Interviste "The Intelligent Movement - Corpo, Individuo e collettività nella cultura Hip-Hop" pt.7 B.Girl Roika

Pubblicato il 12 agosto, 2024
Lettura: 20 min read
Articolo di Matteo Benacchio

Abbiamo deciso di regalarvi tutte le interviste che avrebbero dovuto essere contenute all'interno del nostro libro, invece le trovate tutte completamente gratuite qui sul nostro sito. Real Hip Hop! No Doubts!

Settima Intervista a Valentina di Cesare aka B.Girl Roika

Intervista dell'autore Jacopo Ferri

Foto di Erik G

Per iniziare vorrei farti alcune domande relative alla tua storia nel mondo dell'hip-hop: a che età hai iniziato a ballare breaking e in quale città?

Ho cominciato a ballare breaking a Roma - la mia città natale - nel 2005. Ballavo hip-hop e new style già da due anni. Quindi, ho iniziato prima in piedi, poi ho conosciuto il mondo del breaking.

Quale è stato il tuo primo approccio? Come sei venuta a contatto con il breaking la prima volta?

Allora, innanzitutto bisogna dire che ho cominciato a ballare perché sono amante della musica, della cultura hip-hop non ne sapevo ancora nulla. Avevo trovato questo corso di new style in una palestra, ho fatto la prova e mi è piaciuta l'energia, il ritmo. Così, ho scelto di andare verso questo aspetto della danza. Da lì ho iniziato un po' a girare. Ho frequentato questo corso, piano piano ho iniziato a frequentare anche lo IALS - sempre ballando in piedi - e da lì ho iniziato a vedere i primi breaker che si allenavano di sabato con Massimo Cillotto. Mi sono informata, ho scoperto che lui insegnava anche vicino casa mia e così ho iniziato a seguire lezioni con lui. Nel lontano 2005.

Quindi, il tuo primo contatto con il breaking e l'hip-hop è avvenuto in una palestra.

Si, esatto! È avvenuto in palestra non per strada, e della cultura hip-hop non seguivo la musica - come il rap - è iniziato tutto in sala.

Per quanto riguarda, invece, il primo approccio con la cultura hip-hop?

Mano mano che mi appassionavo - e che mi piaceva la musica - ho iniziato a ricercare gruppi rap, artisti, è avvenuto tutto con l'esperienza, anno dopo anno! I concerti, anche, è venuto tutto dopo! Anche perché all'epoca avevo 16 anni - quando ho iniziato a ballare in piedi - e diciamo che ero ancora un po' prigioniera dei miei genitori. Poi, crescendo, verso i 18, 19 anni, ho iniziato a uscire, a frequentare le prime jam, i primi concerti, ed è avvenuto tutto a catena.

C'è stato un momento in cui hai iniziato a ballare per strada, oppure i primi anni frequentavi unicamente l'ambiente della palestra?

No, no. In realtà è avvenuto quasi subito. La prima volta che sono andata per strada è stato all'Air Terminal, avevo circa 20 anni. Lì per la prima volta vidi i vecchi Double B Rockers, se non mi ricordo male (ride), stiamo evocando cose di quindici anni fa. Lì conobbi Apache e alcuni degli Urban Force:c'erano Ino, Spina, Nexus e Pumba - se non mi ricordo male - e poi conobbi Ludovica Bricks, e alcune volte incrociai anche Chimp. Però la mia durata è stata brevissima all'Air Terminal perché dopo pochi mesi chiusero tutto.

C'erano diversi spot per allenarsi in strada a Roma, oppure l'Air Terminal era il luogo principale?

Io ero appena arrivata, quindi non conoscevo molto. Ho frequentato l'Air Terminal e il Foro Italico, questa è stata la mia esperienza. All’epoca non era tutto come oggi. C'era già internet, c'erano già i primi strumenti, solo che io non li utilizzavo molto. Non c'era whatsapp, non c'era tutta questa facilità nella comunicazione. Io andavo perché allenandomi in palestra la gente ti diceva: "Andiamo lì, si va di qua". Poi, ricordo che in quel periodo c'erano sempre sfide, competizioni, con questi ragazzi di Casalotti dove c'erano anche Mony, Manuel, che all'epoca ballavano contro di noi, e poi c'era la Global Dance, dove ballava Dezzi (Tu invece di che zona sei?Sono di Ottavia, Palmarola, nata a La Storta). Noi eravamo una decina allenati da Massimo Cillotto, però il nostro allenamento era molto "da strada", nel senso lui ci dava alcune dritte ma poi noi ci allenavamo come ci si allena per strada. Non era una cosa coreografica, era allenarsi per strada, ma in palestra. Per me a quell'età era perfetto: ero controllata dai miei genitori, ma allo stesso tempo piano piano potevo iniziare ad addentrarmi in questa disciplina, in questa cultura.

Però, si! Vengo dalla palestra, anche se in quel periodo c'erano già le prime competizioni. La prima sfida a cui ho assistito è stata in una chiesa di fronte alla Global Dance, non ricordo molto di quell'evento, ero super giovane (ride).

Nel momento in cui hai iniziato a ballare per strada - anche se mi hai detto è avvenuto quasi subito - hai sentito delle differenze rispetto a ballare in palestra, oppure era più o meno la stessa cosa?

Beh, sicuramente mi ha forgiato. Mentre nella palestra ognuno aveva il proprio spazio di allenamento, quindi c'era un allenamento prettamente individuale, al Foro - per esempio - avevamo questa mattonella, la famosa mattonella lucidata (ride), e uno alla volta lì si entrava e ci si allenava. La differenza è stata passare da un allenamento individuale a un allenamento condiviso in un cerchio, in una sorta di cerchio - se vogliamo definirlo così - all'epoca c'era tanta gente che si allenava al Foro Italico, eravamo molti di più rispetto questi ultimi anni. Questa è stata la prima differenza e la prima sfida, per una neofita ovviamente, perché poi ci vogliono alcuni anni per iniziare a divertirti, a giocare sul serio.

In palestra c'era più spazio disponibile. Al Foro c'era una mattonella, quella mattonella accoglieva una persona. Era l'unica lucida, meno sporca e agibile se volevi ballare, poi se volevi fare le verticali te le provavi esternamente. Quindi, la differenza principale è stata lo spazio, l’ambiente, la sfida personale con me stessa, e anche - ovviamente - il conoscere persone nuove. Al Foro c'era tutta la parte di Roma Nord, diciamo.

All'inizio percepivi tra i diversi gruppi - o tra i diversi spot di allenamento - una conflittualità territoriale?

Allora, adesso che mi ci fai pensare ti dico che c'era. Perché se penso a Roma Sud con Giulia Chimp, Osvaldo, Telespalla, e se penso a Roma Nord con gli Urban Force, c’è sempre stata una conflittualità tra le crew. Io vengo dal periodo in cui gli Urban Force stavano contro i De Klan, c'era questa sorta di rivalità per voler primeggiare, una cosa che a venti anni penso sia normale, è giusto, ti fa crescere. Quindi, si, ora che ci penso questa rivalità c'era tra Roma Sud e Roma Nord.

Poi, è una questione di ambienti. Ad esempio, Giulia ed Elisa vengono da Tor Pignattara, dove sono tutti centri sociali, c'è molto un'idea sociale del mondo. Roma Nord, invece, è considerata la parte più ricca. Sono ambienti diversi dove iniziare a fare questa cosa. Io i centri sociali ho iniziato a frequentarli a ventiquattro, venticinque anni, prima mi sono allenata sempre in palestra e per strada. Però era tutto relativo a seguire persone che avevo conosciuto in palestra, capito? Poi, io personalmente vengo da una famiglia che non è neanche troppo di sinistra, quindi certi ambienti erano totalmente nuovi. Adesso ci vivo, ci campo, e meno male che esistono. Un contesto sociale che accolga le persone, piuttosto che farle dividere. Perché comunque tu puoi avere la tua idea, io la mia, però alla fine siamo nella stessa città, nello stesso mondo, cerchiamo di cooperare, di venirci incontro.

Relativamente a questo, credi che l'avvicinamento al contesto sociale abbia cambiato il tuo breaking? Che impatto ha avuto su di te questo cambiamento?

Avvicinarmi a spazi e a contesti socio/culturali ha cambiato profondamente la mia visione del breaking, sono passata da un pensiero: “ballo e ti spacco il culo”, a un atteggiamento positivo e propositivo dove si condivide ciò che ci accomuna.

Dal mio punto di vista c’è sempre stata rivalità tra le crew della capitale, giustamente ognuno ha la propria visione, ma a volte mi sembra come se si restasse intrappolati nel mood del battle, mi spiego meglio, come se quella rivalità presente durante le competizioni persista anche sul piano personale. Ci immedesimiamo in una sorta di personaggio che scende in guerra per rappresentare la propria crew e la propria visione, vivendo su un piano parallelo del mondo. Il contesto “sociale” mi ha aiutata a tornare in contatto con il livello umano, fatto di condivisione e non di competizione.

Credi che questo riguardi unicamente l’Italia, oppure parli in generale nel breaking?

Ora sono molti anni che non esco dall'Italia, però vedendo in giro come stanno andando le cose sembra tutto sempre più improntato sulla competizione. La cosa carina dell'estero, almeno di quando andavo io, è che c'è sempre un pre-party, un after-party, dove la gente partecipa. Se la gente partecipa significa che c'è voglia di questa condivisione. In Italia lo sappiamo tutti che ci sono quelli che non partecipano ai party, a farlo siamo sempre di meno. Questo è indice del pensiero soprattutto nei giovani, però non è colpa loro, gli è stato tramandato! Ci sono passata pure io, è normale, è un processo! È un processo anche di maturità. Non si può stare sempre incattiviti e incazzati.

Tu all'inizio sei riuscita a integrarti subito nella scena hip-hop romana?

Personalmente, (pausa), fammi pensare. Allora, tendenzialmente sono timida, anche se non sembra. Mi ha aiutato molto fare lezioni con Trauma, degli Urban Force, che è stato il mio anello tra una break dance, diciamo, e il breaking vero e proprio. Lui è stato il mio anello. Facendo lezioni con lui sono entrata a contatto con gli Urban Force, ispirandomi a un modello, a una visione di breaking che mi piaceva: esteticamente, a livello musicale, nel ritmo. Questo mi ha aiutato a integrarmi, a frequentare più le jam e le situazioni. Cercavo di capire come era il gioco e nel frattempo ballavo, mi allenavo per crescere. Per quanto riguarda a livello di crew, essendo donna, è stato un po' deprimente. Ma qui torniamo a un discorso sulle società patriarcali molto ampio (ride).

Si! Su questo argomento dopo ci torniamo bene. Prima volevo chiederti: tu quando sei entrata la tua prima volta in una crew?

Quando ci allenavamo con Massimo Cillotto eravamo dei ragazzi che si allenavano, ma era come se fossimo una crew. Non avevamo un nome, però si stava insieme anche dopo l'allenamento, abitavamo tutti vicino. Non era una crew vera e propria, però era come una crew. Poi, la mia prima crew sono state le Wild Up.

Quindi, dopo diversi anni che ballavi.

Si, tanto. Ho iniziato a 19 anni e sono entrata con loro a 28, quasi dieci anni.

Che impatto ha avuto su di te - dopo tutti questi anni - entrare in una crew?

Guarda, noi ci siamo trovate. La nostra storia è nata quando abbiamo dovuto fare uno spettacolo al teatro della Conciliazione, uno dei più grandi di Roma. Un'esperienza che andava fatta. C'era questo show chiamato Magic, avevano chiamato Giulia Chimp che lei è praticamente il nostro manager in queste cose (ride), io non venivo da quel genere di visioni, però avevo smesso di ballare da un anno e mezzo e avevo ripreso a ballare perché mi aveva un po' motivato Ludovica Bricks, così, è nato questo progetto e abbiamo accettato. Da lì nascono le Wild Up. Inizialmente eravamo in sette, poi piano piano siamo rimaste noi quattro.

L'impatto è stato bello! Nel montare questo spettacolo ci siamo trovate bene insieme. Questo lavoro ci ha permesso di capire se potevamo essere affini e, soprattutto, chi erano le persone affini intorno a noi. Questo è stato importante per me, nonostante la crew sia nata da idee totalmente diverse rispetto a quelle che avevo prima. È stata una nuova esperienza. Abbiamo imparato a volerci bene facendo questo percorso insieme. Non venivamo da una conoscenza di anni, ma ci siamo legate nel tempo.

Mi hai detto che tu venivi da un altro background, avevi un altro approccio al breaking. Nel momento in cui sei venuta in contatto con loro c'è stato uno scontro? Come hai vissuto questa trasformazione?

Sicuramente delle volte ci sono delle differenze. Inizialmente è stata dura. Io venivo dalla mentalità del battle e non era solo allenamento e condivisione per me. Però ci siamo trovate a fare competizioni diverse, ad esempio, coreografiche, tutte cose che a me non appartenevano in quel momento, ma io penso che nella vita ogni esperienza ti insegni qualcosa. Loro mi hanno dato tantissimo sul piano sociale, e io le ho seguite. E va bene così.

Questo ha modificato anche il tuo breaking pratico?

No, il pratico no. Io so come approcciarmi al breaking e come voglio ballare. So cosa vuol dire essere una b-girl. Ballare sui breaks, sul rap, anche se a me piace ballare pure sul rock. Con loro, in verità, mi sono arricchita. Prima ero molto più schematica. Sono diventata più elastica e fluida, se c'è da mettere un passo - tra virgolette - di new style, ce lo metto! Sono andata a riscavare cose vecchie che avevo praticato prima del breaking, e le ho integrate. Prima - a un certo punto - ero diventata totalmente schematica. Spesso diciamo che siamo liberi, ma in verità ci muoviamo tutti all'interno di uno schema (ride). Posso dire che sono uscita fuori da quel mondo e ci sono entrata in un'altra maniera. È stato molto costruttivo.

Che cosa significa per te essere una crew?

La crew è famiglia. Che tu sia uno che ha appena iniziato o fortissimo non cambia.

Vorrei cambiare un attimo argomento. C'è una famosa frase di Kase 2 che dice: "Devi avere stile se vuoi combattere per lo stile, se non hai stile perché vuoi far parte di un movimento che è interamente basato sullo stile?", basandoci proprio su queste parole, secondo te, che cos'è lo stile nel breaking, e perché è così importante nella cultura hip-hop?

È l'attitudine. (pausa) Lo stile è ciò che dovrebbe rappresentarti di più. È quello che tu sei, come ti muovi, come cammini, come ti vesti, come ti esprimi, come ti esponi. Lo stile è anche nel linguaggio, nel ballare. Tira fuori quello che c'è dentro di te, in teoria. A mio parere è qualcosa che ho sempre ricercato: nel modo di vestire, nel modo di ballare, ma a livello verbale non so come poterlo esprimere. È una cosa molto difficile. Penso solo che da come ti muovi, da come sei, da come gesticoli, da come balli, esce fuori la tua anima in quel momento. E quello dice chi sei tu. Ti identifica. Se io vedo la tua ombra ballare e ti riconosco, vuol dire che sei tu.

C'è un insieme di caratteristiche essenziali che dovrebbe possedere lo stile di un b-boy o di una b-girl?

Prima pensavo di si. Prima pensavo che le foundation fossero quelle caratteristiche principali che caratterizzano un b-boy, o una b-girl. Le foundation sono fondamentali, ovviamente, da lì devi partire. Poi, bisogna trovare il modo per andare oltre, imparare, copiare quei movimenti per creare delle cose nuove. Non c'è niente di inventato. Non è facile. Io ci ho impiegato dieci anni - personalmente - per avere delle buone foundation, dei buoni concetti. Trovare queste cose prima non era facile come oggi: non c'era Youtube, non c'erano i corsi online, prima si facevano dei workshop una volta l'anno, oppure viaggiavi. Per me è stato molto lento questo percorso di apprendimento. Ci ho messo dieci anni per imparare bene tutte le foundation e poi da lì sei da punto a capo. E quella è la parte ancora più difficile. Imparare è stato faticoso, a livello fisico, ma anche riuscire a trascendere, non è semplice.

Lo stile è qualcosa che viene appreso oppure inventato?

Secondo me, quando lo apprendi non è stile. Inizialmente prendi ispirazione da un modello, è inevitabile, puoi acquisire dei passi ma non si può acquisire uno stile, se per stile intendiamo il nostro personale modo di muoverci e quindi di esprimerci. Lo stile è dare forma a ciò che è dentro di noi. Cioè, è ovvio che lo apprendi, uno non nasce imparato, un percorso lo devi fare! Ma non deve essere una cosa forzata, lo stile non è forzato. Lo stile lo dovresti inventare, però quello è un processo successivo, ciò che avviene dopo averlo appreso da un modello. Dopodiché trovi il tuo, inventi il tuo. Deve uscire fuori te stesso.

Ed è qualcosa che si lega unicamente a una persona, oppure può essere collettivo? Nel senso, credi che possa esistere lo stile di una crew? O di una città? Quanto hanno condizionato questi contesti il tuo modo di ballare?

La formazione del mio stile è stata totalmente segnata dagli altri. Quando ero ragazzina mi piaceva il modo in cui ballavano Trauma e gli Urban Force, in generale, così li ho seguiti. Volevo quelle movenze, volevo quelle forme. Sicuramente è collettivo. Parte da una crew, da due crew, e alla fine rappresenta una città. Poi ogni città è a sé. Ad esempio Roma è grande, quindi ci sono più modi di ballare. C'è il modo De Klan, per me, e quello Urban Force. A Roma sei figlio o dei De Klan, o degli Urban Force. Poi ci sono i Raw Muzzlez che comunque si rifanno a una impronta degli Urban Force, che comunque è un'impronta americana, se vai a vedere. I Lottaboyz, ad esempio, sono figli dei De Klan. C'è qualcuno che ti da un'impronta, poi tu fai il tuo. Lo stile è è personale, ma allenandosi in crew si può plasmare. Nel mio caso, nelle Wild Up, Maristella ha preso molto da me nel modo di ballare, però anche io ho preso molto da lei. Sono partita da un modello Urban Force, che è un modello americano, poi mi sono trovata a condividere un periodo della mia vita con i Raw Muzzlez, quindi è rimasta quella impronta. Infine, mi sono sganciata ed è arrivata una impronta femminile. Io, Giulia, Elisa e Maristella balliamo tutte in maniera diversa, forse quelle che si avvicinano di più siamo io e Maristella, una prende dall'altra. Lei aveva tutto quell'aspetto di new style che io avevo studiato dieci anni prima, lo ha integrato, e allenandoci insieme - per forza di cose - i movimenti si sono mischiati. Questo, a lungo andare, diventa l'impronta della tua crew.

A livello tecnico, personalmente, ho mantenuto quello da dove venivo io, ciò che è cambiato è stato: "dove lo metti". Lo metti in un'entrata? In uno show? In una coreografia? Sono sempre rimasta molto legata al filone di pensiero delle foundation, dell'energia, della musicalità. Questo l'ho mantenuto, ma ho appreso anche altro.

Parlando, invece, della differenza tra cypher e contest (competizioni organizzate), volevo chiederti: che cosa rappresenta il cerchio nel breaking, secondo te?

Allora, per me fondamentalmente rappresenta la mia sfida più grande con me stessa. Perché entrare in un cerchio in un insieme di venti, trenta persone - soprattutto a Roma, dove hanno fame e non ti fanno entrare - per me è stata una grande sfida. Per molti anni ho esitato e sono scappata a questo. Perché mi sentivo di meno, ero timida, non mi sentivo pronta. Poi, quando ho iniziato a sbloccare questa cosa è stato prima di tutto un passo avanti con me stessa, cioè un: "'sti cazzi di quello che fai te!", ci sono anche io, esisto anche io, guarda come ballo. Lo fai perché esisti e porti la tua energia. Per me è stato, quindi, superare una sfida con me stessa in primis. Poi, il cerchio è diventato divertimento. Io entro perché mi piace quel pezzo! Non perché ti devo far vedere, o dimostrare qualcosa. Se voglio ballare quel pezzo mi impongo, magari entro diretta con un go down, invece che con un top rock, per prendermi lo spazio. Poi, posso stare dieci minuti ferma se la musica non mi piace. Il cerchio ha un'energia potentissima. L'importante è che si dia lo spazio a tutti quanti, perché tutti siamo nel cerchio. Se manca un pezzo non è più un cerchio, ma una mezzaluna. Se mancano tre persone, sono tre persone in meno che ballano. Bisogna creare unione.

In base alla tua esperienza, qual è la differenza principale tra il ballare in un cerchio e il ballare in un contest?

La differenza c'è ed è che in un contest ti devi fare le entrate. (ride) Questa è una cosa che non sono mai riuscita a fare più di tanto, mi ha sempre annoiato. Forse è stato questo poi, nel tempo, che mi ha fatto smettere di fare i contest. Gli altri vincono perché sono preparati, però prepararti vuol dire provare sempre la stessa cosa per dieci volte, ad esempio, e a me annoia (ride). A un certo punto mi ha annoiato. La differenza è che nel cerchio sei libero. Sei veramente libero di essere te stesso, di esprimere te stesso attraverso la conoscenza che tu hai. Il tuo background. Tu vai libero sulla musica e nessuno sa cosa farai. Parti da cose che conosci però poi vai oltre, non sei limitato a uno schema quadrato. È per questo che preferisco il cypher.

una differenza nel modo che hai di approcciarti praticamente alla cosa, quindi.

Si, è così se vuoi vincere! Io sono una che non si è mai preparata, sono sempre andata a fare i battle senza mai avere programmato realmente delle entrate. Mi sono resa conto, poi, che se vuoi vincere devi essere preparato proprio atleticamente. Oggi è sempre più difficile perché la competizione si è alzata veramente tanto. Devi avere un approccio che è atletico se vuoi vincere. Io sono una che ama il freestyle, e va in freestyle nei contest, e infatti perdo sempre (ride). Quella entrata può andarmi benissimo come una merda! Non me l'alleno dieci volte al giorno, sempre la stessa, perché mi annoio! Quante cose ti dovresti allenare dieci volte al giorno? Quanti passaggi? A me piace viverla in modo diverso. Anche nel cypher c'è il battle, però lì è diverso! Lì se io ti sfido è perché o mi stai sul cazzo, o magari voglio imparare. Però difficilmente mi è capitato di sfidare nel cerchio. Prevalentemente condivido. Entro e condivido.

Quanto è importante per un ballerino di breaking sapersi adattare a diversi contesti di pratica: cypher grandi, cypher stretti, contest, palchi, show? Quanto è importante questa capacità di adattamento?

Io penso che se non hai una capacità di adattamento non puoi essere un b-boy, o una b-girl. Io ho iniziato in palestra, ma già dopo un anno e mezzo, due, stavo per strada! E da lì non ho mai smesso di adattarmi. Oggi ci si allena al Foro, domani a Scup, dopodomani alla Snia, c'è sempre stato cambiamento! Nei posti di allenamento, nelle persone! La vita è cambiamento e l'Universo è cambiamento, quindi, il processo di adattamento è fondamentale sennò non potresti fare il b-boy. Quando ero più piccola e non avevo soldi, dormivamo spesso negli aeroporti dopo gli eventi: questo è adattamento! È nell'animo del breaking, sennò avrei fatto altro, non so, danza classica!

Pensi che questa capacità di adattarti te l'abbia insegnata il breaking? Oppure tu facevi breaking perché eri così?

Si, forse si! (ride) Fai breaking perché sei cosi! Perchè hai questo spirito di adattamento, questa voglia di mantenerti giovane, che non vuol dire non diventare maturo, sia chiaro! Però, si! Se non hai questo spirito non puoi fare questa roba.

Tu sei anche insegnante, giusto?

Si! Ho degli allievi tuttora che mi seguono anche con la pandemia. Faccio lezione su zoom. Ho insegnato per diversi anni. Non lo faccio per soldi, loro pagano una quota perché, insomma, è giusto! Perché comunque se vai all'interno di un posto chiuso è giusto che ci sia una quota da pagare e paghi anche la mia esperienza. Però -personalmente- non è il mio lavoro! Se nel corso i miei allievi decidessero di non venire più nelle quattro mura, ma di seguirmi fuori, ad esempio a Scup, oppure al Foro, sarei felice di fargli lezione gratuitamente. Quindi, diciamo che l'obiettivo non è per soldi, ma per tramandare qualcosa che ho imparato. In questa zona (Ottavia) non ci sono posti dove potersi allenare con b-girl, o b-boy. Insegnare in questa zona è importante perché magari loro, in futuro, continuano a farlo e quando io smetterò mi piacerebbe vedere qualcuno di loro che insegna al mio posto. Quindi, sì! Ho degli allievi e ne sono contenta.

Solitamente come strutturi una tua lezione?

Allora, cerco di tenere fede a quella che è stata - ed è - la mia filosofia nel breaking. All'inizio ci scaldiamo velocemente, dove sto io c'è il marmo a terra quindi fa molto freddo e sul riscaldamento cerco di dargli una certa disciplina. Quando ci scaldiamo cerco di farlo con il top rock, mantenendo un riscaldamento che sia in una forma ballata. Poi, do tutti strumenti che possano aiutarli ad andare da soli. Esercizi propedeutici che io ho utilizzato: come il russian step , o le verticali. Poi, insegno dei passi, ogni volta ne facciamo uno nuovo. E infine - ovviamente - c'è il cerchio, o la sfida nel cerchio. E così si chiude la lezione. (Il cypher lo metti sempre alla fine?Si! Lo metto alla fine in generale).

Quanto è importante l'insegnamento del cypher per imparare a fare breaking?

È fondamentale! Ti sblocca da quelle paure e insicurezze che all'inizio hanno quasi tutti.

L'insegnamento lo svolgi unicamente all'interno dell'orario di lezione, oppure anche al di fuori della palestra?

Purtroppo no, sempre all'interno dell'orario. Questo perché i miei allievi sono piccolissimi, non hanno proprio libertà di movimento! Per il momento è così, poi si vedrà.

Vorrei introdurti a un ultimo argomento, una questione spesso dibattuta all'interno del mondo hip-hop: pensi che nel breaking ci sia differenza di genere?

Siamo figli di una società che ci divide per generi, categorie e classi, inevitabilmente questo si rispecchia anche nel nostro mondo, è un pensiero acquisito, ereditato. La cosa triste è che non solo si dividono i battle in categorie, ma anche i premi destinati ai b-girl battle spesso sono inferiori ad altre categorie nonostante per entrare il biglietto lo paghi lo stesso prezzo. Personalmente non credo ci siano differenze sul piano dell’apprendimento: sono donna posso con impegno imparare tutte le tecniche che mi servono per ballare, proprio come un uomo. Trovo differenze sul piano dell’attitudine, a 33 anni vedo le sfumature, prima ispirandomi a certi modelli ero troppo mascolina, oggi ricerco movimenti con armonia femminile, delicati, eleganti, se vogliamo! Anche sensuali, perché no? Quello che si potrebbe fare in un battle che vede un b-boy contro una b-girl sarebbe quello di valorizzare certi aspetti. Prenderne atto e inserirli nei parametri di giudizio. Potrebbe essere un’idea per dividerci di meno, giocando lo stesso gioco, ognuno con le proprie armi e qualità.

Quindi, si! C'è una differenza di genere nel breaking, ma non deve essere vista in un contesto divisorio, non è un modo diverso in cui si deve fare! Deve semplicemente essere tirato fuori e valutato, valorizzato, sia dalla parte delle donne che riconosciuto dalla parte degli uomini. E sostenuto dalla parte degli uomini! Supportato! Però essere troppo maschili, no. Io sono una b-girl. Giochiamo lo stesso gioco: con le foundation, con i freeze, le skill, tutto ciò che vuoi, però è l'attitudine che cambia, perché il mio fisico è diverso dal tuo fisico. Il mio muscolo reagisce in modo diverso dal tuo, quindi, dove posso giocare meglio?

Pensi che il breaking ti abbia aiutato a riconoscere meglio la tua parte maschile o femminile?

Inizialmente maschile. Mi rifacevo a dei modelli maschili perché il 95% delle persone che ballano in questo ambiente sono uomini! Adesso stanno crescendo i numeri delle donne, grazie anche a competizioni come il Red Bull, questo glielo dobbiamo. Oggi, femminile! Ma questo perché io mi sono riscoperta, ho fatto un lavoro su me stessa e quindi poi ne viene fuori qualcosa anche a livello artistico. Sono donna: posso sedurre, posso giocare con questo. Non dico che questo debba essere giudicato come una mossa difficilissima, o come originalità, però dovrebbe essere valutata come un aspetto. Nel senso:c'è anche questo aspetto. Ma c'è bisogno che ci sia unamente apertadall’altra parte.

In un contesto del genere posso giocare differentemente da un uomo, la mia attitudine può essere diversa dalla tua attitudine. Secondo me, noi donne possiamo trovare altri aspetti per giocare allo stesso gioco e battere i b-boy. Dobbiamo solo trovare il giusto modo, e forse questo ce lo dobbiamo ricordare in primis noi femmine.

Credi ci sia mai stato un certo sessismo, o discriminazione, nel breaking?

Sicuramente i numeri delle donne che ballano sono sempre stati inferiori rispetto agli uomini, già questo dice molto. Fuori dall'Italia, secondo me, no. Non c'è una discriminazione. Da quello che ho visto io le donne sono supportate all'estero! E questo si vede perché hanno sempre fatto parte di crew, quindi vuol dire che c'è supporto nei confronti delle donne. In questo paese non posso dire la stessa cosa, però amen. Questa è la mia esperienza. Ci sono anche ragazze, come Alessandrina, che hanno la loro crew e sono state supportate fin dall'inizio.

Mi puoi raccontare qualcosa riguardo questo nella tua esperienza?

Basta dire che mi sono sempre allenata con delle crew e non sono mai stata considerata per entrarvi. Magari potevo chiederlo anche io, non lo so. Però, si, sessismo c'è stato. Un po': "tu sei femmina e quindi non lo puoi fare!", quando sei ragazzino te la prendi pure perché ti fa male, però dopo se vuoi fare una cosa la fai, e infatti, l'ho fatto. Vai avanti e via. Sicuramente ci dovrebbe essere più supporto per le b-girl da parte dei b-boy e non solo quando sono le loro fidanzate. (ride) Questo vale per le giurie, per i battle misti, per entrare nelle crew, in tutto.

Tu come la vedi la divisione delle categorie nei contest? La trovi una cosa giusta?

No, secondo me no. La donna può battere l'uomo! La b-girl può passare le sfide in un battle contro un b-boy, si deve solo ricordare di essere una donna. Cioè, AT ha vinto footwork battle e nei suoi passi c'era una femminilità pazzesca, è questo che intendo! Non che lei non facesse breaking, ma lo faceva in modo femminile, oltre ad avere una tecnica perfetta! Però questo è stato riconosciuto! È stato visto! Quindi, no! Non ci dovrebbero essere contest separati. Nel breaking prima non c'era considerazione, adesso ci sono i b-girl battle, domani si eliminerà pure questa cosa, forse. Io ho sempre partecipato un po' a tutto, lo fai perché lo vuoi fare, semplicemente. Ad esempio, il Red Bull li separa. Dietro questo evento c'è molto business, soldi, viaggi. Io mi immedesimo in una ragazzina di venti anni di oggi, anche io ci parteciperei: hai la possibilità di partire, andare fuori, battendo la tua categoria. È più facile, in teoria! Però perché non vengono riconosciuti degli aspetti che se invece fossero valorizzati si potrebbe giocare nella stessa categoria, senza distinzioni. Siccome non c'è un modello di giudizio corretto, la distinzione diventa necessaria per permettere anche a una b-girl di vincere.

Ti faccio un'ultima domanda: in base a tutta la tua esperienza - ai viaggi che hai fatto in giro per il mondo attraverso il breaking, a tutti i posti che hai visitato e alle diverse situazioni che hai visto; dai primi passi che hai mosso in palestra, alla tua storia con le Wild Up - avendo vissuto questa cosa da tanti punti di vista differenti, credi che l'hip-hop sia uno solo, oppure ne esistono tipologie diverse?

Questa è una bella domanda. Sicuramente ci sono delle visioni diverse. L'hip-hop che cos'è? È una cultura. Bisogna partire da questo presupposto per capirlo. È una fare che accomuna un insieme di persone che sono legate, fedeli, appassionate a un certo tipo di musica, a un certo tipo di stile di vita. Ci sono sicuramente tante sfaccettature. Credo che questa cultura si leghi automaticamente alla cultura che si ha nel proprio paese, perché altrimenti stiamo solo emulando gli americani e credo che questo sia uno degli errori, certe volte. Da una parte è giusto, ti fa crescere in questa cosa, ma bisogna anche mantenere la propria tradizione. Come? Non lo so. Ma ogni paese ha il suo modo.

Ci sono tanti tipi di hip-hop, forse si. Prendendo quello originale che si fa in un modo, che nasce da una determinata situazione, da un determinato disagio sociale e mettendoci dentro quello che sei tu, impari le regole del gioco, ma lo rendi diverso. Penso che ogni città abbia una propria tradizione, una propria cultura. L'hip-hop lo mescoli inevitabilmente con quello che sei tu. Bisogna sentirsi liberi di esprimersi. Ognuno se lo vive in maniera propria e quindi crea la propria dimensione, la propria forma. A modo suo.

Abbiamo deciso di regalarvi tutte le interviste che avrebbero dovuto essere contenute all'interno del nostro libro, invece le trovate tutte completamente gratuite qui sul nostro sito. Real Hip Hop! No Doubts!

Settima Intervista a Valentina di Cesare aka B.Girl Roika

Intervista dell'autore Jacopo Ferri

Foto di Erik G

Per iniziare vorrei farti alcune domande relative alla tua storia nel mondo dell'hip-hop: a che età hai iniziato a ballare breaking e in quale città?

Ho cominciato a ballare breaking a Roma - la mia città natale - nel 2005. Ballavo hip-hop e new style già da due anni. Quindi, ho iniziato prima in piedi, poi ho conosciuto il mondo del breaking.

Quale è stato il tuo primo approccio? Come sei venuta a contatto con il breaking la prima volta?

Allora, innanzitutto bisogna dire che ho cominciato a ballare perché sono amante della musica, della cultura hip-hop non ne sapevo ancora nulla. Avevo trovato questo corso di new style in una palestra, ho fatto la prova e mi è piaciuta l'energia, il ritmo. Così, ho scelto di andare verso questo aspetto della danza. Da lì ho iniziato un po' a girare. Ho frequentato questo corso, piano piano ho iniziato a frequentare anche lo IALS - sempre ballando in piedi - e da lì ho iniziato a vedere i primi breaker che si allenavano di sabato con Massimo Cillotto. Mi sono informata, ho scoperto che lui insegnava anche vicino casa mia e così ho iniziato a seguire lezioni con lui. Nel lontano 2005.

Quindi, il tuo primo contatto con il breaking e l'hip-hop è avvenuto in una palestra.

Si, esatto! È avvenuto in palestra non per strada, e della cultura hip-hop non seguivo la musica - come il rap - è iniziato tutto in sala.

Per quanto riguarda, invece, il primo approccio con la cultura hip-hop?

Mano mano che mi appassionavo - e che mi piaceva la musica - ho iniziato a ricercare gruppi rap, artisti, è avvenuto tutto con l'esperienza, anno dopo anno! I concerti, anche, è venuto tutto dopo! Anche perché all'epoca avevo 16 anni - quando ho iniziato a ballare in piedi - e diciamo che ero ancora un po' prigioniera dei miei genitori. Poi, crescendo, verso i 18, 19 anni, ho iniziato a uscire, a frequentare le prime jam, i primi concerti, ed è avvenuto tutto a catena.

C'è stato un momento in cui hai iniziato a ballare per strada, oppure i primi anni frequentavi unicamente l'ambiente della palestra?

No, no. In realtà è avvenuto quasi subito. La prima volta che sono andata per strada è stato all'Air Terminal, avevo circa 20 anni. Lì per la prima volta vidi i vecchi Double B Rockers, se non mi ricordo male (ride), stiamo evocando cose di quindici anni fa. Lì conobbi Apache e alcuni degli Urban Force:c'erano Ino, Spina, Nexus e Pumba - se non mi ricordo male - e poi conobbi Ludovica Bricks, e alcune volte incrociai anche Chimp. Però la mia durata è stata brevissima all'Air Terminal perché dopo pochi mesi chiusero tutto.

C'erano diversi spot per allenarsi in strada a Roma, oppure l'Air Terminal era il luogo principale?

Io ero appena arrivata, quindi non conoscevo molto. Ho frequentato l'Air Terminal e il Foro Italico, questa è stata la mia esperienza. All’epoca non era tutto come oggi. C'era già internet, c'erano già i primi strumenti, solo che io non li utilizzavo molto. Non c'era whatsapp, non c'era tutta questa facilità nella comunicazione. Io andavo perché allenandomi in palestra la gente ti diceva: "Andiamo lì, si va di qua". Poi, ricordo che in quel periodo c'erano sempre sfide, competizioni, con questi ragazzi di Casalotti dove c'erano anche Mony, Manuel, che all'epoca ballavano contro di noi, e poi c'era la Global Dance, dove ballava Dezzi (Tu invece di che zona sei?Sono di Ottavia, Palmarola, nata a La Storta). Noi eravamo una decina allenati da Massimo Cillotto, però il nostro allenamento era molto "da strada", nel senso lui ci dava alcune dritte ma poi noi ci allenavamo come ci si allena per strada. Non era una cosa coreografica, era allenarsi per strada, ma in palestra. Per me a quell'età era perfetto: ero controllata dai miei genitori, ma allo stesso tempo piano piano potevo iniziare ad addentrarmi in questa disciplina, in questa cultura.

Però, si! Vengo dalla palestra, anche se in quel periodo c'erano già le prime competizioni. La prima sfida a cui ho assistito è stata in una chiesa di fronte alla Global Dance, non ricordo molto di quell'evento, ero super giovane (ride).

Nel momento in cui hai iniziato a ballare per strada - anche se mi hai detto è avvenuto quasi subito - hai sentito delle differenze rispetto a ballare in palestra, oppure era più o meno la stessa cosa?

Beh, sicuramente mi ha forgiato. Mentre nella palestra ognuno aveva il proprio spazio di allenamento, quindi c'era un allenamento prettamente individuale, al Foro - per esempio - avevamo questa mattonella, la famosa mattonella lucidata (ride), e uno alla volta lì si entrava e ci si allenava. La differenza è stata passare da un allenamento individuale a un allenamento condiviso in un cerchio, in una sorta di cerchio - se vogliamo definirlo così - all'epoca c'era tanta gente che si allenava al Foro Italico, eravamo molti di più rispetto questi ultimi anni. Questa è stata la prima differenza e la prima sfida, per una neofita ovviamente, perché poi ci vogliono alcuni anni per iniziare a divertirti, a giocare sul serio.

In palestra c'era più spazio disponibile. Al Foro c'era una mattonella, quella mattonella accoglieva una persona. Era l'unica lucida, meno sporca e agibile se volevi ballare, poi se volevi fare le verticali te le provavi esternamente. Quindi, la differenza principale è stata lo spazio, l’ambiente, la sfida personale con me stessa, e anche - ovviamente - il conoscere persone nuove. Al Foro c'era tutta la parte di Roma Nord, diciamo.

All'inizio percepivi tra i diversi gruppi - o tra i diversi spot di allenamento - una conflittualità territoriale?

Allora, adesso che mi ci fai pensare ti dico che c'era. Perché se penso a Roma Sud con Giulia Chimp, Osvaldo, Telespalla, e se penso a Roma Nord con gli Urban Force, c’è sempre stata una conflittualità tra le crew. Io vengo dal periodo in cui gli Urban Force stavano contro i De Klan, c'era questa sorta di rivalità per voler primeggiare, una cosa che a venti anni penso sia normale, è giusto, ti fa crescere. Quindi, si, ora che ci penso questa rivalità c'era tra Roma Sud e Roma Nord.

Poi, è una questione di ambienti. Ad esempio, Giulia ed Elisa vengono da Tor Pignattara, dove sono tutti centri sociali, c'è molto un'idea sociale del mondo. Roma Nord, invece, è considerata la parte più ricca. Sono ambienti diversi dove iniziare a fare questa cosa. Io i centri sociali ho iniziato a frequentarli a ventiquattro, venticinque anni, prima mi sono allenata sempre in palestra e per strada. Però era tutto relativo a seguire persone che avevo conosciuto in palestra, capito? Poi, io personalmente vengo da una famiglia che non è neanche troppo di sinistra, quindi certi ambienti erano totalmente nuovi. Adesso ci vivo, ci campo, e meno male che esistono. Un contesto sociale che accolga le persone, piuttosto che farle dividere. Perché comunque tu puoi avere la tua idea, io la mia, però alla fine siamo nella stessa città, nello stesso mondo, cerchiamo di cooperare, di venirci incontro.

Relativamente a questo, credi che l'avvicinamento al contesto sociale abbia cambiato il tuo breaking? Che impatto ha avuto su di te questo cambiamento?

Avvicinarmi a spazi e a contesti socio/culturali ha cambiato profondamente la mia visione del breaking, sono passata da un pensiero: “ballo e ti spacco il culo”, a un atteggiamento positivo e propositivo dove si condivide ciò che ci accomuna.

Dal mio punto di vista c’è sempre stata rivalità tra le crew della capitale, giustamente ognuno ha la propria visione, ma a volte mi sembra come se si restasse intrappolati nel mood del battle, mi spiego meglio, come se quella rivalità presente durante le competizioni persista anche sul piano personale. Ci immedesimiamo in una sorta di personaggio che scende in guerra per rappresentare la propria crew e la propria visione, vivendo su un piano parallelo del mondo. Il contesto “sociale” mi ha aiutata a tornare in contatto con il livello umano, fatto di condivisione e non di competizione.

Credi che questo riguardi unicamente l’Italia, oppure parli in generale nel breaking?

Ora sono molti anni che non esco dall'Italia, però vedendo in giro come stanno andando le cose sembra tutto sempre più improntato sulla competizione. La cosa carina dell'estero, almeno di quando andavo io, è che c'è sempre un pre-party, un after-party, dove la gente partecipa. Se la gente partecipa significa che c'è voglia di questa condivisione. In Italia lo sappiamo tutti che ci sono quelli che non partecipano ai party, a farlo siamo sempre di meno. Questo è indice del pensiero soprattutto nei giovani, però non è colpa loro, gli è stato tramandato! Ci sono passata pure io, è normale, è un processo! È un processo anche di maturità. Non si può stare sempre incattiviti e incazzati.

Tu all'inizio sei riuscita a integrarti subito nella scena hip-hop romana?

Personalmente, (pausa), fammi pensare. Allora, tendenzialmente sono timida, anche se non sembra. Mi ha aiutato molto fare lezioni con Trauma, degli Urban Force, che è stato il mio anello tra una break dance, diciamo, e il breaking vero e proprio. Lui è stato il mio anello. Facendo lezioni con lui sono entrata a contatto con gli Urban Force, ispirandomi a un modello, a una visione di breaking che mi piaceva: esteticamente, a livello musicale, nel ritmo. Questo mi ha aiutato a integrarmi, a frequentare più le jam e le situazioni. Cercavo di capire come era il gioco e nel frattempo ballavo, mi allenavo per crescere. Per quanto riguarda a livello di crew, essendo donna, è stato un po' deprimente. Ma qui torniamo a un discorso sulle società patriarcali molto ampio (ride).

Si! Su questo argomento dopo ci torniamo bene. Prima volevo chiederti: tu quando sei entrata la tua prima volta in una crew?

Quando ci allenavamo con Massimo Cillotto eravamo dei ragazzi che si allenavano, ma era come se fossimo una crew. Non avevamo un nome, però si stava insieme anche dopo l'allenamento, abitavamo tutti vicino. Non era una crew vera e propria, però era come una crew. Poi, la mia prima crew sono state le Wild Up.

Quindi, dopo diversi anni che ballavi.

Si, tanto. Ho iniziato a 19 anni e sono entrata con loro a 28, quasi dieci anni.

Che impatto ha avuto su di te - dopo tutti questi anni - entrare in una crew?

Guarda, noi ci siamo trovate. La nostra storia è nata quando abbiamo dovuto fare uno spettacolo al teatro della Conciliazione, uno dei più grandi di Roma. Un'esperienza che andava fatta. C'era questo show chiamato Magic, avevano chiamato Giulia Chimp che lei è praticamente il nostro manager in queste cose (ride), io non venivo da quel genere di visioni, però avevo smesso di ballare da un anno e mezzo e avevo ripreso a ballare perché mi aveva un po' motivato Ludovica Bricks, così, è nato questo progetto e abbiamo accettato. Da lì nascono le Wild Up. Inizialmente eravamo in sette, poi piano piano siamo rimaste noi quattro.

L'impatto è stato bello! Nel montare questo spettacolo ci siamo trovate bene insieme. Questo lavoro ci ha permesso di capire se potevamo essere affini e, soprattutto, chi erano le persone affini intorno a noi. Questo è stato importante per me, nonostante la crew sia nata da idee totalmente diverse rispetto a quelle che avevo prima. È stata una nuova esperienza. Abbiamo imparato a volerci bene facendo questo percorso insieme. Non venivamo da una conoscenza di anni, ma ci siamo legate nel tempo.

Mi hai detto che tu venivi da un altro background, avevi un altro approccio al breaking. Nel momento in cui sei venuta in contatto con loro c'è stato uno scontro? Come hai vissuto questa trasformazione?

Sicuramente delle volte ci sono delle differenze. Inizialmente è stata dura. Io venivo dalla mentalità del battle e non era solo allenamento e condivisione per me. Però ci siamo trovate a fare competizioni diverse, ad esempio, coreografiche, tutte cose che a me non appartenevano in quel momento, ma io penso che nella vita ogni esperienza ti insegni qualcosa. Loro mi hanno dato tantissimo sul piano sociale, e io le ho seguite. E va bene così.

Questo ha modificato anche il tuo breaking pratico?

No, il pratico no. Io so come approcciarmi al breaking e come voglio ballare. So cosa vuol dire essere una b-girl. Ballare sui breaks, sul rap, anche se a me piace ballare pure sul rock. Con loro, in verità, mi sono arricchita. Prima ero molto più schematica. Sono diventata più elastica e fluida, se c'è da mettere un passo - tra virgolette - di new style, ce lo metto! Sono andata a riscavare cose vecchie che avevo praticato prima del breaking, e le ho integrate. Prima - a un certo punto - ero diventata totalmente schematica. Spesso diciamo che siamo liberi, ma in verità ci muoviamo tutti all'interno di uno schema (ride). Posso dire che sono uscita fuori da quel mondo e ci sono entrata in un'altra maniera. È stato molto costruttivo.

Che cosa significa per te essere una crew?

La crew è famiglia. Che tu sia uno che ha appena iniziato o fortissimo non cambia.

Vorrei cambiare un attimo argomento. C'è una famosa frase di Kase 2 che dice: "Devi avere stile se vuoi combattere per lo stile, se non hai stile perché vuoi far parte di un movimento che è interamente basato sullo stile?", basandoci proprio su queste parole, secondo te, che cos'è lo stile nel breaking, e perché è così importante nella cultura hip-hop?

È l'attitudine. (pausa) Lo stile è ciò che dovrebbe rappresentarti di più. È quello che tu sei, come ti muovi, come cammini, come ti vesti, come ti esprimi, come ti esponi. Lo stile è anche nel linguaggio, nel ballare. Tira fuori quello che c'è dentro di te, in teoria. A mio parere è qualcosa che ho sempre ricercato: nel modo di vestire, nel modo di ballare, ma a livello verbale non so come poterlo esprimere. È una cosa molto difficile. Penso solo che da come ti muovi, da come sei, da come gesticoli, da come balli, esce fuori la tua anima in quel momento. E quello dice chi sei tu. Ti identifica. Se io vedo la tua ombra ballare e ti riconosco, vuol dire che sei tu.

C'è un insieme di caratteristiche essenziali che dovrebbe possedere lo stile di un b-boy o di una b-girl?

Prima pensavo di si. Prima pensavo che le foundation fossero quelle caratteristiche principali che caratterizzano un b-boy, o una b-girl. Le foundation sono fondamentali, ovviamente, da lì devi partire. Poi, bisogna trovare il modo per andare oltre, imparare, copiare quei movimenti per creare delle cose nuove. Non c'è niente di inventato. Non è facile. Io ci ho impiegato dieci anni - personalmente - per avere delle buone foundation, dei buoni concetti. Trovare queste cose prima non era facile come oggi: non c'era Youtube, non c'erano i corsi online, prima si facevano dei workshop una volta l'anno, oppure viaggiavi. Per me è stato molto lento questo percorso di apprendimento. Ci ho messo dieci anni per imparare bene tutte le foundation e poi da lì sei da punto a capo. E quella è la parte ancora più difficile. Imparare è stato faticoso, a livello fisico, ma anche riuscire a trascendere, non è semplice.

Lo stile è qualcosa che viene appreso oppure inventato?

Secondo me, quando lo apprendi non è stile. Inizialmente prendi ispirazione da un modello, è inevitabile, puoi acquisire dei passi ma non si può acquisire uno stile, se per stile intendiamo il nostro personale modo di muoverci e quindi di esprimerci. Lo stile è dare forma a ciò che è dentro di noi. Cioè, è ovvio che lo apprendi, uno non nasce imparato, un percorso lo devi fare! Ma non deve essere una cosa forzata, lo stile non è forzato. Lo stile lo dovresti inventare, però quello è un processo successivo, ciò che avviene dopo averlo appreso da un modello. Dopodiché trovi il tuo, inventi il tuo. Deve uscire fuori te stesso.

Ed è qualcosa che si lega unicamente a una persona, oppure può essere collettivo? Nel senso, credi che possa esistere lo stile di una crew? O di una città? Quanto hanno condizionato questi contesti il tuo modo di ballare?

La formazione del mio stile è stata totalmente segnata dagli altri. Quando ero ragazzina mi piaceva il modo in cui ballavano Trauma e gli Urban Force, in generale, così li ho seguiti. Volevo quelle movenze, volevo quelle forme. Sicuramente è collettivo. Parte da una crew, da due crew, e alla fine rappresenta una città. Poi ogni città è a sé. Ad esempio Roma è grande, quindi ci sono più modi di ballare. C'è il modo De Klan, per me, e quello Urban Force. A Roma sei figlio o dei De Klan, o degli Urban Force. Poi ci sono i Raw Muzzlez che comunque si rifanno a una impronta degli Urban Force, che comunque è un'impronta americana, se vai a vedere. I Lottaboyz, ad esempio, sono figli dei De Klan. C'è qualcuno che ti da un'impronta, poi tu fai il tuo. Lo stile è è personale, ma allenandosi in crew si può plasmare. Nel mio caso, nelle Wild Up, Maristella ha preso molto da me nel modo di ballare, però anche io ho preso molto da lei. Sono partita da un modello Urban Force, che è un modello americano, poi mi sono trovata a condividere un periodo della mia vita con i Raw Muzzlez, quindi è rimasta quella impronta. Infine, mi sono sganciata ed è arrivata una impronta femminile. Io, Giulia, Elisa e Maristella balliamo tutte in maniera diversa, forse quelle che si avvicinano di più siamo io e Maristella, una prende dall'altra. Lei aveva tutto quell'aspetto di new style che io avevo studiato dieci anni prima, lo ha integrato, e allenandoci insieme - per forza di cose - i movimenti si sono mischiati. Questo, a lungo andare, diventa l'impronta della tua crew.

A livello tecnico, personalmente, ho mantenuto quello da dove venivo io, ciò che è cambiato è stato: "dove lo metti". Lo metti in un'entrata? In uno show? In una coreografia? Sono sempre rimasta molto legata al filone di pensiero delle foundation, dell'energia, della musicalità. Questo l'ho mantenuto, ma ho appreso anche altro.

Parlando, invece, della differenza tra cypher e contest (competizioni organizzate), volevo chiederti: che cosa rappresenta il cerchio nel breaking, secondo te?

Allora, per me fondamentalmente rappresenta la mia sfida più grande con me stessa. Perché entrare in un cerchio in un insieme di venti, trenta persone - soprattutto a Roma, dove hanno fame e non ti fanno entrare - per me è stata una grande sfida. Per molti anni ho esitato e sono scappata a questo. Perché mi sentivo di meno, ero timida, non mi sentivo pronta. Poi, quando ho iniziato a sbloccare questa cosa è stato prima di tutto un passo avanti con me stessa, cioè un: "'sti cazzi di quello che fai te!", ci sono anche io, esisto anche io, guarda come ballo. Lo fai perché esisti e porti la tua energia. Per me è stato, quindi, superare una sfida con me stessa in primis. Poi, il cerchio è diventato divertimento. Io entro perché mi piace quel pezzo! Non perché ti devo far vedere, o dimostrare qualcosa. Se voglio ballare quel pezzo mi impongo, magari entro diretta con un go down, invece che con un top rock, per prendermi lo spazio. Poi, posso stare dieci minuti ferma se la musica non mi piace. Il cerchio ha un'energia potentissima. L'importante è che si dia lo spazio a tutti quanti, perché tutti siamo nel cerchio. Se manca un pezzo non è più un cerchio, ma una mezzaluna. Se mancano tre persone, sono tre persone in meno che ballano. Bisogna creare unione.

In base alla tua esperienza, qual è la differenza principale tra il ballare in un cerchio e il ballare in un contest?

La differenza c'è ed è che in un contest ti devi fare le entrate. (ride) Questa è una cosa che non sono mai riuscita a fare più di tanto, mi ha sempre annoiato. Forse è stato questo poi, nel tempo, che mi ha fatto smettere di fare i contest. Gli altri vincono perché sono preparati, però prepararti vuol dire provare sempre la stessa cosa per dieci volte, ad esempio, e a me annoia (ride). A un certo punto mi ha annoiato. La differenza è che nel cerchio sei libero. Sei veramente libero di essere te stesso, di esprimere te stesso attraverso la conoscenza che tu hai. Il tuo background. Tu vai libero sulla musica e nessuno sa cosa farai. Parti da cose che conosci però poi vai oltre, non sei limitato a uno schema quadrato. È per questo che preferisco il cypher.

una differenza nel modo che hai di approcciarti praticamente alla cosa, quindi.

Si, è così se vuoi vincere! Io sono una che non si è mai preparata, sono sempre andata a fare i battle senza mai avere programmato realmente delle entrate. Mi sono resa conto, poi, che se vuoi vincere devi essere preparato proprio atleticamente. Oggi è sempre più difficile perché la competizione si è alzata veramente tanto. Devi avere un approccio che è atletico se vuoi vincere. Io sono una che ama il freestyle, e va in freestyle nei contest, e infatti perdo sempre (ride). Quella entrata può andarmi benissimo come una merda! Non me l'alleno dieci volte al giorno, sempre la stessa, perché mi annoio! Quante cose ti dovresti allenare dieci volte al giorno? Quanti passaggi? A me piace viverla in modo diverso. Anche nel cypher c'è il battle, però lì è diverso! Lì se io ti sfido è perché o mi stai sul cazzo, o magari voglio imparare. Però difficilmente mi è capitato di sfidare nel cerchio. Prevalentemente condivido. Entro e condivido.

Quanto è importante per un ballerino di breaking sapersi adattare a diversi contesti di pratica: cypher grandi, cypher stretti, contest, palchi, show? Quanto è importante questa capacità di adattamento?

Io penso che se non hai una capacità di adattamento non puoi essere un b-boy, o una b-girl. Io ho iniziato in palestra, ma già dopo un anno e mezzo, due, stavo per strada! E da lì non ho mai smesso di adattarmi. Oggi ci si allena al Foro, domani a Scup, dopodomani alla Snia, c'è sempre stato cambiamento! Nei posti di allenamento, nelle persone! La vita è cambiamento e l'Universo è cambiamento, quindi, il processo di adattamento è fondamentale sennò non potresti fare il b-boy. Quando ero più piccola e non avevo soldi, dormivamo spesso negli aeroporti dopo gli eventi: questo è adattamento! È nell'animo del breaking, sennò avrei fatto altro, non so, danza classica!

Pensi che questa capacità di adattarti te l'abbia insegnata il breaking? Oppure tu facevi breaking perché eri così?

Si, forse si! (ride) Fai breaking perché sei cosi! Perchè hai questo spirito di adattamento, questa voglia di mantenerti giovane, che non vuol dire non diventare maturo, sia chiaro! Però, si! Se non hai questo spirito non puoi fare questa roba.

Tu sei anche insegnante, giusto?

Si! Ho degli allievi tuttora che mi seguono anche con la pandemia. Faccio lezione su zoom. Ho insegnato per diversi anni. Non lo faccio per soldi, loro pagano una quota perché, insomma, è giusto! Perché comunque se vai all'interno di un posto chiuso è giusto che ci sia una quota da pagare e paghi anche la mia esperienza. Però -personalmente- non è il mio lavoro! Se nel corso i miei allievi decidessero di non venire più nelle quattro mura, ma di seguirmi fuori, ad esempio a Scup, oppure al Foro, sarei felice di fargli lezione gratuitamente. Quindi, diciamo che l'obiettivo non è per soldi, ma per tramandare qualcosa che ho imparato. In questa zona (Ottavia) non ci sono posti dove potersi allenare con b-girl, o b-boy. Insegnare in questa zona è importante perché magari loro, in futuro, continuano a farlo e quando io smetterò mi piacerebbe vedere qualcuno di loro che insegna al mio posto. Quindi, sì! Ho degli allievi e ne sono contenta.

Solitamente come strutturi una tua lezione?

Allora, cerco di tenere fede a quella che è stata - ed è - la mia filosofia nel breaking. All'inizio ci scaldiamo velocemente, dove sto io c'è il marmo a terra quindi fa molto freddo e sul riscaldamento cerco di dargli una certa disciplina. Quando ci scaldiamo cerco di farlo con il top rock, mantenendo un riscaldamento che sia in una forma ballata. Poi, do tutti strumenti che possano aiutarli ad andare da soli. Esercizi propedeutici che io ho utilizzato: come il russian step , o le verticali. Poi, insegno dei passi, ogni volta ne facciamo uno nuovo. E infine - ovviamente - c'è il cerchio, o la sfida nel cerchio. E così si chiude la lezione. (Il cypher lo metti sempre alla fine?Si! Lo metto alla fine in generale).

Quanto è importante l'insegnamento del cypher per imparare a fare breaking?

È fondamentale! Ti sblocca da quelle paure e insicurezze che all'inizio hanno quasi tutti.

L'insegnamento lo svolgi unicamente all'interno dell'orario di lezione, oppure anche al di fuori della palestra?

Purtroppo no, sempre all'interno dell'orario. Questo perché i miei allievi sono piccolissimi, non hanno proprio libertà di movimento! Per il momento è così, poi si vedrà.

Vorrei introdurti a un ultimo argomento, una questione spesso dibattuta all'interno del mondo hip-hop: pensi che nel breaking ci sia differenza di genere?

Siamo figli di una società che ci divide per generi, categorie e classi, inevitabilmente questo si rispecchia anche nel nostro mondo, è un pensiero acquisito, ereditato. La cosa triste è che non solo si dividono i battle in categorie, ma anche i premi destinati ai b-girl battle spesso sono inferiori ad altre categorie nonostante per entrare il biglietto lo paghi lo stesso prezzo. Personalmente non credo ci siano differenze sul piano dell’apprendimento: sono donna posso con impegno imparare tutte le tecniche che mi servono per ballare, proprio come un uomo. Trovo differenze sul piano dell’attitudine, a 33 anni vedo le sfumature, prima ispirandomi a certi modelli ero troppo mascolina, oggi ricerco movimenti con armonia femminile, delicati, eleganti, se vogliamo! Anche sensuali, perché no? Quello che si potrebbe fare in un battle che vede un b-boy contro una b-girl sarebbe quello di valorizzare certi aspetti. Prenderne atto e inserirli nei parametri di giudizio. Potrebbe essere un’idea per dividerci di meno, giocando lo stesso gioco, ognuno con le proprie armi e qualità.

Quindi, si! C'è una differenza di genere nel breaking, ma non deve essere vista in un contesto divisorio, non è un modo diverso in cui si deve fare! Deve semplicemente essere tirato fuori e valutato, valorizzato, sia dalla parte delle donne che riconosciuto dalla parte degli uomini. E sostenuto dalla parte degli uomini! Supportato! Però essere troppo maschili, no. Io sono una b-girl. Giochiamo lo stesso gioco: con le foundation, con i freeze, le skill, tutto ciò che vuoi, però è l'attitudine che cambia, perché il mio fisico è diverso dal tuo fisico. Il mio muscolo reagisce in modo diverso dal tuo, quindi, dove posso giocare meglio?

Pensi che il breaking ti abbia aiutato a riconoscere meglio la tua parte maschile o femminile?

Inizialmente maschile. Mi rifacevo a dei modelli maschili perché il 95% delle persone che ballano in questo ambiente sono uomini! Adesso stanno crescendo i numeri delle donne, grazie anche a competizioni come il Red Bull, questo glielo dobbiamo. Oggi, femminile! Ma questo perché io mi sono riscoperta, ho fatto un lavoro su me stessa e quindi poi ne viene fuori qualcosa anche a livello artistico. Sono donna: posso sedurre, posso giocare con questo. Non dico che questo debba essere giudicato come una mossa difficilissima, o come originalità, però dovrebbe essere valutata come un aspetto. Nel senso:c'è anche questo aspetto. Ma c'è bisogno che ci sia unamente apertadall’altra parte.

In un contesto del genere posso giocare differentemente da un uomo, la mia attitudine può essere diversa dalla tua attitudine. Secondo me, noi donne possiamo trovare altri aspetti per giocare allo stesso gioco e battere i b-boy. Dobbiamo solo trovare il giusto modo, e forse questo ce lo dobbiamo ricordare in primis noi femmine.

Credi ci sia mai stato un certo sessismo, o discriminazione, nel breaking?

Sicuramente i numeri delle donne che ballano sono sempre stati inferiori rispetto agli uomini, già questo dice molto. Fuori dall'Italia, secondo me, no. Non c'è una discriminazione. Da quello che ho visto io le donne sono supportate all'estero! E questo si vede perché hanno sempre fatto parte di crew, quindi vuol dire che c'è supporto nei confronti delle donne. In questo paese non posso dire la stessa cosa, però amen. Questa è la mia esperienza. Ci sono anche ragazze, come Alessandrina, che hanno la loro crew e sono state supportate fin dall'inizio.

Mi puoi raccontare qualcosa riguardo questo nella tua esperienza?

Basta dire che mi sono sempre allenata con delle crew e non sono mai stata considerata per entrarvi. Magari potevo chiederlo anche io, non lo so. Però, si, sessismo c'è stato. Un po': "tu sei femmina e quindi non lo puoi fare!", quando sei ragazzino te la prendi pure perché ti fa male, però dopo se vuoi fare una cosa la fai, e infatti, l'ho fatto. Vai avanti e via. Sicuramente ci dovrebbe essere più supporto per le b-girl da parte dei b-boy e non solo quando sono le loro fidanzate. (ride) Questo vale per le giurie, per i battle misti, per entrare nelle crew, in tutto.

Tu come la vedi la divisione delle categorie nei contest? La trovi una cosa giusta?

No, secondo me no. La donna può battere l'uomo! La b-girl può passare le sfide in un battle contro un b-boy, si deve solo ricordare di essere una donna. Cioè, AT ha vinto footwork battle e nei suoi passi c'era una femminilità pazzesca, è questo che intendo! Non che lei non facesse breaking, ma lo faceva in modo femminile, oltre ad avere una tecnica perfetta! Però questo è stato riconosciuto! È stato visto! Quindi, no! Non ci dovrebbero essere contest separati. Nel breaking prima non c'era considerazione, adesso ci sono i b-girl battle, domani si eliminerà pure questa cosa, forse. Io ho sempre partecipato un po' a tutto, lo fai perché lo vuoi fare, semplicemente. Ad esempio, il Red Bull li separa. Dietro questo evento c'è molto business, soldi, viaggi. Io mi immedesimo in una ragazzina di venti anni di oggi, anche io ci parteciperei: hai la possibilità di partire, andare fuori, battendo la tua categoria. È più facile, in teoria! Però perché non vengono riconosciuti degli aspetti che se invece fossero valorizzati si potrebbe giocare nella stessa categoria, senza distinzioni. Siccome non c'è un modello di giudizio corretto, la distinzione diventa necessaria per permettere anche a una b-girl di vincere.

Ti faccio un'ultima domanda: in base a tutta la tua esperienza - ai viaggi che hai fatto in giro per il mondo attraverso il breaking, a tutti i posti che hai visitato e alle diverse situazioni che hai visto; dai primi passi che hai mosso in palestra, alla tua storia con le Wild Up - avendo vissuto questa cosa da tanti punti di vista differenti, credi che l'hip-hop sia uno solo, oppure ne esistono tipologie diverse?

Questa è una bella domanda. Sicuramente ci sono delle visioni diverse. L'hip-hop che cos'è? È una cultura. Bisogna partire da questo presupposto per capirlo. È una fare che accomuna un insieme di persone che sono legate, fedeli, appassionate a un certo tipo di musica, a un certo tipo di stile di vita. Ci sono sicuramente tante sfaccettature. Credo che questa cultura si leghi automaticamente alla cultura che si ha nel proprio paese, perché altrimenti stiamo solo emulando gli americani e credo che questo sia uno degli errori, certe volte. Da una parte è giusto, ti fa crescere in questa cosa, ma bisogna anche mantenere la propria tradizione. Come? Non lo so. Ma ogni paese ha il suo modo.

Ci sono tanti tipi di hip-hop, forse si. Prendendo quello originale che si fa in un modo, che nasce da una determinata situazione, da un determinato disagio sociale e mettendoci dentro quello che sei tu, impari le regole del gioco, ma lo rendi diverso. Penso che ogni città abbia una propria tradizione, una propria cultura. L'hip-hop lo mescoli inevitabilmente con quello che sei tu. Bisogna sentirsi liberi di esprimersi. Ognuno se lo vive in maniera propria e quindi crea la propria dimensione, la propria forma. A modo suo.