unione con persone che non facevano la mia stessa cosa, ma condividevano con me delle idee e questo ci ha portato a unirci automaticamente, capito? È un'idea condivisa spontaneamente. Questo per me è una crew.

È più un fatto mentale, quindi, piuttosto che pratico?

Assolutamente si! In tutte le crew in cui sono stato, anche se sono state quasi tutte un'evoluzione dell'altra: Sacramento B-boys-Patchwork; Patchwork-Urban Force; Urban Force-Blood Brothers; Blood Brothers-Seaside Attack; e così via. Non è un discorso pratico perché in tutte queste crew c'era sempre il più scarso ed era quello con cui avevo più voglia di farci i due contro due. Cioè, a me non me ne frega un cazzo di fare il team per vincere quella cosa! Per me quella persona è importante! Capito che intendo? Non è un discorso troppo pratico. È normale, abbiamo un obiettivo e nel momento in cui l'obiettivo si disegna dobbiamo remare tutti insieme in maniera pratica e pragmatica, ma è innanzitutto più mentale. Ad esempio: i Blood Brothers! Non sapevamo un cazzo di quanto ci allenavamo, di quello che facevamo, era più uno state of mind.

Mi hai detto che il concetto di crew è cambiato nel tempo.

È cambiato, è normale. Quando nel 2008 abbiamo vinto l'Hip-hop Revolution - che è stato l'evento che poi ci ha mandato in America - lì l'obiettivo era allenarci a stecca per aumentare il livello allo scopo di vincere. Quello fu forse l'evento più importante d'Italia, c'era una Top32 in cui ci trovavi tutte le crew, tutte. Quello e Next Stop Termini furono i due eventi più importanti d’Italia, radunavano più gente dell'Hip-hop Connection, per farti capire. C'era gente forte. Erano eventi pesanti dove noi siamo emersi solo e unicamente perché la giuria era estera. Questa è una storia che con le mie crew esiste dal giorno zero. Noi abbiamo superato scogli enormi grazie a questa cosa. Quando la giuria era italiana, non funzionavamo. Urban Force era emersa in un momento storico sbagliato, probabilmente, eravamo troppo avanti per quegli anni. Quando hai un obiettivo - come vincere un evento così importante - devi lavorare sodo, e tutti devono lavorare alla stessa velocità. Fare delle routine di crew, noi ce le avevamo addirittura numerate. Eravamo molto organizzati e molto decisi, è l'unico modo per alzare il livello.

Ti cambio un attimo argomento, anche se riprendiamo alcuni concetti che mi hai detto prima. C'è una famosa frase di Kase 2 che dice: "Devi avere stile se vuoi combattere per lo stile, se non hai stile perché vuoi far parte di un movimento che è interamente basato sullo stile?", basandosi proprio su queste parole, vorrei chiederti: secondo te che cos'è lo stile nel breaking? E perché è così importante?

Mh, okey. (pausa) Noi veniamo da un periodo in cui si diceva: "balli di stile", ed è sempre stata una cosa che a me faceva rabbrividire. Ci stanno tanti b-boy che propriamente non ballano, ma che hanno un botto di stile. Magari non hanno knowledge o dimestichezza con il top rock, il rocking, il footwork, eccetera, ma hanno stile a loro modo. B-boy che non hanno propriamente delle forme classiche, come il breaking vuole, ma che hanno comunque un botto di stile. Per me lo stile è una foundation. È un "must have". Non è una cosa che costruisci, puoi imparare mille cose, ma non puoi imparare ad avere stile. C'è gente fortissima tecnicamente - e per tecnicamente intendo anche top rock, footwork, non solo power move - che però non hanno quello stile che magari ha una persona molto più scarsa tecnicamente, ma che gli basta stare semplicemente in piedi per essere già figa. Lo stile è un qualcosa strettamente collegato alla personalità, questo è lo stile.

Riprendendo un po' il discorso di prima - relativo alle crew - lo stile pensi sia qualcosa di individuale, oppure collettivo? Può esistere lo stile di una crew, o di una città?

Lo stile cittadino è cittadino perché c'è una persona di spicco in quella città, una persona che è il mentore oppure il riferimento di quel posto. La città non ha il suo stile. C'è una persona che ha dato qualcosa, guarda Torino: Torino non ha il suo stile, ma ha NextOne. Però NextOne è arrivato indirettamente anche in Abruzzo, è arrivato anche ad Ancona, ma Ancona è diversa dall'Abruzzo e l'Abruzzo è diverso da Torino, okey? Ti faccio un esempio: magari ad Ancona Maurizio (NextOne) ha insegnato a Swift, ma lui non è Maurizio, è fisicamente diverso e quindi Swift ha dato ad Ancona quel footwork. Stessa cosa per l'Abruzzo: Marco Sala è quello che insegnato a Cima ed Eddy, ma loro due sono stati quelli che hanno dato l'impronta a tutti i ragazzi. La forza di Roma, secondo me, che poi è stata ripresa dai nuovi di Roma - e non solo - non era nella tecnica, ma nell'ATTEGGIAMENTO. Roma ha insegnato il breaking che ancora non si conosceva all'Italia; Roma ha insegnato a fare i cypher all'Italia. Roma ha insegnato un'attitudine. E Urban Force ha insegnato un'attitudine: i cypher battle; il contatto; il linguaggio del corpo; i burn; tanta roba l'abbiamo insegnata noi, senza avere la presunzione di farlo, ma automaticamente. Sono le persone che fanno lo stile di una città.

Nella vostra crew avevate delle signature moves, dei passi che erano solo vostri?

Si, si. Noi personalmente volevamo essere molto classici nelle forme, ma estremamente tecnici. Però la nostra tecnica era quell'air track, quella corona, quel passaggio preso nella maniera differente. Anche oggi quando insegno ai ragazzi gli dico: "potete uccidervi tutta la vita a provare l'air track, e sprecate un sacco di tempo" (ride), okey? Va bene superare i propri limiti, ma fino a un certo punto. Se nel cammino per superare i miei limiti non faccio quello che mi viene facile rimango una pippa. Se invece quello che mi viene facile lo porto a un livello successivo in quella cosa sarò speciale. Questo è basilare, ma non sempre viene capito.

Secondo te c'è un insieme di caratteristiche che dovrebbe possedere lo stile di un b-boy, o di una b-girl?

Naturale. Lo stile deve essere naturale! Un b-boy deve essere a suo agio con le posture che sceglie di avere e con le movenze che sceglie di eseguire. Ti faccio un esempio, molto si associa con il fisico: se io sono molto magro e longilineo e cerco di avere uno stile forzatamente classic, probabilmente non sarò bello tanto quanto se cercassi di avere uno stile più morbido e più fluido, essendo lungo e morbido di natura, mi spiego? Quindi, se io dovessi lavorare in scioltezza sarei buffo. Spesso si vedono tanti ragazzi che cercano di lavorare nei thread, però fisicamente sono di legno, e quel passaggio che in una persona longilinea sarebbe bello in una persona di legno è brutto. Magari il passaggio è uguale, identico. La prerogativa dello stile è la naturalezza. Delle volte capita di vedere un b-boy vestito malissimo, anche famoso, anche forte, che balla con delle super sneakers, con questi pantaloni a carota che si stringono verso il basso e sono bruttissimi. Non perché sono vestiti male, ma perché hanno delle forme hip-hop classiche con un outfit estremamente new school che cozza! È brutto! Le gambe sono brutte! È come fare un footwork in bermuda se non sai fare bene il three step: è brutto, non te li puoi mettere i bermuda. È come quando esci di casa, si vede se hai una maglietta stretta, o strana, un colore che non c'entra niente. Deve calzare sul corpo di quella persona, sulle sue movenze. Ti potrei fare un miliardo di esempi in positivo e in negativo.

Lo stile è una cosa che cambia nel corso del tempo? È dinamico?

Ci sono varie risposte. Una può essere che si cambia il fisico e di conseguenza cambiano i tuoi movimenti. Parlando personalmente ho avuto un sacco di infortuni e nel tempo mi hanno privato di alcune cose. In questa privazione vai a cercare altre strade perché smettere è impossibile se fai questa cosa veramente. Cercando altre strade vai a cambiare per forza quelle che erano le tue comodità, le tue forme, le tue cose. Questa è una via: cambia il fisico, quindi trovi nuove strade, involontariamente o per forza sennò smetti di ballare. L'altra via - e questa è una cosa che ci ho messo un po' a capire - mi fa venire in mente Poe One quando ci fece vedere i video di Floor Phantom che faceva rocking, in cui narra una storia ballando, ma tu non lo sapevi finché Poe One quella storia non te la spiegava. Poi, ti diceva: "l'occhio non vede quello che il cervello non può capire". Lì per lì questa frase la capisci, ma non la comprendi. O almeno io non l'ho compresa subito, l'ho compresa nel tempo. Nella crescita - e con crescita parlo nel migliorarsi, nel ricercare, nel conoscere sempre più cose - scopri sempre più cose nuove, e a me insegnare ha aiutato tantissimo in questo. Mi è capitato di spiegare delle cose fondamentali a ragazzi che non ne apprezzavano minimamente l'importanza, e quindi quel messaggio non arrivava. Mi è capitato di spiegare la stessa cosa a persone più mature, o magari alle stesse persone ma due o tre anni dopo, e quel messaggio è arrivato come un treno! Capito? Quindi ci sono delle cose che serve il momento giusto per capirle realmente, perché sennò non fanno breccia nella mente del ragazzo e quel ragazzo non raggiunge il suo obiettivo. E mi è capitato veramente con le stesse persone a distanza di anni.

Parlando dell'insegnamento, tu insegni da molti anni?

Dal 2010, diciamo.

Cosa cerchi di insegnare maggiormente ai tuoi allievi?

Anche questo con il tempo è cambiato, però fondamentalmente cerco di insegnare strumenti. Strumenti che consentano - al ragazzo o ragazza che sia - di appassionarsi. Il primo step è appassionare, se tu non appassioni quella persona verrà a lezione e basta, e non serve a un cazzo. Se non appassioni hai già perso in partenza e il tuo lavoro da insegnante è già finito. Quindi, prima cosa che cerco di fare è appassionare. E come li appassiono? Facendo vedere me appassionato! Io sto a tremila quando insegno: faccio mille esempi, faccio mille cose, fremo! Perché vado a scavare in diciotto anni di breaking e loro questa cosa la percepiscono. Se loro la percepiscono si appassionano in primis a te, e appassionandosi a te si appassionano al breaking. I Seaside Attack - che ora non sono più i miei allievi, ma dei compagni di crew - io li ho appassionati! E loro sono andati da soli. Quindi, appassionare è la prima cosa. Dare strumenti è la seconda: per strumenti intendo tecnica che non è opinabile. Dopodiché, ci sono tutte le sfumature. Ovviamente, i miei allievi hanno un'impronta. Io appartengo al breaking e questo non è sport, ma non è nemmeno danza. Cerco di insegnare questo, facendo capire l'importanza di determinati aspetti che ti fanno spaccare quello che fa dieci giri su un dito, capito?

Come svolgi solitamente una tua lezione?

Il mio problema da insegnante è che ogni lezione che faccio la faccio come fosse un workshop, nel senso che a differenza dell'insegnate vero e proprio, io ogni volta che ti vedo ti devo dare qualcosa di nuovo. Quindi, a ogni lezione do una valanga di roba che però settimanalmente non va bene. L'insegnante dovrebbe farti fare un elemento finché non lo impari, però io ho talmente la voglia di passare concetti che ogni volta faccio roba nuova! È una cosa che nel tempo ti distrugge (ride), ogni tanto devo tirare il freno e fare un po' di meno, sennò non ci capiscono niente (ride).

L'insegnamento si svolge unicamente dentro le lezione, o li porti anche fuori i ragazzi?

Stai toccando dei tasti molto pericolosi (ride). Assolutamente vanno portati di fuori! Vanno portati fuori, vanno coinvolti. Nel caso del breaking vanno portati subito nella tana dei leoni. Finché hai un gruppo di allievi che sono bravi, magari è un caso, ma se posso spezzare una lancia in mio favore, a chiunque insegno a un certo punto è in grado di fare breaking decentemente, poi sta a lui il resto del lavoro. Questo è quello che vedo quando lavoro con la gente sporadicamente, o quando lavoro all'accademia mattutina in cui i ragazzi fanno breaking per un anno, o due. In due anni io li metto in grado di affrontare un cypher battle.La cosa importante è portarli subito in giro. Ma non come va di moda ora - da qualche anno a questa parte - con il maestro che sta dietro all'allievo durante il battle, io gli faccio: "Okey, questa è la jam, bella!", perché anche io a differenza di molti insegnanti ancora ballo, sto sempre nei cerchi! Non sto lì dietro al mio allievo, sto più sudato di lui probabilmente (ride).

Parallelamente, però, bisogna stare attentissimi a una cosa: IL LEGAME! Il legame con l'allievo deve rimanere relegato a quello che facciamo. Far sì che gli allievi entrino troppo nella nostra vita e noi nella loro è una cosa al 90% deleteria. Perché va a creare delle aspettative emotive che non c'entrano nulla con quello che facciamo, e queste vanno a condizionare le scelte. Un ragazzo non si deve sentire condizionato a fare le sue scelte da un legame con una persona. Quando spesso si parla di allievi, non sono NOSTRI allievi, non è un mio allievo perché gli ho insegnato: sono allievi del breaking, tramite me. Loro non sono vincolati a me in nessun modo! Poi, l'educazione e il rispetto è un'altra cosa. Un ragazzo deve imparare a essere rispettoso con il proprio insegnante, ma così come deve essere rispettoso nei confronti di tutte le persone che lo circondano. Ma deve sentirsi libero e svincolato. Obbligo dell'insegnante è quello di dare tutti gli strumenti per affrontare le scelte che quel ragazzo dovrà fare.

Ti porto verso un altro argomento di cui parlavamo prima. Mi hai parlato del cypher, di come con gli Urban Force avete portato la conoscenza di come farlo in un certo modo - non solo a Roma, ma anche in Italia - , pensando a questo e mettendolo in relazione alle competizioni che vediamo oggi: secondo te che cosa rappresenta il cypher nel breaking?

Totale. Viene molto prima della competizione. Ma viene prima proprio perché viene prima a livello temporale all'interno di una jam, e questo è un altro messaggio che i ragazzi dovrebbero imparare. Ma anche qui: da chi lo imparano? Lo imparano se lo vedono fare! Chi è mio allievo capisce questa cosa perché vede me farla: vede Pumba che arriva, saluta i suoi amici, posa lo zaino e fa i cerchi; di conseguenza capisce che deve fare i cerchi. Di conseguenza l'allievo capirà che questo è il leader. Se un allievo va lì, si iscrive, si attacca il numero addosso, fa la sua entrata, finisce e il maestro sta fuori a fumare, l'allievo che capisce? Che viene lì per fare la gara. La singola entrata, perché poi non vanno avanti. Non lo conoscono il cypher, in questo modo, lo fanno solo in palestra tra di loro.

Il cypher è totale. Rappresenta quello che facciamo in generale, lo racchiude nel vero senso della parola. È qualcosa di piccolo che tiene al di fuori tutto, e solo se meriti puoi stare là dentro. Se meriti - e meriti non vuol dire se sei forte - puoi stare lì dentro. Se tu vali e hai voglia di fare questo c'è spazio là dentro; il cerchio si stringe sempre di più perché tutte le persone vogliono entrare e quindi il cerchio si fa piccolo, tutti sono fomentati! Quando sei lì dentro vedi tutto: hai il contatto negli occhi con le persone; hai la persone che finisce di ballare e gli dai la pacca sulla spalla perché ha ballato bene, o magari ha sbagliato ma gliela dai uguale per dire: "dai magari dopo ci riprovi"; c'è quello che odi e gli vuoi fare il culo e non vedi l'ora che entri sul pezzo giusto per fargli il culo, che poi probabilmente quello che odi diventa quello che ami perché è così che funziona; cioè, tutto quello che facciamo sta lì! E se sei in grado di farlo lì, lo puoi fare anche sui grandi palchi. Viceversa se sei solo in grado di farlo sui grandi palchi, non sarai mai in grado di farlo nel nostro habitat naturale. È nel cerchio che saltano fuori tutte quelle qualità: quella naturalezza, quell'educazione, quel linguaggio del corpo necessario alla sopravvivenza. Nel cerchio mi è capitato un sacco di volte di ballare e vedere una persona che parla, che dice qualcosa su di te e tu subito scatti attento: "che cazzo dici?", è un microcosmo, capito? È un microcosmo dove succedono mille cose. Dove vedi quello che si atteggia, quello che si è drogato di video di una persona e si muove come quella persona, vedi quello che ha l'aura e ti mette l'ansia solo a stare lì. È troppo bello, ti fa venire la pelle d'oca. Questo è il breaking.

Quanto è importante per te nell'apprendimento del cypher, il capire le dinamiche che avvengono all'interno? Non mi riferisco unicamente al ballare, ma come hai detto tu a saper guardare il cerchio da più punti di vista?

Fondamentale. Fondamentale e quando mi capita di stare in giuria è una cosa che guardo tantissimo, anche nel battle. Da come tu sei "fuori", io capisco se sei fake o no. Da come ti muovi nella vita normale, mentre non stai ballando, io capisco se tu stai emulando o se quella cosa te la stai vivendo. Se tu sei attorno al cerchio e mettono It's Just Begune stai impigrito, e poi quando balli sei tutto funky, sei tutto "yeah", tu stai emulando qualcosa! Perché se parte una canzone come questa, o parte il Wu-Tang, e tu non reagisci fisicamente, c'è qualcosa che non va. Vuol dire che stai emulando, che stai facendo uno sport in quel momento. Il linguaggio del corpo è fondamentale! Io ancora oggi ho tantissima ansia quando vado alle jam, non ansia di paura, ma voglia di fare, io fremo! È come se aspettassi tutti i giorni prima solo per andare lì. Mi diverto nel cerchio, oggi, questo non vuol dire che non faccio battle, però hanno tutti un velo di ironia, ormai. Quel momento in cui sfidi il tuo avversario cattivissimo è passato per me, appartiene al passato. Io sono assolutamente cattivo allo stesso modo, ma con il sorriso in faccia stampato. Forse perché sono un po' più grande, quindi mi comporto in una maniera differente ora, sarei buffo a essere così aggressivo adesso, sembrerei quasi fuori luogo. Poi dipende ovviamente, magari becchi il pezzo di merda che ha bisogno delle sculacciate e lì cambia tutto (ride), però è bello perché tutto ciò che succede intorno, il linguaggio del corpo di tutti, è come guardare un film, è importante! Devi sapere quando fermarti, devi sapere quando non è il tuo turno: hai visto quando due entrano contemporaneamente e vogliono dominare per forza il cerchio, ci sta perché vuoi mettere la tua bandierina, ma a volte è più smart dire: "okey balla" e poi prendertelo senza prepotenza e spaccare. La cosa bella che mi capita spesso di dire è che davvero io attraverso questo ho imparato l'educazione, capito? Perché se sei maleducato con la persona sbagliata, rischi. Impari a dire ho perso, impari a dire ho vinto, impari a dire: "bravo" all'altro, impari a dare un consiglio, a sostenere, a socializzare. Basterebbe imparare a fare breaking per imparare a campare. (ride) Però fare breakingdavvero! Non le gare e le competizioni!

Tu ancora adesso partecipi a gare e competizioni, qual è la differenza di ballare in un cerchio e ballare in un contest? Come ti vivi queste due situazioni differenti?

Nessuna. A oggi è difficile che io faccia una competizione sul palco, perché non mi piace. Ormai mi sento libero di scegliere che cosa fare. In generale, no, io affronto un contest normale come stessi in un cerchio, allo stesso modo. È normale che più vado avanti con il tempo e continuo a conoscere cose, più considero il breaking un linguaggio a sé, più sgamo tutto. Quindi se vedo che tu sei un biter, se vedo che tu fai il coatto ma in realtà non conosci il linguaggio basilare del breaking, io sto lì e ti sculaccio tutto il tempo (ride) e ti rendo quei cinque minuti i più brutti della tua vita. È così.

Quanto è importante per un b-boy il sapersi adattare a tutte queste situazioni differenti? Quanto è importante il saper ballare sopra un palco, sull'asfalto, in un cerchio piccolo, in un cerchio grande, e così via?

Fondamentale. Un b-boy dovrebbe imparare anche a fare delle coreografie, dovrebbe ballare anche qualcosina in più se vuole vivere con questo. E con vivere con questo non intendo per forza insegnare, parlo di ballare con questo. Ha talmente tante cose da offrirti il breaking, è talmente vecchia la cosa di dire: "no non ci ballo in televisione", perché no? Ma magari riuscire a fare questo in tutti gli ambiti! Devi sapere adattare le tue abilità, i tuoi trick, i tuoi passi a un palco gigante, perché se ora vai a fare una competizione grossa il palco è di venti metri! È fondamentale! Il breaking è sempre uno, è sempre un'unica cosa: lo sai fare, o non lo sai fare. Se lo sai fare lo fai dappertutto, se non lo sai fare non lo sai fare.

Cosa pensi della divisone tra underground e mainstream?

No, non c'è più! Appartiene all’inizio degli anni 2000, secondo me non c'è più. È una cosa che non esiste più. Il problema è: chi è giovane adesso e inizia a ballare da poco lo conosce l'underground? Lo toccherà mai? Come fai a dare la colpa a questi ragazzi vestiti in modo obbrobrioso, è difficile che abbiano qualcosa per andare a vedere che cos’è. Non esiste la divisione underground e mainstream, esistono le scelte, sono io che decido se fare questa cosa oppure no, se fare un determinato casting oppure no. Cioè, i b-boy più forti del mondo hanno fatto più film di Fantozzi (ride).

Delle volte si parla di going off, tu come lo descrivi?

Il go off non so se paragonarlo a un singolo istante, oppure a una situazione. Paragonato al momento: è quando ti spegni e vai in automatico - ma non automatico a livello di prestazione - il tuo corpo reagisce spontaneamente non solo alla musica, ma alla situazione. Quelle rare volte che mi è capitato è una cosa che succede in connessione con la persona che hai davanti e l'ambiente che ti circonda. È il momento in cui tu hai tutto sotto controllo senza avercelo sotto controllo. Senza pensarci. Mi è capitato, delle volte, di fare la mia entrata bene e di riuscire nel frattempo a stare sul pezzo, a fare un burna una persona e nel frattempo avere contatto con il pubblico. Non lo so, è tipo un miracolo! (ride) Hai tutto sotto controllo, senza doverci pensare. Davvero, la definizione giusta è miracolo. È quella sensazione che rende tutto l'ambiente circostante consapevole del fatto che tu sei il capo, in quel momento. Poi, la situazione finisce, ma in quel momento hai tutti i riflettori su di te. È una bella sensazione.

Vorrei introdurti un'ultima questione: in base alla tua lunga esperienza nel mondo hip-hop, credi che nel breaking ci sia differenza di genere?

C'è differenza di genere mentale (ride). Il breaking che amo non è il breaking di grandi cose, quindi togliamo un attimo dall'equazione il discorso fisico. Perché nel breaking che amo non mi interessa se sei in grado di fare dieci giri sulla mano, okey? Una cosa che io odio di questa distinzione è il fatto di doverla fare, e il fatto che a metterla in evidenza sia sempre il lato, tra virgolette, più debole. Sono sempre le b-girl che evidenziano questa differenza, il b-boy non lo fa, anzi, più b-girl ci sono più è contento. Quindi per quale motivo bisogna evidenziarla? Teoricamente non dovrebbero nemmeno esserci i b-girl battle, però quello non è un differenziare perché una b-girl può entrare in un b-boy battle quando vuole. Nel momento in cui si fa il kids battle, oppure il b-girl battle, è solo per mettere a proprio agio un gruppo di persone, non un agevolare, un differenziare perché valgono di meno, ma dire: "okey, hai delle caratteristiche differenti, ti metto a tuo agio creando una categoria per te", ma non ti vieto di entrare nell'evento standard, anzi, devi venire. Soprattutto nel breaking vero, questa differenza non esiste! Ci sono b-girl potentissime. Quindi, anzi, il b-girl battle è un'agevolazione per mettere a proprio agio, lo fai per coinvolgere più ragazze e far vedere che questa cosa la possono fare senza nessun problema. Non lo distinguo. Io parlando dei miei allievi, posso dirti che le ragazze sono molto più forti dei maschi: molto più forti, molto più stilose, molto più originali, molto più coatte.

Tu sei insegnante di una crew di b-girl che si chiamano We Too B-girls, giusto?

Sono una crew a sé stante, io le alleno, le ho allenate.

Hai mai trovato delle differenze nell'insegnare ai ragazzi e alle ragazze?

No, sono più intelligenti. Le ragazze sono più veloci, meno legnose, questa è la differenza di genere (ride). Personalmente, mi è capitato di avere tantissime ragazze dedite molto di più al lavoro, il maschio dopo un po' cede.

Ti faccio un'ultima domanda, anche se un po' mi hai già risposto prima: secondo te l'hip-hop è uno solo, o ne esistono tante tipologie diverse?

No, è uno solo. Senza dubbio. È uno solo, ma non è solo quello. Haipresente il discorso sull’acqua di Bruce Lee? Uguale! L’hip-hop È uno solo che prende le sembianze diverse, a volte anche tanto diverse, perché si adatta automaticamente a un contesto storico e così via. L'hip-hop che c'è oggi, la musica che c'è oggi, il dress code, il linguaggio, è diverso da quello che c'era venti, trenta anni fa. Ma non è che gli dobbiamo cambiare nome solo perché ne sono cambiati i colori, è sempre quello! L'hip-hop se sei in grado di capirlo è come se fosse una medicina, e quindi arriva e interviene sotto vari aspetti in varie situazioni. Non è che c'è più di un hip-hop, c'è lui che cambia e prende la forma in base a dove deve intervenire, capito? E questa cosa è fighissima. Poi, se tu vuoi credere che l'unico hip-hop sia quello di Africa Baambaata, Grandmaster Flash e Kool Herc, va bene, ma per me ancora oggi ce n'è tantissimo.