Interviste "The Intelligent Movement - Corpo, Individuo e collettività nella cultura Hip-Hop" pt.6 B.Boy Simba

Pubblicato il 12 agosto, 2024
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Articolo di Matteo Benacchio

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Sesta Intervista a Federico Collacchioni aka B.Boy Simba

Intervista dell'autore Jacopo Ferri

Foto di Erik G

Per iniziare vorrei farti alcune domande relative alla tua storia nel mondo dell'hip-hop: dove hai iniziato a ballare breaking e in quale città?

Ho iniziato qui a Ostia, avevo 13 anni ed era l'estate del 2004. Io stavo al mare - perché noi qua passiamo tutta l'estate al mare - e c'erano dei miei amici, che frequentavano la stessa spiaggia, che già ballavano da un po'. A fine estate hanno organizzato una competizione, un evento - era una specie di competizione coreografica - e questi miei amici volevano partecipare perché era proprio nella nostra spiaggia, avevano costruito il palco e tutto. Era fine estate non avevo niente da fare e iniziai a seguire questi amici che si allenavano, mi portarono in galleria che era un posto dove si allenavano i pischelli durante quegli anni; io mettevo play allo stereo, mettevo la musica, li seguivo così. Insomma, mi sono invorticato in questa cosa. All'inizio ero completamente contrario perché mia sorella - che già ballava da un po' e frequentava il mondo dei locali - mi diceva: "dovresti ballare, dovresti ballare" e io non volevo assolutamente. A me non me ne fregava un cazzo perché vedevo l'hip-hop che c'era in televisione, quindi vedevo tutti questi con i soldi, le pellicce, coatti, mi sembrava una cosa coatta e non mi piaceva! Invece, poi, casualmente senza pensarci troppo ho seguito questi amici, mi piaceva, facevano tutte mosse fighe, mi è piaciuto il fomento per questa competizione, il fatto che si dovesseroallenare, e così mi sono ritrovato a provare cose senza stare troppo a pensare: "inizio, o non inizio?". Durante quella serata in cuic'è stata la competizione mi è proprio scattato il fomento! Ci stavano anche Sonny, Fetto e altri che erano gli insegnanti qui a Ostia.

C'era già una palestra in cui insegnavano breaking a Ostia? Una struttura organizzata?

Ci stavano questi altri ragazzi più grandi che avevano dei corsi. In pratica avevano due, tre palestre dove c'erano corsi di breaking. Loro avranno avuto venti anni, non è che erano grandi, però per noi lo erano. Erano quelli più forti. C'erano anche loro a quella competizione e ho visto la loro coreografia, poi la coreografia dei miei amici, e lì mi è sembrata una cosa incredibile! Ho iniziato a ballare durante quell’evento, è durato per diversi giorni. Ballavo a caso, mi lanciavo. (ride)

Quindi, hai iniziato a ballare per strada?

Il primo mesetto è stato casuale. Io non guardavo dove stavo, seguivo i miei amici. Però, c'era anche questo corso che poi a ottobre è partito e io mi sono iscritto, da lì ho iniziato a farlo più attivamente. Quindi, posso dirti che ho iniziato metà per strada e metà in palestra.

Com’era la situazione a Ostia i primi tempi? Era isolata oppure connessa a Roma?

No! Per niente connessa a Roma. Di Roma si sapeva solo quello che ci raccontava chi andava ogni tanto là, quello che alcuni di questi pischelli più grandi ci diceva. Per esempio di quando andavano all'Alpheus e ogni tanto c'erano dei cerchi; o magari se ci stava qualche evento. Sembrava una cosa molto lontana. Ognitanto anche a noi ci capitava di andare a Roma, all'Alpheus - perché mia sorella era più grande e si faceva le serate di pomeriggio - andando là, per dire, c'era il cerchio e ti buttavi a fare qualche entrata. Poi non mi ricordo come, sempre tramite Sonny, ci capitò di andare a un paio di eventi e lì abbiamo sentito parlare dell'Air Terminal.

L'Air Terminal era una struttura vicino la stazione Ostiense in cui si allenavano un sacco di b-boy, la prima volta che siamo andati là era marzo del 2005, avevano organizzato un contest: l'SPQR, ci avevano portato i ragazzi più grandi, gli stessi che ci insegnavano. Abbiamo partecipato e da quel momento in poi abbiamo iniziato a frequentare quel posto, la domenica eravamo sempre là.

La situazione all’Air Terminal era simile a quella di Ostia, oppure c'era un ambiente diverso?


Ne sapevano molto di più.La cosa figa è che era pieno di gente che ballava, a Ostia di solito c'eravamo solo noi non c'era nessun altro. Andare a Roma era figo perché c'erano persone che sparavano roba potente, gente che si vedeva che ne sapeva di più. Noi andavamo lì per fare breaking. Io mi sono approcciato al breaking in un modo che mi sembrava un po' separato dall’hip-hop, come ti ho già detto io a quell'età pensavo che l'hip-hop fosse soldi, fama, televisione, capito? Non sapevo bene cos’era, nel breaking vedevo qualcos'altro. Frequentando l'Air Terminal abbiamo iniziato a conoscere la scena di Roma e abbiamo avuto l'opportunità di frequentarci con gli altri, capendo anche il modo in cui noi lo facevamo! Noi avevamo uno stile diverso dagli altri.

Puoi farmi qualche esempio riguardo questa cosa?

Tipo, noi facevano un botto di power freeze, avevamo un botto di foga, di energia da ragazzi di strada. A Roma - invece -c'era più classe, più cultura, si vedeva che era collegato a qualcosa di più solido. Noi avevamo un'energia giovane: ci urlavamo contro, ci spingevamo, ci insultavamo e provavamo le cose solo perché l'altro ti diceva: "sei una merda", ciò che ci guidava non era la tecnica, la cultura, o qualche esempio da seguire. Noi eravamo giovani e casinari.

Quando andavi a Roma con il tuo gruppo percepivate queste differenze? C'era una rivalità territoriale?

Si, ma non all'inizio. Questo è iniziato a diventare più evidente durante gli eventi, quando abbiamo iniziato a fare le competizioni. All'inizio l'Air Terminal era figo perché ci allenavamo, era aperto a tutti, ti confrontavi. Io ero il più piccolo a quei tempi e il più scrauso, quindi me ne stavo in disparte. Però, ad esempio, c'erano altre crew dell'età nostra con cui ci sfidavamo. Noi eravamo pischelli, quindi ci lanciavano contro ad altre crew di pischelli, questa cosa era figa (ride). La situazione era grezza, eri esposto a un tipo di vita che essendo sempre cresciuto a Ostia tra scuola, mare e casa, non avevo mai visto! Era figo.

Quando sei entrato per la prima volta in una crew?

È stato nel 2005, ballavo da qualche mese. Io mi sono aggregato a questo gruppo che già si allenava da un annetto al corso di Sonny, c'era chi ballava da due anni come Giulio o Dhalsim, e chi si allenava da un anno. Sonny iniziò a portarci in giro alle competizioni. Ricordo che ci portò a Jesolo a gennaio del 2005, io ballavo da tre, quattro mesi. Ci fecero partecipare a questo contest con il loro nome - si chiamavano B-boy Advance - e noi partecipammo all'evento come B-boy Advance Junior. Da là ci prese la voglia di fare eventi e cose, e a un certo punto - non mi ricordo quando - abbiamo creato questa crew. È un po' strano perché io all'inizio ero il più scrauso, andavamo agli eventi ma non mi facevano ballare con loro, però mi ricordo che scelsi io il nome di questa crew, forse insieme ad altri. Diciamo che è stata una cosa che si è creata nel tempo, noi non avevamo per bene la concezione di crew! Si è creato questo gruppo, abbiamo iniziato a fare cose insieme e a un certo punto abbiamo trovato un nome, forse io, Ryu e Laki, perché eravamo quelli che avevano iniziato a vedersi video e ci stavano entrando più con la testa, gli altri si allenavano e basta, non è che ci pensavano più di tanto. Noi abbiamo iniziato a interessarci di più. Abbiamo trovato questo nome: Street Fighters, il nome è piaciuto, e andando avanti il gruppo si è creato sempre di più. C'era chi rimaneva solo qui a Ostia e si allenava e basta; chi non si muoveva mai; chi invece iniziava a fare le prime missioni andando a Roma, in qualche situazione. Noi ci allenavamo dalle 3 alle 5 all'Universal Gym, alla palestra dove c'era il corso di Sonny, solo che lui spesso non c'era, quindi per noi era più che altro uno spazio per allenarci, imparavi dagli altri. Dopo l'allenamento noi continuavamo a stare in giro e vivevamo un po' la vita di strada, molto in piccolo - ovviamente - perché non facevamo chissà cosa. Però giravamo per quelle vie, facevamo un po' di casini, andavamo a ballare in galleria. Eravamo molto inconsapevoli, avevamo solo voglia di fare! C'erano altri ragazzi che non facevano il corso con noi e che non ballavano, ma erano hip-hop! Ad esempio Rasti - che adesso è un rapper- lui frequentava un botto insieme ad alcuni amici. Poi c'erano altri che facevano popping, altri che scrivevano, altri che facevano rap, c'era tutta una situazione che si creava attorno a questa palestra e al di fuori. Io spesso venivo trascinato, mi trovavo in queste situazioni e non sapevo bene quello che succedeva, però ricordo che andavamo in galleria, ci sfidavamo fra di noi, stavamo ore a sfidarci. Passo dopo passo si è creata questa cosa degli Street Fighters, e andando agli eventi si è consolidata. Con il tempo abbiamo iniziato a essere più competitivi fra di noi, abbiamo cominciato a spronarci, a creare un'identità legata anche alle cose che vivevamo tutti i giorni.

Questa identità è iniziata a uscire fuori specialmente durante i contest. Quando facevamo le competizioni noi non conoscevamo bene le regole, eravamo un botto aggressivi, avevamo tantissima foga! Questa cosa gli altri non ce l'avevano. Succedeva spesso che durante le nostre sfide erano costretti a interromperle: ci dovevano separare; ci dovevano calmare; dovevano spiegarci come si facevano le sfide (ride). Questa cosa andando avanti ci ha sviluppato un'identità particolare, diciamo che eravamo quelli un po' disprezzati, quelli un po' più animali e questa cosa a noi ci caricava! Abbiamo iniziato a fare sempre più contest con la consapevolezza di voler spaccare. Questa cosa ci ha unito come gruppo. Da quel momento in poi è iniziata tutta la nostra storiacome crew.

Credi che avere una crew alle spalle abbia cambiato il tuo approccio al breaking?

Lo ha cambiato un sacco perché prima - quando ho iniziato - era solo un gioco: imparare a fare evoluzioni, o divertirsi a ballare. Per me non c'era tanta differenza tra fare breaking o giocare facendo altro. All'inizio stavo con i miei amici e mi divertivo e basta, era quello. Che poi è una cosa che un po' è rimasta. C'è sempre stato questo contrasto fra l'essere unicamente una cosa mia personale e la condivisione di tutto con una crew che la fa diventare una cosa di vita, coinvolgendo non solo quello che impari a fare, ma direttamente te come persona. Con una crew diventa qualcosa di più grande. È stato naturale per noi, non è che avevamo deciso. Facevamo determinate cose perché ci veniva spontaneo farle.

Quelli sono anche gli anni in cui è arrivato internet, io stavo in terza media quando mi arrivò a casa, gli altri non ce l'avevano. Io e Ryu eravamo un po' più nerd degli altri quindi avevamo già un po' la mentalità di ricercare le cose, scambiarci informazioni , così trovavamo alcuni video. Pensa che il primo video di breaking me lo fece vedere un amico che neanche ballava (ride). Diciamo che si sono unite molte situazioni. Io ho avuto sempre la fortuna di essere coinvolto in situazioni diverse con amici diversi che frequentavano altri ambienti. Questo mi ha dato la possibilità di ottenere più informazioni sul breaking, informazioni che poi ho trasmesso agli altri, facendoli venire a casa mia, facendogli vedere i video, regalandogli CD con la musica. È stata una combinazione di cose. Io i primi tempi mi rapportavo solo alle persone che vedevo, ovviamente, il six step era il massimo che potevi fare, qualche freeze. Poi, abbiamo iniziato a vedere alcuni video dell'estero, dell'America! Vedevamo il loro modo di ballare e ci fomentavamo!

All'inizio è stata una serie di cose che sono successe spontaneamente. La fortuna che penso di aver avuto io è chenella mia innocenza di quei tempi sento di aver vissuto un hip-hop autentico. Per quanto era piccolo e di bassissimo livello, era autentico.

Dopo gli Street Fighters hai avuto altre crew?

Si. Crescendo volevo imparare di più, volevo imparare a ballare meglio, volevo essere un b-boy! Noi con gli Street Fighters eravamo un po' contro la scuola classica del breaking perché ci sentivamo rifiutati un po', così verso il 2008 abbiamo iniziato a sviluppare uno stile un po' strano, dato soprattutto dal voler essere diversi a ogni costo. Questa cosa non mi piaceva perché mi ha allontanato da ciò che volevo fare io, a me il breaking piaceva un botto, io volevo essere più b-boy possibile! Volevo imparare a fare le cose nel modo giusto. Inoltre mi ero un po' rotto, perché noi eravamo un po' teppisti e mi ero rotto il cazzo di questa cosa. Volevo essere più serio. Quando ero negli Street Fighters la cosa figa è che Sonny ci portava ovunque e - anche se di breaking non ci ha insegnato molto - ci ha insegnato a vivere: ci portava in giro, ci proteggeva dai ragazzi di Ostia che ci facevano le prepotenze. Sai, a Ostia quando sei adolescente sei soggetto un po' a tutto, sei un bersaglio, noi eravamo i b-boy e questa cosa un po' ci proteggeva. Io probabilmente non avrei mai potuto frequentare certi ambienti senza essere un b-boy. Quello era il mio unico accesso a certe situazioni (Ti dava un riconoscimento? Una protezione, si! Un ruolo). Il problema è che avevamo anche molti nemici perché spesso facevamo un po' di danni anche noi, quindi delle volte capitava che qualcuno più grande ci fermava e ci levava le cose, o ci menava. E Sonny ci proteggeva un botto, lui era di Piazza Gasparri e ci difendeva! Spesso andava a riprendere le cose che ci levavano. In più ci portava in giro per l'Italia, da questo punto di vista è stato figo, però allo stesso tempo ci opprimeva un po': noi eravamo i SUOI allievi. A livello di breaking questa cosa non mi andava giù perché tutto quello che avevamo imparato a livello di breaking l'avevamo fatto da soli! Questa cosa io personalmente la soffrivo un botto, però nessuno aveva le palle di scontrarsi con lui. Lui ci comandava e a me questa cosa non andava giù. Io volevo abbracciare il breaking, conoscerlo. Quando mi provavo le foundation loro mi prendevano in giro. Mi dicevano che stavo copiando i b-boy americani, o mi dicevano: "che cazzo stai a fa?” se mi provavo alcuni passi, non ero libero.

In un certo senso ti stavi distaccando dal loro modo di ballare?

Si, si. Era un po' territoriale la cosa, poi io ero il più piccolo. Niente di estremo perché poi ci volevamo bene, eravamo tutti amici, ma io ero il più piccolo e il più indifeso, quindi queste cose le subivo, a volte mi trovavo costretto a fare cose che non volevo fare, magari lì per lì mi facevo coinvolgere perché era divertente, ma poi ci ripensavo. Ma non era tanto questo. Io ho iniziato a distaccarmi più per un fatto di breaking, questa cosa di Sonny a me non andava giù. L'ultimo contest che abbiamo fatto è stato l'Hip-hop Connection nel 2008 e solo allenarci per quell'evento ci fece litigare in continuazione, era una situazione che ci danneggiava, ormai. Dopo il contest - che era andato una merda - io colsi l'occasione per dire: “basta, me ne vado!”, non mi ricordo bene, ma penso di essere stato io il primo ad andarmene, poi da quel momento ognuno prese la sua strada.

Da quel momento in poi le cose sono cambiate. Io e Ryu abbiamo continuato, poi c'era Liho che era anche lui un allievo di Sonny, ed era l'unico che voleva spingere. Poi, sapevamo che Dezz-it si era appena separato dai De Klan ed erano anni che ci frequentavamo e facevamo contest assieme. Ci siamo ritrovati e abbiamo deciso di creare una cosa nostra per spaccare, non solo a Roma, ma ovunque. E così abbiamo creato i Raw Muzzlez.

Tu mi hai parlato degli Street Fighters - un gruppo che ha condizionato molto il tuo approccio iniziale al breaking e all'hip-hop - ora hai introdotto i Raw Muzzlez che, insieme a i Concrete All Stars di Los Angeles, sono la tua crew attuale. Alla luce di tutti questi anni e delle esperienze differenti che hai vissuto: che cosa significa, secondo te, essere una crew?

Guarda, dipende sempre dal tipo di approccio. Una crew può essere tante cose e ci sono tanti motivi che possono spingere a creare una crew, o che possono creare un legame fra i membri. Adesso ti direi che dipende dall'obiettivo che hai e da cosa ti spinge a stare insieme. Una crew può avere più significati. Avendo visto tanti gruppi non ti direi mai che c'è una crew che ha più senso di un'altra. Dipende solo se è vero per te che lo vivi. Posso dirti che una crew è un gruppo di persone che vivono l'hip-hop nello stesso modo, e trovano nello stare insieme quella spinta e quel supporto per andare avanti, creare, crescere e sviluppare un certo stile, facendosi strada nella scena.

Proprio ricollegandoci a questo concetto di stile: secondo te che cos'è lo stile nel breaking e perché è così importante nella cultura hip-hop?

Lo stile è tutto quello che ti rende figo. Che rende tuo quello che fai. È una cosa che va oltre la tecnica, non è una cosa pratica nel senso di cosa fai, ma di come lo fai, l'approccio che hai. Lo stile che hai nel fare le cose, nell'essere te stesso. Lo stile inteso in questo senso è tutto, l'hip-hop è una guerra di stili. Le mosse più o meno sono quelle, i passi più o meno sono quelli! Tu li puoi variare, ma più o meno - alla fine - facciamo tutti le stesse cose, è lo stile che cambia! È lo stile che è particolare, è lo stile che è solo tuo. Ed è questo che caratterizza te, la tua crew, e il posto da cui vieni.

Lo stile è qualcosa di personale o di collettivo? Quanto credi che le tue crew e la tua città abbiano influenzato la formazione del tuo stile personale?

La mia visione di questo è molto cambiata durante il tempo. Andando avanti vedi succedere delle cose e cambiare delle cose. All'inizio lo stile era qualcosa di personale: io avevo il mio stile, tu il tuo stile, ognuno era diverso. Lo stile è sia una cosa personale - legata alla personalità; al tipo di corpo che hai; a quello che adesso intendo come flavor - che una cosa collettiva. Può diventare collettivo nel senso che quando ti alleni tanto insieme ad altre persone sviluppi delle cose insieme, inizi a muoverti in un modo simile, inizi a essere connesso alle persone che hai vicino. Le esperienze che fai ti uniscono e ti avvicinano, è normale, poi tutto si mescola e lì si crea uno stile comune. Perché senti anche un'appartenenza a qualcosa e quando vedi qualcuno che balla come te automaticamente te lo senti addosso e lo vuoi fare. Quando lo senti dentro, forte, esce automatico perché te rappresenti quello, vuoi essere quello. Lì si crea l'unione. Quindi, lo stile è sia una cosa personale che una cosa collettiva.

Ovviamente, centra anche il posto da dove vieni perché quello che vivi ti influenza: influenza la tua mentalità; la tua personalità. Ci sono delle cose che anche non volendo ti entrano dentro nel modo in cui balli. Anche solo la mentalità del posto in cui vivi, anche solo la mentalità di Ostia: come sono le persone; ciò a cui sei esposto. Tutto questo ti influenza per forza perché tu balli reagendo a questo! Tiri fuori delle cose di cui hai bisogno per sopravvivere in un certo quartiere, le tiri fuori ballando e quelle automaticamente modellano il tuo stile e il tuo breaking. Non è che noi costruiamo cose dal nulla, noi balliamo! È il nostro corpo che balla! È normale che tutto quello che vivi, se sei vero, esce fuori mentre balli. Parlando per me ho frequentato tanto Roma negli anni e anche Roma mi ha influenzato, e si è mixata con tutto il resto. Oggi riesco a vedere cosa viene da Ostia, cosa viene da Roma, cosa viene da Los Angeles. Anche nella mentalità, dico.

Tu hai viaggiato molto, in ogni posto in cui sei stato hai percepito queste differenze?

Certo! Poi dipende molto da quanto ti lasci influenzare. Tu puoi andare in un altro posto e rimanere distante, mettere un muro senza lasciare che ti influenzi. Io sono andato a LA che ero piccolo, avevo 18 anni e mi sono innamorato completamente, era il mio sogno! Io VOLEVO farmi influenzare. La cosa in cui sono stato più bravo, durante i miei viaggi, è stato rimanere totalmente aperto quando andavo da qualche parte. A LA avendola frequentata tanto e avendola vissuta completamente senza nessun tipo di barriera, ho permesso di influenzarmi tantissimo e anche io ho lavorato tanto per diventare “più di Los Angeles” possibile. Frequentando tanto i Concrete All Stars, prevalentemente, che sono le persone a cui mi suoi avvicinato di più avendo tante passioni in comune, ammirandoli tantissimo nel loro modo di fare, nel loro modo di pensare, nel loro modo di ballare! Ero totalmente aperto a questa trasformazione. Frequentandoli, ma anche scontrandomi con loro, affrontando delle cose personali interiori - come le paure - ma anche nel breaking, automaticamente mi sono modellato, sbloccando delle cose che poi si riversavano anche nel modo pratico di ballare.

Le due cose vanno in parallelo, per forza. Sei tu che lo fai, e se tu ti distacchi dal breaking non lo fai mai veramente. La cosa bella dei Concrete è che loro erano veri e totalmente senza paura, una cosa simile a com'era i primi anni negli Street Fighters, quindi era una cosa che cercavo in me, un modo per superarmi. Io volevo essere così! E se volevo essere così, per forza dovevo cambiare in un certo modo, anche esternamente: infatti ho dovuto lavorare sulla tecnica, su come sentire la musica, su come pensare mentre vai a terra, tante cose che poi assorbi frequentando quelle persone e quei determinati ambienti.

Lo stile è qualcosa che viene appreso, oppure inventato?

Forse è innato. (pausa) Se tu non hai niente intorno a te o nessuno intorno a te che ti adotta, lo stile è ciò che fa parte del tuo modo di essere. Lo stile può essere appreso, ma solo frequentando tanto chi ha quello stile e in ogni caso porti sempre qualcosa di tuo, è inevitabile. Magari apprendi un certo approccio, un certo modo di fare le cose, però poi lo porti avanti, lo sviluppi, ci metti le idee tue. La cosa figa dell’hip-hop - e del breaking - è sempre stata quella di flippare le cose. Flippare vuol dire prendere una cosa, stravolgerla, adattarla a te e modificarla. Ogni generazione ha delle idee diverse, magari prendi una cosa vecchia che funziona e poi la sviluppi nella direzione che tu vuoi. Questa è la cosa più figa.

In relazione al tuo modo di viverti l'hip-hop, ci sono altre discipline oltre al breaking che tu pratichi?

Si, diciamo, i graffiti! Non sono molto nella scena dei graffiti ma è una cosa che pratico. Poi sono molto dentro anche alla musica, anche se non canto e non suono.

Credi che praticare quest'altra disciplina hip-hop abbia influenzato il tuo breaking in qualche modo?

Un botto. Anche se sono due cose che possono sembrare completamente diverse in realtà su molte cose sono simili, soprattutto nella mentalità e nelle possibilità che hanno. Fare graffiti ti fa vedere le potenzialità dell'hip-hop sotto un'altro punto di vista. Ti fa vedere sotto un'altra prospettiva anche te stesso, perché comunque devi usare molto la testa, devi usare il tuo corpo in un altro modo, vedere le cose con più calma, con più precisione. Impari a mettere il tuo stile e la tua energia - e quello che di solito metti ballando - su una superficie che però è visibile. Così, tu vedi il risultato di quello che fai! Quando balli non lo vedi, tu lo senti. Invece scrivendo, disegnando, tu lo vedi mentre lo fai! I graffiti, secondo me, sono uno studio più visibile e anche più teorico di quello che faccio nel breaking, questo mi ha aiutato a capire la mia testa, quello che cerco di fare, le possibilità che ho. Mi ha aiutato teoricamente a capire di più l'hip-hop.

Cambiando un attimo argomento, vorrei farti alcune domande in relazione al cypher. Innanzitutto, in che cosa consiste il cypher e che cosa rappresenta secondo te?

Il cypher è il momento in cui fai breaking per davvero. In realtà anche da solo fai breaking, però, quella è proprio la completezza di ciò che il breaking è, perché lì dentro c'è tutto quanto! Il cypher non vuol dire delle persone in cerchio e uno che balla al centro, quello è un cerchio, al massimo. Il cypher è quando percepisci quel tipo di energia e senti che "sta succedendo", hai presente quando provi quella sensazione e senti i brividi e quella cosa forte che ti emoziona? Questo poi ti rende in grado di fare cose che normalmente non faresti mai, è proprio il momento in cui metti in pratica tutto quello per cui ti sei allenato, confrontandoti con gli altri: con il breaking, con la scena! Perché il breaking - e l'hip-hop - è comunque una cosa collettiva, ed è sempre stato necessario il confronto. Tu non sei nessuno se non spacchi in un cypher! Puoi stare in palestra,o a casa tua, e ballare quanto ti pare, essere forte quanto ti pare, ma poi quello è il momento che fai vedere se vali davvero o no. È facile farlo per i cazzi tuoi. Molto di quello che viene portato nel cypher: la pressione, la mentalità, la situazione che si crea intorno, quello è il breaking vero. È proprio un rituale essenziale per potersi esprimere al massimo.

Pensi che sia importante per un b-boy sapersi adattare a diversi tipi di cypher? Non intendo unicamente a livello spaziale, ma anche legati a situazioni e ambienti differenti.

Quando balli tu cerchi energie, cerchi situazioni, cerchi gente che spacca e che ti fa venire voglia di spaccare. Soprattutto quando poi diventi bravo non è che ti importa più di tanto di andarti a confrontare in situazioni che ti fanno scendere la voglia, o che non ti interessano. Non è che in quelle situazioni dici: "cazzo, devo essere pronto a tutto", se ti va lo fai. Ci deve essere un riscontro dentro di te, lo senti in te se quella è la situazione che cercavi. Se tu non lo senti quello diventa un dover dimostrare, e non è il modo in cui noi b-boy riconosciamo le situazioni giuste.

Le situazione giuste le riconosci dal momento in cui le senti. Non ci sono delle regole. Magari la situazione cambia, la musica cambia, però devi seguire un tipo di sensazione che c'è dentro di te. Poi, ovviamente, se sei forte, sei forte in qualsiasi situazione. Però non devi dimostrare niente a nessuno, non lo devi fare per forza. Se non ha senso per te, in quel momento, puoi anche non entrarci in quel cerchio.

Ci sono differenze tra il ballare - e lo sfidarsi - in un cypher, oppure in una competizione organizzata (contest)? Il tuo approccio cambia in queste diverse situazioni?

Un botto! Nel cerchio le regole le fai tu. Non c'è un limite di tempo, di entrate o dei giudici che ti guardano. È una situazione reale! Ci scontriamo per davvero con tutto quello che abbiamo! Non ci si può tirare indietro in nessun modo. La tua abilità sta nello sfruttare la situazione al massimo. Ovviamente, anche nel cypher ci sono delle regole non scritte, però comunque sono abbastanza flessibili, adattabili alla situazione, ci puoi giocare. È più un fatto di onore fra me e te, o fra la mia crew e la tua crew, è una cosa tra di noi! Non c'è una terza persona, oppure un'autorità che decide. Non ci sono autorità in un cerchio! È per questo che è un cerchio, sono tutti allo stesso livello. Nel quadrato invece no, e ci sono molte più regole. Se sei abituato a essere libero, a gestirti i tuoi tempi e le tue cose, ti mette in difficoltà perché ti mette una certa fretta, sei soggetto a dei giudizi secondo dei canoni che qualcun altro decide per te, che magari a volte sono giusti e altre volte no. Hai due round contati, in cui devi spaccare. Chi non è in grado di fare le cose nel cerchio di solito, nei contest, si nasconde dietro regolamenti o etiche che non fanno parte del nostro mondo. Nei contest se tu sbagli un'entrata magari gli altri fanno un'entrata potente e hanno vinto la sfida, quando magari se fossi stato nel cerchio non sarebbe successo, o se avessi sbagliato un'entrata avresti potuto dire: "okey, e le altre dieci?” (ride), capito?

Molte persone si fanno grandi perché sanno che stanno in una competizione organizzata in cui tu devi seguire delle regole, quando magari nel cerchio faccia a faccia non lo farebbero. La tua presenza, la tua esperienza, è molto parte del tuo essere b-boy. Il rispetto che hai dalla scena, questo conta! E nel contest non conta. Molti aspetti fondamentali del breaking vengono a mancare. Per questo ci sono b-boy fortissimi che spaccano solo nei cerchi, perché magari non hanno il minimo interesse di portare queste cose fuori nei contest, dove diventa solo un fatto di chi si fa vedere - o quanto si fa vedere - legato alla fama. Molte persone trovano forza in altri aspetti della vita e in quelle situazioni quella forza non riesci a tirarla fuori perché magari non è quello che cerchi, non è quello che ti ha spinto a ballare.

Puoi farmi degli esempi su come cambia praticamente il tuo modo di ballare in un cypher e in un contest?

Cambia perché spesso nei contest sento la pressione di dover fare più move, nel senso più acrobazie o movimenti di impatto visivo che facciano sembrare difficile quello che faccio, o comunque che facciano più presa sulla giuria o sul pubblico. Questo cambia totalmente il tuo stile perché non segui più il tuo istinto! Non segui più il sentire la musica - o comunque quello che hai dentro - ma segui ciò che ti fa vincere. Questo arriva a cambiare totalmente anche chi sei, può rovinarti, se non stai attento. Poi c'è anche l'influenza di tutti quelli che hai intorno, quando vedi tutte le persone che fanno un evento che stanno lì solo per vincere, solo per farsi vedere, solo per fare cose che fanno piacere agli altri, ti ritrovi in una situazione in cui non vuoi stare. In quel caso devi scegliere: "perdo rimanendo me stesso, o no?", però non vuoi perdere quindi ti ritrovi a dover fare cose che non vuoi fare. Almeno a me personalmente mi ha influenzato, magari faccio un'entrata in cui sento che sto ballando bene, ma non sento alcuna reazione da parte del pubblico, dalla gente, e quindi lì per lì penso che non sto spaccando! Questo ti spinge a fare altri passi che non faresti, e magari sbagli, è tutta una catena, capito?

Qual è il contesto in cui ti senti più stimolato a fare breaking?

Guarda ci sono varie cose perché il breaking è abbastanza ampio, quindi riesco a rapportarmi in situazioni diverse, però la cosa più ideale è quando sento che ognuno sta lì per sentire profondamente la musica ed esprimerla secondo il proprio spirito, il proprio intuito, il proprio istinto. Che non sia solo eseguire delle cose, ma anche tirare fuori delle cose personali, intime, dandogli forma con una certa consapevolezza.

Mi piace quando nessuno lo fa per farsi vedere, quando c'è una vera passione nel sentire ed esprimere quella cosa, sperimentando, condividendo quel tipo di energia non a scopo di farsi vedere, ma più per farlo e basta. Come quei momenti in cui ti senti libero di fare e dire quello che vuoi, di giocare, di urlare, di fare cose così, con una certa abilità nel dargli una forma. Quando c'è una connessione con la musica e la vita che hai intorno, in un modo che ti coinvolge. Quelle sono le situazioni che io cerco, perché è quello che voglio per me e che mi piace avere intorno. Questo delle volte lo trovo anche con gente che non balla.

Spesso nel breaking sentiamo parlare di un concetto: il going off, secondo te cosa significa e in cosa consiste?

Il going off, personalmente, è quasi la base da cui è iniziato tutto. All’inizio, essendo piccolo e inconsapevole, ballare era andare off, rilasciare tutta l'energia e la vitalità muovendomi con quei determinati movimenti che mi facevano sentire intensamente quelle sensazioni.

Going off, poi, quando diventi più consapevole, è quel momento in cui entri così a contatto con la musica e con i movimenti che stai facendo che non sei più sotto il controllo della tua testa, sei solo movimento, sei solo quel momento. Sono quei momenti in cui vai oltre quello che faresti normalmente, in cui ti sorprendi e vai oltre. Magari, ad esempio, è come quando hai paura di fare un salto mortale e non lo faresti mai, ma c'è quel momento in cui la situazione ti prende così tanto e tu lo fai, anche questo è andare off! È il momento in cui superi i tuoi limiti e tu non sei più quello che pensi di essere, ma sei di più. Questo può manifestarsi nel riuscire a fare una cosa difficile o semplicemente nel ballare. È quando diventi così tanto un tutt'uno con la musica che è lei che si muove e tu non sei più tu, ma reagisci a questo ritmo e basta. Sono i momenti in cui crei, in cui crei cose che non faresti mai; sono i momenti in cui ti superi e ti sorprendi, in cui forse scopri chi sei davvero e a cosa puoi arrivare.

Ti introduco un'ultima questione: all'interno del mondo hip-hop, o più precisamente nel breaking, credi ci sia differenza di genere? Mi riferisco alla questione spesso dibattuta fra b-boy e b-girl.

Allora, ti dico come la vedo io. Sicuramente c'è questa differenza, ma non nel senso che uno è inferiore all'altro. Il breaking è una di quelle cose che ti spinge a essere te stesso e a sviluppare il tuo stile, le tue capacità, in base a quello che hai. È normale che un uomo e una donna svilupperanno il loro breaking in modo diverso, ma non solo per un fatto fisico, ma anche per un fatto mentale e biologico. Ovviamente, ognuno singolarmente è diverso, ma è normale che le donne avranno caratteristiche diverse rispetto a un b-boy: possono essere più femminili, più sensibili, più sensuali, più delicate, più flessibili. Nella mia esperienza personale le ragazze sono sempre state più brave a eseguire cose acrobatiche, quando ero piccolo ho sempre visto questa cosa. Magari possono avere meno potenza, meno reattività, però la differenza che vedo io è la differenza che c'è in ognuno. Il breaking ti porta a sviluppare te stesso il più personalmente possibile, quindi è normale che ci sia questa differenza.

Nel breaking, adesso parlando in generale, le donne sono sempre state viste più deboli. Anche perché sono sempre state molte di meno e, sempre in generale, erano poche le b-girl che spaccavano. Le b-girl che vedevi solitamente erano sempre un po' scrausette, vuoi per insicurezza personale, o per mancanza di esempi, o per mancanza di supporto, però era raro trovare delle b-girl di livello alto.

Ti riferisci qui in Italia, oppure in generale?

In generale! Dovevi essere davvero forte per spaccare nel breaking. Anche a livello di personalità, mi riferisco, dovevi essere molto forte! È sempre stato un ambiente questo che ti metteva sotto pressione, rischiavi di non farcela anche se eri un ragazzo, quindi immagina per una ragazza! Personalmente, non credo ci siano differenze, però ci sono state. A livello di mentalità si credeva che una b-girl era una scrausa, la maggior parte delle volte. Anche se in realtà b-girl che spaccavano ce n'erano - anche se erano poche - e venivano rispettate. Forse, per loro, era solo più difficile trovare la motivazione, essere motivate abbastanza per andare avanti. Magari c'era solo chi aveva la situazione giusta e chi no. Però, adesso come adesso ti dico no.

Nessuna donna e nessun uomo dovrebbe cercare di standardizzarsi, pensare che per spaccare si debba essere in un modo specifico. Ognuno spacca a modo suo! Però deve spaccare! Deve essere forte! Non è un fatto di genere, ognuno è portato a dover tirare fuori quella cosa, sennò viene schiacciato, il breaking vuole questo! Ha fame di questo! Quindi, se vuoi farne parte, gli devi dare in pasto questa cosa.

Pensi sia giusto dividere le categorie durante le competizioni organizzate (contest)?

No. Assolutamente no, non è mai stato giusto, secondo me. Puoi fare contest per i bambini, ad esempio, in alcune situazioni per farli divertire; ma credo sia giusto anche per i bambini confrontarsi con le persone più grandi. Idealmente ti dico no. Non è mai giusto. Vale sia per i bambini come per le b-girl. Questo perché lo stile e la musica non hanno differenze di genere e di età. Se un bambino non ce la fa in un contest vuol dire che si deve allenare di più e magari più avanti riuscirà a spaccare, ma se tu fai le categorie solo per lui, si abitua a essere forte e non si confronterà mai con chi è forte davvero.

Per quanto riguarda le b-girl credo che questo enfatizzi molto la differenza, se tu fai un contest solo per b-girl dici implicitamente: "siamo diversi", capito? Per me non ha senso. Non è equo per tutti. Devi dare a tutti la possibilità di confrontarsi, di essere spronati. Se tu cerchi di proteggere troppo una persona la danneggi, è come se gli dicessi: "tu non sei in grado, e quindi hai bisogno di una categoria specifica per farlo”. Io non la vedo così. C'è chi è più forte, chi è meno forte; chi c'è da più tempo, chi da meno tempo. Se vuoi stare là te lo devi guadagnare. Creare le categorie è levare il bello che c'è in questa cosa.

Ti faccio un'ultima domanda. Partendo dal fatto che tu con il breaking hai girato il mondo - sei stato in Asia; in America molte volte; hai vissuto in Canada; a Los Angeles; in Korea; hai viaggiato in Europa - secondo te: l'hip-hop è uno solo, o ce ne sono tante tipologie diverse?


L'hip-hop prende la forma del luogo in cui si sviluppa. L'hip-hop è un approccio e uno stile di vita che si modifica e si adatta alle situazioni in cui si evolve, alle culture e alle persone con cui entra in contatto. L'hip-hop è uno perché ci unisce tutti quanti ed è una lingua che tutti parliamo - avendo le stesse fondamenta e la stessa fonte - però non è lo stesso in ogni luogo. È una cosa che si adatta, si modifica, si sviluppa, creando variazioni, altre correnti, altre cose. Il bello dell'hip-hop è che è diverso ovunque vai, e dovrebbe essere diverso ovunque vai, anche nei quartieri, nelle città, nelle crew. Ha le stesse fondamenta, lo stesso spirito, la stessa passione, storie simili. Questo ci accomuna e ci fa sentire fratelli, ci fa sentire vicini. Però il bello è che poi si sviluppa in modo diversi ed è giusto così! Perché il sapore, lo stile - l'abbiamo detto anche prima - cambiano a seconda del luogo, della cultura, della mentalità! E tu è questo che vuoi!

Per quanto mi riguarda ho viaggiato tanto perché volevo vedere modi diversi per sviluppare il breaking, volevo vedere più stili, altre cose. Magari vai in Thailandia e vedi che loro ballano in un modo in cui tu non avresti mai pensato! E questo ti apre delle porte! Ti fa capire che lo puoi fare in altri modi! Che puoi svilupparti, crescere in altri modi! L'hip-hop è sempre lo stesso, però è sempre diverso! Ed è questo il bello! È questo il bello! (ride)









Abbiamo deciso di regalarvi tutte le interviste che avrebbero dovuto essere contenute all'interno del nostro libro, invece le trovate tutte completamente gratuite qui sul nostro sito. Real Hip Hop! No Doubts!

Sesta Intervista a Federico Collacchioni aka B.Boy Simba

Intervista dell'autore Jacopo Ferri

Foto di Erik G

Per iniziare vorrei farti alcune domande relative alla tua storia nel mondo dell'hip-hop: dove hai iniziato a ballare breaking e in quale città?

Ho iniziato qui a Ostia, avevo 13 anni ed era l'estate del 2004. Io stavo al mare - perché noi qua passiamo tutta l'estate al mare - e c'erano dei miei amici, che frequentavano la stessa spiaggia, che già ballavano da un po'. A fine estate hanno organizzato una competizione, un evento - era una specie di competizione coreografica - e questi miei amici volevano partecipare perché era proprio nella nostra spiaggia, avevano costruito il palco e tutto. Era fine estate non avevo niente da fare e iniziai a seguire questi amici che si allenavano, mi portarono in galleria che era un posto dove si allenavano i pischelli durante quegli anni; io mettevo play allo stereo, mettevo la musica, li seguivo così. Insomma, mi sono invorticato in questa cosa. All'inizio ero completamente contrario perché mia sorella - che già ballava da un po' e frequentava il mondo dei locali - mi diceva: "dovresti ballare, dovresti ballare" e io non volevo assolutamente. A me non me ne fregava un cazzo perché vedevo l'hip-hop che c'era in televisione, quindi vedevo tutti questi con i soldi, le pellicce, coatti, mi sembrava una cosa coatta e non mi piaceva! Invece, poi, casualmente senza pensarci troppo ho seguito questi amici, mi piaceva, facevano tutte mosse fighe, mi è piaciuto il fomento per questa competizione, il fatto che si dovesseroallenare, e così mi sono ritrovato a provare cose senza stare troppo a pensare: "inizio, o non inizio?". Durante quella serata in cuic'è stata la competizione mi è proprio scattato il fomento! Ci stavano anche Sonny, Fetto e altri che erano gli insegnanti qui a Ostia.

C'era già una palestra in cui insegnavano breaking a Ostia? Una struttura organizzata?

Ci stavano questi altri ragazzi più grandi che avevano dei corsi. In pratica avevano due, tre palestre dove c'erano corsi di breaking. Loro avranno avuto venti anni, non è che erano grandi, però per noi lo erano. Erano quelli più forti. C'erano anche loro a quella competizione e ho visto la loro coreografia, poi la coreografia dei miei amici, e lì mi è sembrata una cosa incredibile! Ho iniziato a ballare durante quell’evento, è durato per diversi giorni. Ballavo a caso, mi lanciavo. (ride)

Quindi, hai iniziato a ballare per strada?

Il primo mesetto è stato casuale. Io non guardavo dove stavo, seguivo i miei amici. Però, c'era anche questo corso che poi a ottobre è partito e io mi sono iscritto, da lì ho iniziato a farlo più attivamente. Quindi, posso dirti che ho iniziato metà per strada e metà in palestra.

Com’era la situazione a Ostia i primi tempi? Era isolata oppure connessa a Roma?

No! Per niente connessa a Roma. Di Roma si sapeva solo quello che ci raccontava chi andava ogni tanto là, quello che alcuni di questi pischelli più grandi ci diceva. Per esempio di quando andavano all'Alpheus e ogni tanto c'erano dei cerchi; o magari se ci stava qualche evento. Sembrava una cosa molto lontana. Ognitanto anche a noi ci capitava di andare a Roma, all'Alpheus - perché mia sorella era più grande e si faceva le serate di pomeriggio - andando là, per dire, c'era il cerchio e ti buttavi a fare qualche entrata. Poi non mi ricordo come, sempre tramite Sonny, ci capitò di andare a un paio di eventi e lì abbiamo sentito parlare dell'Air Terminal.

L'Air Terminal era una struttura vicino la stazione Ostiense in cui si allenavano un sacco di b-boy, la prima volta che siamo andati là era marzo del 2005, avevano organizzato un contest: l'SPQR, ci avevano portato i ragazzi più grandi, gli stessi che ci insegnavano. Abbiamo partecipato e da quel momento in poi abbiamo iniziato a frequentare quel posto, la domenica eravamo sempre là.

La situazione all’Air Terminal era simile a quella di Ostia, oppure c'era un ambiente diverso?


Ne sapevano molto di più.La cosa figa è che era pieno di gente che ballava, a Ostia di solito c'eravamo solo noi non c'era nessun altro. Andare a Roma era figo perché c'erano persone che sparavano roba potente, gente che si vedeva che ne sapeva di più. Noi andavamo lì per fare breaking. Io mi sono approcciato al breaking in un modo che mi sembrava un po' separato dall’hip-hop, come ti ho già detto io a quell'età pensavo che l'hip-hop fosse soldi, fama, televisione, capito? Non sapevo bene cos’era, nel breaking vedevo qualcos'altro. Frequentando l'Air Terminal abbiamo iniziato a conoscere la scena di Roma e abbiamo avuto l'opportunità di frequentarci con gli altri, capendo anche il modo in cui noi lo facevamo! Noi avevamo uno stile diverso dagli altri.

Puoi farmi qualche esempio riguardo questa cosa?

Tipo, noi facevano un botto di power freeze, avevamo un botto di foga, di energia da ragazzi di strada. A Roma - invece -c'era più classe, più cultura, si vedeva che era collegato a qualcosa di più solido. Noi avevamo un'energia giovane: ci urlavamo contro, ci spingevamo, ci insultavamo e provavamo le cose solo perché l'altro ti diceva: "sei una merda", ciò che ci guidava non era la tecnica, la cultura, o qualche esempio da seguire. Noi eravamo giovani e casinari.

Quando andavi a Roma con il tuo gruppo percepivate queste differenze? C'era una rivalità territoriale?

Si, ma non all'inizio. Questo è iniziato a diventare più evidente durante gli eventi, quando abbiamo iniziato a fare le competizioni. All'inizio l'Air Terminal era figo perché ci allenavamo, era aperto a tutti, ti confrontavi. Io ero il più piccolo a quei tempi e il più scrauso, quindi me ne stavo in disparte. Però, ad esempio, c'erano altre crew dell'età nostra con cui ci sfidavamo. Noi eravamo pischelli, quindi ci lanciavano contro ad altre crew di pischelli, questa cosa era figa (ride). La situazione era grezza, eri esposto a un tipo di vita che essendo sempre cresciuto a Ostia tra scuola, mare e casa, non avevo mai visto! Era figo.

Quando sei entrato per la prima volta in una crew?

È stato nel 2005, ballavo da qualche mese. Io mi sono aggregato a questo gruppo che già si allenava da un annetto al corso di Sonny, c'era chi ballava da due anni come Giulio o Dhalsim, e chi si allenava da un anno. Sonny iniziò a portarci in giro alle competizioni. Ricordo che ci portò a Jesolo a gennaio del 2005, io ballavo da tre, quattro mesi. Ci fecero partecipare a questo contest con il loro nome - si chiamavano B-boy Advance - e noi partecipammo all'evento come B-boy Advance Junior. Da là ci prese la voglia di fare eventi e cose, e a un certo punto - non mi ricordo quando - abbiamo creato questa crew. È un po' strano perché io all'inizio ero il più scrauso, andavamo agli eventi ma non mi facevano ballare con loro, però mi ricordo che scelsi io il nome di questa crew, forse insieme ad altri. Diciamo che è stata una cosa che si è creata nel tempo, noi non avevamo per bene la concezione di crew! Si è creato questo gruppo, abbiamo iniziato a fare cose insieme e a un certo punto abbiamo trovato un nome, forse io, Ryu e Laki, perché eravamo quelli che avevano iniziato a vedersi video e ci stavano entrando più con la testa, gli altri si allenavano e basta, non è che ci pensavano più di tanto. Noi abbiamo iniziato a interessarci di più. Abbiamo trovato questo nome: Street Fighters, il nome è piaciuto, e andando avanti il gruppo si è creato sempre di più. C'era chi rimaneva solo qui a Ostia e si allenava e basta; chi non si muoveva mai; chi invece iniziava a fare le prime missioni andando a Roma, in qualche situazione. Noi ci allenavamo dalle 3 alle 5 all'Universal Gym, alla palestra dove c'era il corso di Sonny, solo che lui spesso non c'era, quindi per noi era più che altro uno spazio per allenarci, imparavi dagli altri. Dopo l'allenamento noi continuavamo a stare in giro e vivevamo un po' la vita di strada, molto in piccolo - ovviamente - perché non facevamo chissà cosa. Però giravamo per quelle vie, facevamo un po' di casini, andavamo a ballare in galleria. Eravamo molto inconsapevoli, avevamo solo voglia di fare! C'erano altri ragazzi che non facevano il corso con noi e che non ballavano, ma erano hip-hop! Ad esempio Rasti - che adesso è un rapper- lui frequentava un botto insieme ad alcuni amici. Poi c'erano altri che facevano popping, altri che scrivevano, altri che facevano rap, c'era tutta una situazione che si creava attorno a questa palestra e al di fuori. Io spesso venivo trascinato, mi trovavo in queste situazioni e non sapevo bene quello che succedeva, però ricordo che andavamo in galleria, ci sfidavamo fra di noi, stavamo ore a sfidarci. Passo dopo passo si è creata questa cosa degli Street Fighters, e andando agli eventi si è consolidata. Con il tempo abbiamo iniziato a essere più competitivi fra di noi, abbiamo cominciato a spronarci, a creare un'identità legata anche alle cose che vivevamo tutti i giorni.

Questa identità è iniziata a uscire fuori specialmente durante i contest. Quando facevamo le competizioni noi non conoscevamo bene le regole, eravamo un botto aggressivi, avevamo tantissima foga! Questa cosa gli altri non ce l'avevano. Succedeva spesso che durante le nostre sfide erano costretti a interromperle: ci dovevano separare; ci dovevano calmare; dovevano spiegarci come si facevano le sfide (ride). Questa cosa andando avanti ci ha sviluppato un'identità particolare, diciamo che eravamo quelli un po' disprezzati, quelli un po' più animali e questa cosa a noi ci caricava! Abbiamo iniziato a fare sempre più contest con la consapevolezza di voler spaccare. Questa cosa ci ha unito come gruppo. Da quel momento in poi è iniziata tutta la nostra storiacome crew.

Credi che avere una crew alle spalle abbia cambiato il tuo approccio al breaking?

Lo ha cambiato un sacco perché prima - quando ho iniziato - era solo un gioco: imparare a fare evoluzioni, o divertirsi a ballare. Per me non c'era tanta differenza tra fare breaking o giocare facendo altro. All'inizio stavo con i miei amici e mi divertivo e basta, era quello. Che poi è una cosa che un po' è rimasta. C'è sempre stato questo contrasto fra l'essere unicamente una cosa mia personale e la condivisione di tutto con una crew che la fa diventare una cosa di vita, coinvolgendo non solo quello che impari a fare, ma direttamente te come persona. Con una crew diventa qualcosa di più grande. È stato naturale per noi, non è che avevamo deciso. Facevamo determinate cose perché ci veniva spontaneo farle.

Quelli sono anche gli anni in cui è arrivato internet, io stavo in terza media quando mi arrivò a casa, gli altri non ce l'avevano. Io e Ryu eravamo un po' più nerd degli altri quindi avevamo già un po' la mentalità di ricercare le cose, scambiarci informazioni , così trovavamo alcuni video. Pensa che il primo video di breaking me lo fece vedere un amico che neanche ballava (ride). Diciamo che si sono unite molte situazioni. Io ho avuto sempre la fortuna di essere coinvolto in situazioni diverse con amici diversi che frequentavano altri ambienti. Questo mi ha dato la possibilità di ottenere più informazioni sul breaking, informazioni che poi ho trasmesso agli altri, facendoli venire a casa mia, facendogli vedere i video, regalandogli CD con la musica. È stata una combinazione di cose. Io i primi tempi mi rapportavo solo alle persone che vedevo, ovviamente, il six step era il massimo che potevi fare, qualche freeze. Poi, abbiamo iniziato a vedere alcuni video dell'estero, dell'America! Vedevamo il loro modo di ballare e ci fomentavamo!

All'inizio è stata una serie di cose che sono successe spontaneamente. La fortuna che penso di aver avuto io è chenella mia innocenza di quei tempi sento di aver vissuto un hip-hop autentico. Per quanto era piccolo e di bassissimo livello, era autentico.

Dopo gli Street Fighters hai avuto altre crew?

Si. Crescendo volevo imparare di più, volevo imparare a ballare meglio, volevo essere un b-boy! Noi con gli Street Fighters eravamo un po' contro la scuola classica del breaking perché ci sentivamo rifiutati un po', così verso il 2008 abbiamo iniziato a sviluppare uno stile un po' strano, dato soprattutto dal voler essere diversi a ogni costo. Questa cosa non mi piaceva perché mi ha allontanato da ciò che volevo fare io, a me il breaking piaceva un botto, io volevo essere più b-boy possibile! Volevo imparare a fare le cose nel modo giusto. Inoltre mi ero un po' rotto, perché noi eravamo un po' teppisti e mi ero rotto il cazzo di questa cosa. Volevo essere più serio. Quando ero negli Street Fighters la cosa figa è che Sonny ci portava ovunque e - anche se di breaking non ci ha insegnato molto - ci ha insegnato a vivere: ci portava in giro, ci proteggeva dai ragazzi di Ostia che ci facevano le prepotenze. Sai, a Ostia quando sei adolescente sei soggetto un po' a tutto, sei un bersaglio, noi eravamo i b-boy e questa cosa un po' ci proteggeva. Io probabilmente non avrei mai potuto frequentare certi ambienti senza essere un b-boy. Quello era il mio unico accesso a certe situazioni (Ti dava un riconoscimento? Una protezione, si! Un ruolo). Il problema è che avevamo anche molti nemici perché spesso facevamo un po' di danni anche noi, quindi delle volte capitava che qualcuno più grande ci fermava e ci levava le cose, o ci menava. E Sonny ci proteggeva un botto, lui era di Piazza Gasparri e ci difendeva! Spesso andava a riprendere le cose che ci levavano. In più ci portava in giro per l'Italia, da questo punto di vista è stato figo, però allo stesso tempo ci opprimeva un po': noi eravamo i SUOI allievi. A livello di breaking questa cosa non mi andava giù perché tutto quello che avevamo imparato a livello di breaking l'avevamo fatto da soli! Questa cosa io personalmente la soffrivo un botto, però nessuno aveva le palle di scontrarsi con lui. Lui ci comandava e a me questa cosa non andava giù. Io volevo abbracciare il breaking, conoscerlo. Quando mi provavo le foundation loro mi prendevano in giro. Mi dicevano che stavo copiando i b-boy americani, o mi dicevano: "che cazzo stai a fa?” se mi provavo alcuni passi, non ero libero.

In un certo senso ti stavi distaccando dal loro modo di ballare?

Si, si. Era un po' territoriale la cosa, poi io ero il più piccolo. Niente di estremo perché poi ci volevamo bene, eravamo tutti amici, ma io ero il più piccolo e il più indifeso, quindi queste cose le subivo, a volte mi trovavo costretto a fare cose che non volevo fare, magari lì per lì mi facevo coinvolgere perché era divertente, ma poi ci ripensavo. Ma non era tanto questo. Io ho iniziato a distaccarmi più per un fatto di breaking, questa cosa di Sonny a me non andava giù. L'ultimo contest che abbiamo fatto è stato l'Hip-hop Connection nel 2008 e solo allenarci per quell'evento ci fece litigare in continuazione, era una situazione che ci danneggiava, ormai. Dopo il contest - che era andato una merda - io colsi l'occasione per dire: “basta, me ne vado!”, non mi ricordo bene, ma penso di essere stato io il primo ad andarmene, poi da quel momento ognuno prese la sua strada.

Da quel momento in poi le cose sono cambiate. Io e Ryu abbiamo continuato, poi c'era Liho che era anche lui un allievo di Sonny, ed era l'unico che voleva spingere. Poi, sapevamo che Dezz-it si era appena separato dai De Klan ed erano anni che ci frequentavamo e facevamo contest assieme. Ci siamo ritrovati e abbiamo deciso di creare una cosa nostra per spaccare, non solo a Roma, ma ovunque. E così abbiamo creato i Raw Muzzlez.

Tu mi hai parlato degli Street Fighters - un gruppo che ha condizionato molto il tuo approccio iniziale al breaking e all'hip-hop - ora hai introdotto i Raw Muzzlez che, insieme a i Concrete All Stars di Los Angeles, sono la tua crew attuale. Alla luce di tutti questi anni e delle esperienze differenti che hai vissuto: che cosa significa, secondo te, essere una crew?

Guarda, dipende sempre dal tipo di approccio. Una crew può essere tante cose e ci sono tanti motivi che possono spingere a creare una crew, o che possono creare un legame fra i membri. Adesso ti direi che dipende dall'obiettivo che hai e da cosa ti spinge a stare insieme. Una crew può avere più significati. Avendo visto tanti gruppi non ti direi mai che c'è una crew che ha più senso di un'altra. Dipende solo se è vero per te che lo vivi. Posso dirti che una crew è un gruppo di persone che vivono l'hip-hop nello stesso modo, e trovano nello stare insieme quella spinta e quel supporto per andare avanti, creare, crescere e sviluppare un certo stile, facendosi strada nella scena.

Proprio ricollegandoci a questo concetto di stile: secondo te che cos'è lo stile nel breaking e perché è così importante nella cultura hip-hop?

Lo stile è tutto quello che ti rende figo. Che rende tuo quello che fai. È una cosa che va oltre la tecnica, non è una cosa pratica nel senso di cosa fai, ma di come lo fai, l'approccio che hai. Lo stile che hai nel fare le cose, nell'essere te stesso. Lo stile inteso in questo senso è tutto, l'hip-hop è una guerra di stili. Le mosse più o meno sono quelle, i passi più o meno sono quelli! Tu li puoi variare, ma più o meno - alla fine - facciamo tutti le stesse cose, è lo stile che cambia! È lo stile che è particolare, è lo stile che è solo tuo. Ed è questo che caratterizza te, la tua crew, e il posto da cui vieni.

Lo stile è qualcosa di personale o di collettivo? Quanto credi che le tue crew e la tua città abbiano influenzato la formazione del tuo stile personale?

La mia visione di questo è molto cambiata durante il tempo. Andando avanti vedi succedere delle cose e cambiare delle cose. All'inizio lo stile era qualcosa di personale: io avevo il mio stile, tu il tuo stile, ognuno era diverso. Lo stile è sia una cosa personale - legata alla personalità; al tipo di corpo che hai; a quello che adesso intendo come flavor - che una cosa collettiva. Può diventare collettivo nel senso che quando ti alleni tanto insieme ad altre persone sviluppi delle cose insieme, inizi a muoverti in un modo simile, inizi a essere connesso alle persone che hai vicino. Le esperienze che fai ti uniscono e ti avvicinano, è normale, poi tutto si mescola e lì si crea uno stile comune. Perché senti anche un'appartenenza a qualcosa e quando vedi qualcuno che balla come te automaticamente te lo senti addosso e lo vuoi fare. Quando lo senti dentro, forte, esce automatico perché te rappresenti quello, vuoi essere quello. Lì si crea l'unione. Quindi, lo stile è sia una cosa personale che una cosa collettiva.

Ovviamente, centra anche il posto da dove vieni perché quello che vivi ti influenza: influenza la tua mentalità; la tua personalità. Ci sono delle cose che anche non volendo ti entrano dentro nel modo in cui balli. Anche solo la mentalità del posto in cui vivi, anche solo la mentalità di Ostia: come sono le persone; ciò a cui sei esposto. Tutto questo ti influenza per forza perché tu balli reagendo a questo! Tiri fuori delle cose di cui hai bisogno per sopravvivere in un certo quartiere, le tiri fuori ballando e quelle automaticamente modellano il tuo stile e il tuo breaking. Non è che noi costruiamo cose dal nulla, noi balliamo! È il nostro corpo che balla! È normale che tutto quello che vivi, se sei vero, esce fuori mentre balli. Parlando per me ho frequentato tanto Roma negli anni e anche Roma mi ha influenzato, e si è mixata con tutto il resto. Oggi riesco a vedere cosa viene da Ostia, cosa viene da Roma, cosa viene da Los Angeles. Anche nella mentalità, dico.

Tu hai viaggiato molto, in ogni posto in cui sei stato hai percepito queste differenze?

Certo! Poi dipende molto da quanto ti lasci influenzare. Tu puoi andare in un altro posto e rimanere distante, mettere un muro senza lasciare che ti influenzi. Io sono andato a LA che ero piccolo, avevo 18 anni e mi sono innamorato completamente, era il mio sogno! Io VOLEVO farmi influenzare. La cosa in cui sono stato più bravo, durante i miei viaggi, è stato rimanere totalmente aperto quando andavo da qualche parte. A LA avendola frequentata tanto e avendola vissuta completamente senza nessun tipo di barriera, ho permesso di influenzarmi tantissimo e anche io ho lavorato tanto per diventare “più di Los Angeles” possibile. Frequentando tanto i Concrete All Stars, prevalentemente, che sono le persone a cui mi suoi avvicinato di più avendo tante passioni in comune, ammirandoli tantissimo nel loro modo di fare, nel loro modo di pensare, nel loro modo di ballare! Ero totalmente aperto a questa trasformazione. Frequentandoli, ma anche scontrandomi con loro, affrontando delle cose personali interiori - come le paure - ma anche nel breaking, automaticamente mi sono modellato, sbloccando delle cose che poi si riversavano anche nel modo pratico di ballare.

Le due cose vanno in parallelo, per forza. Sei tu che lo fai, e se tu ti distacchi dal breaking non lo fai mai veramente. La cosa bella dei Concrete è che loro erano veri e totalmente senza paura, una cosa simile a com'era i primi anni negli Street Fighters, quindi era una cosa che cercavo in me, un modo per superarmi. Io volevo essere così! E se volevo essere così, per forza dovevo cambiare in un certo modo, anche esternamente: infatti ho dovuto lavorare sulla tecnica, su come sentire la musica, su come pensare mentre vai a terra, tante cose che poi assorbi frequentando quelle persone e quei determinati ambienti.

Lo stile è qualcosa che viene appreso, oppure inventato?

Forse è innato. (pausa) Se tu non hai niente intorno a te o nessuno intorno a te che ti adotta, lo stile è ciò che fa parte del tuo modo di essere. Lo stile può essere appreso, ma solo frequentando tanto chi ha quello stile e in ogni caso porti sempre qualcosa di tuo, è inevitabile. Magari apprendi un certo approccio, un certo modo di fare le cose, però poi lo porti avanti, lo sviluppi, ci metti le idee tue. La cosa figa dell’hip-hop - e del breaking - è sempre stata quella di flippare le cose. Flippare vuol dire prendere una cosa, stravolgerla, adattarla a te e modificarla. Ogni generazione ha delle idee diverse, magari prendi una cosa vecchia che funziona e poi la sviluppi nella direzione che tu vuoi. Questa è la cosa più figa.

In relazione al tuo modo di viverti l'hip-hop, ci sono altre discipline oltre al breaking che tu pratichi?

Si, diciamo, i graffiti! Non sono molto nella scena dei graffiti ma è una cosa che pratico. Poi sono molto dentro anche alla musica, anche se non canto e non suono.

Credi che praticare quest'altra disciplina hip-hop abbia influenzato il tuo breaking in qualche modo?

Un botto. Anche se sono due cose che possono sembrare completamente diverse in realtà su molte cose sono simili, soprattutto nella mentalità e nelle possibilità che hanno. Fare graffiti ti fa vedere le potenzialità dell'hip-hop sotto un'altro punto di vista. Ti fa vedere sotto un'altra prospettiva anche te stesso, perché comunque devi usare molto la testa, devi usare il tuo corpo in un altro modo, vedere le cose con più calma, con più precisione. Impari a mettere il tuo stile e la tua energia - e quello che di solito metti ballando - su una superficie che però è visibile. Così, tu vedi il risultato di quello che fai! Quando balli non lo vedi, tu lo senti. Invece scrivendo, disegnando, tu lo vedi mentre lo fai! I graffiti, secondo me, sono uno studio più visibile e anche più teorico di quello che faccio nel breaking, questo mi ha aiutato a capire la mia testa, quello che cerco di fare, le possibilità che ho. Mi ha aiutato teoricamente a capire di più l'hip-hop.

Cambiando un attimo argomento, vorrei farti alcune domande in relazione al cypher. Innanzitutto, in che cosa consiste il cypher e che cosa rappresenta secondo te?

Il cypher è il momento in cui fai breaking per davvero. In realtà anche da solo fai breaking, però, quella è proprio la completezza di ciò che il breaking è, perché lì dentro c'è tutto quanto! Il cypher non vuol dire delle persone in cerchio e uno che balla al centro, quello è un cerchio, al massimo. Il cypher è quando percepisci quel tipo di energia e senti che "sta succedendo", hai presente quando provi quella sensazione e senti i brividi e quella cosa forte che ti emoziona? Questo poi ti rende in grado di fare cose che normalmente non faresti mai, è proprio il momento in cui metti in pratica tutto quello per cui ti sei allenato, confrontandoti con gli altri: con il breaking, con la scena! Perché il breaking - e l'hip-hop - è comunque una cosa collettiva, ed è sempre stato necessario il confronto. Tu non sei nessuno se non spacchi in un cypher! Puoi stare in palestra,o a casa tua, e ballare quanto ti pare, essere forte quanto ti pare, ma poi quello è il momento che fai vedere se vali davvero o no. È facile farlo per i cazzi tuoi. Molto di quello che viene portato nel cypher: la pressione, la mentalità, la situazione che si crea intorno, quello è il breaking vero. È proprio un rituale essenziale per potersi esprimere al massimo.

Pensi che sia importante per un b-boy sapersi adattare a diversi tipi di cypher? Non intendo unicamente a livello spaziale, ma anche legati a situazioni e ambienti differenti.

Quando balli tu cerchi energie, cerchi situazioni, cerchi gente che spacca e che ti fa venire voglia di spaccare. Soprattutto quando poi diventi bravo non è che ti importa più di tanto di andarti a confrontare in situazioni che ti fanno scendere la voglia, o che non ti interessano. Non è che in quelle situazioni dici: "cazzo, devo essere pronto a tutto", se ti va lo fai. Ci deve essere un riscontro dentro di te, lo senti in te se quella è la situazione che cercavi. Se tu non lo senti quello diventa un dover dimostrare, e non è il modo in cui noi b-boy riconosciamo le situazioni giuste.

Le situazione giuste le riconosci dal momento in cui le senti. Non ci sono delle regole. Magari la situazione cambia, la musica cambia, però devi seguire un tipo di sensazione che c'è dentro di te. Poi, ovviamente, se sei forte, sei forte in qualsiasi situazione. Però non devi dimostrare niente a nessuno, non lo devi fare per forza. Se non ha senso per te, in quel momento, puoi anche non entrarci in quel cerchio.

Ci sono differenze tra il ballare - e lo sfidarsi - in un cypher, oppure in una competizione organizzata (contest)? Il tuo approccio cambia in queste diverse situazioni?

Un botto! Nel cerchio le regole le fai tu. Non c'è un limite di tempo, di entrate o dei giudici che ti guardano. È una situazione reale! Ci scontriamo per davvero con tutto quello che abbiamo! Non ci si può tirare indietro in nessun modo. La tua abilità sta nello sfruttare la situazione al massimo. Ovviamente, anche nel cypher ci sono delle regole non scritte, però comunque sono abbastanza flessibili, adattabili alla situazione, ci puoi giocare. È più un fatto di onore fra me e te, o fra la mia crew e la tua crew, è una cosa tra di noi! Non c'è una terza persona, oppure un'autorità che decide. Non ci sono autorità in un cerchio! È per questo che è un cerchio, sono tutti allo stesso livello. Nel quadrato invece no, e ci sono molte più regole. Se sei abituato a essere libero, a gestirti i tuoi tempi e le tue cose, ti mette in difficoltà perché ti mette una certa fretta, sei soggetto a dei giudizi secondo dei canoni che qualcun altro decide per te, che magari a volte sono giusti e altre volte no. Hai due round contati, in cui devi spaccare. Chi non è in grado di fare le cose nel cerchio di solito, nei contest, si nasconde dietro regolamenti o etiche che non fanno parte del nostro mondo. Nei contest se tu sbagli un'entrata magari gli altri fanno un'entrata potente e hanno vinto la sfida, quando magari se fossi stato nel cerchio non sarebbe successo, o se avessi sbagliato un'entrata avresti potuto dire: "okey, e le altre dieci?” (ride), capito?

Molte persone si fanno grandi perché sanno che stanno in una competizione organizzata in cui tu devi seguire delle regole, quando magari nel cerchio faccia a faccia non lo farebbero. La tua presenza, la tua esperienza, è molto parte del tuo essere b-boy. Il rispetto che hai dalla scena, questo conta! E nel contest non conta. Molti aspetti fondamentali del breaking vengono a mancare. Per questo ci sono b-boy fortissimi che spaccano solo nei cerchi, perché magari non hanno il minimo interesse di portare queste cose fuori nei contest, dove diventa solo un fatto di chi si fa vedere - o quanto si fa vedere - legato alla fama. Molte persone trovano forza in altri aspetti della vita e in quelle situazioni quella forza non riesci a tirarla fuori perché magari non è quello che cerchi, non è quello che ti ha spinto a ballare.

Puoi farmi degli esempi su come cambia praticamente il tuo modo di ballare in un cypher e in un contest?

Cambia perché spesso nei contest sento la pressione di dover fare più move, nel senso più acrobazie o movimenti di impatto visivo che facciano sembrare difficile quello che faccio, o comunque che facciano più presa sulla giuria o sul pubblico. Questo cambia totalmente il tuo stile perché non segui più il tuo istinto! Non segui più il sentire la musica - o comunque quello che hai dentro - ma segui ciò che ti fa vincere. Questo arriva a cambiare totalmente anche chi sei, può rovinarti, se non stai attento. Poi c'è anche l'influenza di tutti quelli che hai intorno, quando vedi tutte le persone che fanno un evento che stanno lì solo per vincere, solo per farsi vedere, solo per fare cose che fanno piacere agli altri, ti ritrovi in una situazione in cui non vuoi stare. In quel caso devi scegliere: "perdo rimanendo me stesso, o no?", però non vuoi perdere quindi ti ritrovi a dover fare cose che non vuoi fare. Almeno a me personalmente mi ha influenzato, magari faccio un'entrata in cui sento che sto ballando bene, ma non sento alcuna reazione da parte del pubblico, dalla gente, e quindi lì per lì penso che non sto spaccando! Questo ti spinge a fare altri passi che non faresti, e magari sbagli, è tutta una catena, capito?

Qual è il contesto in cui ti senti più stimolato a fare breaking?

Guarda ci sono varie cose perché il breaking è abbastanza ampio, quindi riesco a rapportarmi in situazioni diverse, però la cosa più ideale è quando sento che ognuno sta lì per sentire profondamente la musica ed esprimerla secondo il proprio spirito, il proprio intuito, il proprio istinto. Che non sia solo eseguire delle cose, ma anche tirare fuori delle cose personali, intime, dandogli forma con una certa consapevolezza.

Mi piace quando nessuno lo fa per farsi vedere, quando c'è una vera passione nel sentire ed esprimere quella cosa, sperimentando, condividendo quel tipo di energia non a scopo di farsi vedere, ma più per farlo e basta. Come quei momenti in cui ti senti libero di fare e dire quello che vuoi, di giocare, di urlare, di fare cose così, con una certa abilità nel dargli una forma. Quando c'è una connessione con la musica e la vita che hai intorno, in un modo che ti coinvolge. Quelle sono le situazioni che io cerco, perché è quello che voglio per me e che mi piace avere intorno. Questo delle volte lo trovo anche con gente che non balla.

Spesso nel breaking sentiamo parlare di un concetto: il going off, secondo te cosa significa e in cosa consiste?

Il going off, personalmente, è quasi la base da cui è iniziato tutto. All’inizio, essendo piccolo e inconsapevole, ballare era andare off, rilasciare tutta l'energia e la vitalità muovendomi con quei determinati movimenti che mi facevano sentire intensamente quelle sensazioni.

Going off, poi, quando diventi più consapevole, è quel momento in cui entri così a contatto con la musica e con i movimenti che stai facendo che non sei più sotto il controllo della tua testa, sei solo movimento, sei solo quel momento. Sono quei momenti in cui vai oltre quello che faresti normalmente, in cui ti sorprendi e vai oltre. Magari, ad esempio, è come quando hai paura di fare un salto mortale e non lo faresti mai, ma c'è quel momento in cui la situazione ti prende così tanto e tu lo fai, anche questo è andare off! È il momento in cui superi i tuoi limiti e tu non sei più quello che pensi di essere, ma sei di più. Questo può manifestarsi nel riuscire a fare una cosa difficile o semplicemente nel ballare. È quando diventi così tanto un tutt'uno con la musica che è lei che si muove e tu non sei più tu, ma reagisci a questo ritmo e basta. Sono i momenti in cui crei, in cui crei cose che non faresti mai; sono i momenti in cui ti superi e ti sorprendi, in cui forse scopri chi sei davvero e a cosa puoi arrivare.

Ti introduco un'ultima questione: all'interno del mondo hip-hop, o più precisamente nel breaking, credi ci sia differenza di genere? Mi riferisco alla questione spesso dibattuta fra b-boy e b-girl.

Allora, ti dico come la vedo io. Sicuramente c'è questa differenza, ma non nel senso che uno è inferiore all'altro. Il breaking è una di quelle cose che ti spinge a essere te stesso e a sviluppare il tuo stile, le tue capacità, in base a quello che hai. È normale che un uomo e una donna svilupperanno il loro breaking in modo diverso, ma non solo per un fatto fisico, ma anche per un fatto mentale e biologico. Ovviamente, ognuno singolarmente è diverso, ma è normale che le donne avranno caratteristiche diverse rispetto a un b-boy: possono essere più femminili, più sensibili, più sensuali, più delicate, più flessibili. Nella mia esperienza personale le ragazze sono sempre state più brave a eseguire cose acrobatiche, quando ero piccolo ho sempre visto questa cosa. Magari possono avere meno potenza, meno reattività, però la differenza che vedo io è la differenza che c'è in ognuno. Il breaking ti porta a sviluppare te stesso il più personalmente possibile, quindi è normale che ci sia questa differenza.

Nel breaking, adesso parlando in generale, le donne sono sempre state viste più deboli. Anche perché sono sempre state molte di meno e, sempre in generale, erano poche le b-girl che spaccavano. Le b-girl che vedevi solitamente erano sempre un po' scrausette, vuoi per insicurezza personale, o per mancanza di esempi, o per mancanza di supporto, però era raro trovare delle b-girl di livello alto.

Ti riferisci qui in Italia, oppure in generale?

In generale! Dovevi essere davvero forte per spaccare nel breaking. Anche a livello di personalità, mi riferisco, dovevi essere molto forte! È sempre stato un ambiente questo che ti metteva sotto pressione, rischiavi di non farcela anche se eri un ragazzo, quindi immagina per una ragazza! Personalmente, non credo ci siano differenze, però ci sono state. A livello di mentalità si credeva che una b-girl era una scrausa, la maggior parte delle volte. Anche se in realtà b-girl che spaccavano ce n'erano - anche se erano poche - e venivano rispettate. Forse, per loro, era solo più difficile trovare la motivazione, essere motivate abbastanza per andare avanti. Magari c'era solo chi aveva la situazione giusta e chi no. Però, adesso come adesso ti dico no.

Nessuna donna e nessun uomo dovrebbe cercare di standardizzarsi, pensare che per spaccare si debba essere in un modo specifico. Ognuno spacca a modo suo! Però deve spaccare! Deve essere forte! Non è un fatto di genere, ognuno è portato a dover tirare fuori quella cosa, sennò viene schiacciato, il breaking vuole questo! Ha fame di questo! Quindi, se vuoi farne parte, gli devi dare in pasto questa cosa.

Pensi sia giusto dividere le categorie durante le competizioni organizzate (contest)?

No. Assolutamente no, non è mai stato giusto, secondo me. Puoi fare contest per i bambini, ad esempio, in alcune situazioni per farli divertire; ma credo sia giusto anche per i bambini confrontarsi con le persone più grandi. Idealmente ti dico no. Non è mai giusto. Vale sia per i bambini come per le b-girl. Questo perché lo stile e la musica non hanno differenze di genere e di età. Se un bambino non ce la fa in un contest vuol dire che si deve allenare di più e magari più avanti riuscirà a spaccare, ma se tu fai le categorie solo per lui, si abitua a essere forte e non si confronterà mai con chi è forte davvero.

Per quanto riguarda le b-girl credo che questo enfatizzi molto la differenza, se tu fai un contest solo per b-girl dici implicitamente: "siamo diversi", capito? Per me non ha senso. Non è equo per tutti. Devi dare a tutti la possibilità di confrontarsi, di essere spronati. Se tu cerchi di proteggere troppo una persona la danneggi, è come se gli dicessi: "tu non sei in grado, e quindi hai bisogno di una categoria specifica per farlo”. Io non la vedo così. C'è chi è più forte, chi è meno forte; chi c'è da più tempo, chi da meno tempo. Se vuoi stare là te lo devi guadagnare. Creare le categorie è levare il bello che c'è in questa cosa.

Ti faccio un'ultima domanda. Partendo dal fatto che tu con il breaking hai girato il mondo - sei stato in Asia; in America molte volte; hai vissuto in Canada; a Los Angeles; in Korea; hai viaggiato in Europa - secondo te: l'hip-hop è uno solo, o ce ne sono tante tipologie diverse?


L'hip-hop prende la forma del luogo in cui si sviluppa. L'hip-hop è un approccio e uno stile di vita che si modifica e si adatta alle situazioni in cui si evolve, alle culture e alle persone con cui entra in contatto. L'hip-hop è uno perché ci unisce tutti quanti ed è una lingua che tutti parliamo - avendo le stesse fondamenta e la stessa fonte - però non è lo stesso in ogni luogo. È una cosa che si adatta, si modifica, si sviluppa, creando variazioni, altre correnti, altre cose. Il bello dell'hip-hop è che è diverso ovunque vai, e dovrebbe essere diverso ovunque vai, anche nei quartieri, nelle città, nelle crew. Ha le stesse fondamenta, lo stesso spirito, la stessa passione, storie simili. Questo ci accomuna e ci fa sentire fratelli, ci fa sentire vicini. Però il bello è che poi si sviluppa in modo diversi ed è giusto così! Perché il sapore, lo stile - l'abbiamo detto anche prima - cambiano a seconda del luogo, della cultura, della mentalità! E tu è questo che vuoi!

Per quanto mi riguarda ho viaggiato tanto perché volevo vedere modi diversi per sviluppare il breaking, volevo vedere più stili, altre cose. Magari vai in Thailandia e vedi che loro ballano in un modo in cui tu non avresti mai pensato! E questo ti apre delle porte! Ti fa capire che lo puoi fare in altri modi! Che puoi svilupparti, crescere in altri modi! L'hip-hop è sempre lo stesso, però è sempre diverso! Ed è questo il bello! È questo il bello! (ride)