Interviste "The Intelligent Movement - Corpo, Individuo e collettività nella cultura Hip-Hop" pt.10 B.Girl Dany

Pubblicato il 12 agosto, 2024
Lettura: 26 min read
Articolo di Matteo Benacchio

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Nona Intervista a Daniela Cono aka B.Girl Dany

Intervista dell'autore Jacopo Ferri

Foto di Gloria Viggiani

Quando hai iniziato a ballare breaking e in quale città?

Ufficialmente ho iniziato nel 1998, a Roma. In realtà la mia ricerca nel breaking inizia dal 1993-1994, però all'epoca non si vedevano b-boy in giro, erano proprio delle talpe nascoste. Io a quel tempo ero piccolissima, avevo tredici anni, non potevo andare a scovarli, sono stata i primi quattro anni alla ricerca di qualcuno, ma senza successo. Pensa che mi sono spulciata tutte le pagine gialle, all’epoca, per provare a trovare una palestra dove qualcuno insegnava break dance! Ne trovai una che faceva lezioni di sera e riuscii a convincere mio padre a portarmi a fare la lezione di prova. Purtroppo, fu l'unica volta in cui l'insegnante in questione non era potuto andare a lezione! (ride) Assurdo! Pensa che io dopo anni - quando ho avuto la fortuna di conoscere Gerardo con cui ho iniziato a ballare - tornai proprio in quella palestra lì, scoprendo che era il luogo dove insegnava Crash Kid! Io di sguincio, diciamo, non sono riuscita a incontrarlo. Era l'insegnante che quella sera non era andato a fare lezione! Dopo anni di ricerche fallite, nel 1998, per caso, vidi un ragazzino a una festa fare un po' di top rock, un chair freeze e un six step, lo fermai subito e gli dissi: "Adesso tu mi dici dove vi allenate!", e mi portò da Gerardo. Da lì ho iniziato a conoscere la scena e tutto l'ambiente.

Il primo contatto, quindi, è avvenuto di persona.

Si! I social, internet, non esistevano minimamente. (ride) Il primo contatto ce l'ho avuto dal vivo, anche se me ne aveva già parlato una ragazza in terza media che mi aveva fatto vedere alcuni video su MTV, ma niente di particolare. Tuttavia, rimasi affascinata da questa cosa e un po' di tempo dopo trovai un giornale che si chiamava: BREAK DANCE, credo di averlo ancora, ma non so dove! Sai che a inizio anni '80 questa danza era andata di moda anche in Italia con film come Wild Style, e questa rivista era di quegli anni lì! In pratica c'erano tutte immagini di b-boy in cui spiegavano alcuni passi e io provavo a casa a rifarli da sola. (Tutto questo prima di iniziare a ballare con Gerardo?Si, si, prima!) Rimasi così colpita che fui costretta a cercare qualcuno che mi indirizzasse su questa strada.

Praticamente hai iniziato a ballare in palestra?

No, io conobbi Gerardo, lui insegnava nelle palestre, però da subito abbiamo iniziato ad allenarci per strada dove ci si allenava all'epoca: al Foro Italico, oppure a Galleria Colonna anche se lì già stava iniziando a disgregarsi la situazione. Poi, siccome Gerardo aveva una palestra in cui insegnava, noi - intendo me, Apache e Il Testina - lo seguivamo per avere uno spazio in cui andarci ad allenare, però non ballavamo solo in palestra. Diciamo che abbiamo iniziato contemporaneamente per strada e in palestra, ovunque ci fosse spazio!

Quando tu hai iniziato a ballare c'era una scena hip-hop già avviata a Roma?

Si! C'era una scena avviata. Considera che io ho iniziato a febbraio del 1998, a novembre del 1997 è morto Crash Kid, quindi io ti lascio immaginare in che situazione sono entrata. Era una scena molto avviata, perché l'aveva creata il Crash. Quando ho iniziato ho sentito il riflesso di quello che aveva lasciato lui, poi iniziando con Gerardo - che all'epoca era molto legato a Serio, a Tim, la prima generazione Urban Force - ci sono entrata subito con tutti e due i piedi, e devo dire che oltre a essere una scena già avviata era anche molto bella. Quando ho iniziato quegli anni sono stati bellissimi, perché oltre ad aver trovato quello che volevo fare dopo quattro anni di ricerca, non mi deluse minimamente, anzi! Io ero rimasta affascinata dalla danza, ma poi entrando nell'ambiente scoprii l'hip-hop a trecentosessanta gradi, dal momento che in quegli anni si viveva davvero la cultura in modo totale!

Come era l'ambiente romano sotto questo punto di vista? Le discipline erano connesse?

Si, le discipline erano connesse! All'epoca era proprio Gerardo che organizzava le jam più importanti. Jam, sia chiaro, non c'erano contest, non c'erano battle, c'erano solo queste mega feste che però venivano frequentate spesso da persone che veniva anche da fuori Roma, c'era la famosa chiamata di Gerardo che faceva riunire tutti: all'Intifada, o da altre parti, ce ne sono state parecchie! Ovviamente, per ogni jam ci stavano gli MC: c'era il Piotta, c'era tutta quella serie di persone che frequentavano l’ambiente, ci si radunava e si stava insieme.

Mi hai detto che la morte di Crash Kid ha influenzato molto la scena di Roma a quel tempo, puoi dirmi qualcosa di più riguardo questo argomento?

Guarda, io purtroppo non l'ho conosciuto, ci siamo a malapena sfiorati. Non sono riuscita a incontrarlo dal vivo perché ho iniziato a ballare alcuni mesi dopo che è morto, e perché quattro anni prima - per puro caso - non riuscii a incontrarlo in quella palestra! Quello che ho sentito dire è che in quel periodo Crash Kid lavorava molto con quella che era la nuova generazione dell’epoca. Io frequentavo Gerardo, Serio e tutti quanti loro, così ho sentito molto la presenza di questo personaggio, anche negli insegnamenti. Ricordo una cosa che mi ha commosso: sotto il ponte Marconi - dove poi fecero la jam - c'era un graffito con il suo viso, in suo onore. Ricordo che un giorno Gerardo mi portò lì per fare la presentazione ufficiale con lui, dicendomi che era stato un peccato che io non l'avessi mai conosciuto. Mi disse che per Crash Kid sarebbe stato un motivo di orgoglio vedere una ragazza che si faceva un mazzo enorme per questa cosa, perché io mi ci dedicavo giorno e notte all'epoca, con il doppio della tigna che deve avere una ragazza in questo ambiente! A quel tempo una persona che si faceva in quattro per cercare di imparare, di rappresentare in quell'ambiente, di mettersi in gioco, veniva accolta! E questa è una cosa bellissima che io ho avuto la fortuna di vivere iniziando a ballare in quegli anni.

Sei riuscita a integrarti subito nella scena?

Si. Devo essere sincera, sono stata molto fortunata perché mi hanno accolto bene tutti. Forse sono stata accettata perché hanno visto che non ero entrata perché ero la fidanzata di qualcuno, o perché per me era una moda, ma proprio perché mi piaceva! Mi ci ammazzavo! Lividi, escoriazione, tutto quello che si poteva fare io lo facevo con la foga e la gioia di farlo! Essere accolta in questa situazione mi fece venire ancora più voglia di mettermi in gioco, di impegnarmi, facendo vedere che realmente io meritavo quel posto! Che mi meritavo di stare lì in mezzo!

La scena era accogliente in quegli anni? C'era condivisione, o più conflittualità tra le crew?

Allora, secondo me - poi ti parlo sempre del modo in cui io percepivo le cose all'epoca - la scena era molto più unita! Se io ci ripenso mi viene proprio la pelle d'oca. Quando prendevamo il treno per andare a Firenze - o da qualche altra parte a fare un evento - era una situazione in cui entravi in una festa: c'erano molte crew e ci si voleva bene. C'era questa cosa del volersi bene, e quando vedevi qualcuno che non era della tua città - e ti ci potevi confrontare solo una volta ogni tanto - c'era questa cosa del non vedere l'ora di mostrare cosa avevi imparato! Era un confronto bellissimo.

Quindi, da questo punto di vista c'era molto di più il senso di appartenenza alla stessa famiglia, anche se dall'altro lato era molto più grezzo. Cioè: se ti stava sul cazzo qualcuno, ti stava sul cazzo davvero (ride). Non è che stavi lì a dire troppe cose, a fare le mosse, ci si menava e basta. Era proprio greve! Però a prescindere da questo, quando ci stava davvero la voglia di condividere e di stare insieme, non c'era il finto: "ti rompo il culo e poi siamo amici", c'era il "ti faccio vedere quanto spacco", ognuno voleva mostrare quanto si era impegnato per arrivare a fare quel passo nuovo. C'era il fomento e un confronto costruttivo, della serie: "bella questa cosa che hai fatto, adesso ne faccio una meglio!”, però, con il sorriso! Era bello.Se devo dire la verità, per me, i primi anni sono stati i migliori!

Questa situazione che mi hai descritto era caratteristica di Roma, oppure la trovavi un po' in tutta Italia?

No, no, io la vedevo in giro. Anche quando nel 1999 - o nel 2000 non ricordo - andammo al B-boy Event a Bologna la situazione che trovavi era questa. Sai, all'inizio c'erano molte meno persone: meno b-boy, le b-girl neanche te lo dico, le contavi sulla punta delle dita! Quando ci riunivamo, ovunque fosse, l’atmosfera era sempre la stessa.

Praticavi altre discipline hip-hop oltre il breaking?

Praticavo nel senso che stavamo sempre tutti insieme, ma no. Ho provato - ovviamente si prova tutto (ride) - perché il bello era pure quello: il sentirti parte di una cultura, anche se magari rappresentavi e portavi la bandiera di una sola disciplina. Però, no, dal punto di vista della arti praticate ho sempre portato avanti solo il breaking.

Quando è stata la prima volta che sei entrata in una crew?

Allora, la mia prima, prima crew è stata SPQR (Style Power Quality Rome), che poi tanti anni dopo con lo stesso nome ci fecero un contest all'Air Terminal che negli anni divenne importante. Tra gli organizzatori c'era Luigi Orgh che mi disse di aver pensato il nome inspirandosi alla prima crew di Gerardo, in cui eravamo in quattro: Gerardo, io, Apache e Daniele - il cugino di Gerardo che però si staccò molto presto dalla scena - con loro era come una famiglia. Gerardo era il nostro guru perché ballava da più tempo, era il più anziano. Come SPQR partecipammo anche al B-boy Event di Bologna che aveva come selezione una coreografia. Questa è stata la mia prima crew. Dopodiché, sono stata un paio di anni fuori dalla scena, tra il 2001 e il 2003, e quando ci sono rientrata ho conosciuto la nuova generazione di b-girl che nel frattempo avevano iniziato a ballare, ed erano: Giulia Chimp, Jessica, Corinne, Livia, insomma, quando sono rientrata nell'ambiente conobbi queste ragazze e iniziando ad allenarci insieme mi chiesero di fondare una crew di b-girl: così nacque la FoShow, una crew che ci siamo portate avanti per molto tempo, e che portiamo ancora nel nostro cuore anche se quasi tutte hanno smesso di ballare. Quella è stata la prima crew tutta al femminile.

Tutta al femminile per scelta, oppure è capitato?

Diciamo che è stata una conseguenza naturale anche quella. Eravamo un gruppo di ragazze che si allenavano insieme ed erano diventate amiche, quindi, è nata in maniera spontanea, come dovrebbe nascere qualsiasi crew! Dopo che ti conosci, balli, diventi amico, diventi un fratello, una sorella, hai gli stessi obiettivi, alla fine ti ritrovi una crew intorno senza nemmeno averci fatto caso. Però - in questa situazione in particolare - ti posso dire che per le ragazze che mi hanno chiesto di fare questo gruppo era importante, perché stava già cominciando il periodo in cui le ragazze venivano considerate un po' di meno nella scena, e stare tutte insieme era motivo di forza in un ambiente diventato un po' più maschilista. Una cosa che quando ho iniziato a ballare io non esisteva minimamente!

Questo cambiamento nella scena è avvenuto negli anni?

Si, è avvenuto negli anni. Io, considerando il mio percorso, ti posso dire che quando ho cominciato vedere una b-girl ballare sembrava una questione di orgoglio, ma forse perché all'epoca non ci si poteva avvicinare giusto per moda, lo facevi perché davvero avevi la tigna, quindi le poche b-girl che c'erano, erano tutte rispettate! Poi, quando sono uscita dalla scena un paio d'anni - e non so bene cosa sia successo - ho visto crescere moltissimo il numero di b-girl, iniziando a percepire - allo stesso tempo - anche questa situazione di dislivello, di conflittualità e poco riconoscimento. Ripeto: una cosa che prima non c'era.


Su questo argomento poi ci ritorniamo. Riprendendo il discorso delle crew, invece, come si è evoluta poi la tua storia?

Dopo la Fo-Show è iniziato il periodo dei True Methods. Foglia si era trasferito a Roma, quindi insieme a lui, Apache, e un po' di persone facemmo questa crew. Anche in questo caso eravamo un gruppo di amici che passavano le serate insieme, non abbiamo mai avuto l'obiettivo di doverci allenare e spaccare in giro, era un vero e proprio concetto di crew. Dopo, unendoci alla crew di Blast, Mach e Maiki divenimmo i Flavor Kings. Infine, basta. Mi sono fermata lì. Poi, qualche anno fa sono andata a New York e sono entrata in contatto con la TBB (The Bronx Boys). Loro mi hanno chiesto di entrare a far parte del capitolo italiano, una questione che però è molto diversa dal concetto vero e proprio di crew.

Entrare in una crew credi che abbia modificato il tuo modo di fare breaking?

Si, tantissimo. Questo perché oltre al senso di appartenenza a un gruppo, ti fa aggiungere alla responsabilità che hai nei confronti di te stessa/o anche la responsabilità nei confronti dei tuoi fratelli e delle tue sorelle, e quindi quello che fai tu non lo fai più per rappresentare solo te stesso, ma anche la tua famiglia. Sei più motivato! Far parte di una crew fa la differenza: in primis dal punto di vista emotivo, poi anche da quello pratico.

In quali circostanze ti sei avvicinata alla TBB?

Sono entrata in contatto con loro nel 2014, quando andai a New York. Una volta arrivata incontrai un ragazzo di nome Slex - che purtroppo ci ha lasciato un paio d’anni fa - lui mi introdusse alla loro famiglia perché era fidanzato con una mia amica. Mi avvicinai al loro ambiente e iniziai a passare le giornate con loro. Una volta ricordo che andai con Slex in un negozio di street wear, mi chiamò e mi fece vedere una maglietta con sopra rappresentate tutte e quattro le discipline hip-hop, mi disse: "se la vuoi te la devi guadagnare", e allora cominciammo a sfidarci dentro questo negozio, con il commesso che stava lì fomentatissimo e ci guardava! (ride) Cose che puoi vivere solo a New York! Dopo questa sfida mi propose di entrare a far parte di questa grande famiglia, mi fece conoscere un po' di membri della TBB fra cui Abi, il presidente, e diciamo che da quel momento in poi siamo rimasti in contatto. Mi introdussero a Lello di Napoli che era già presidente della TBB italiana con cui iniziammo insieme a portare avanti alcuni progetti. Oggi facciamo parte anche di un altro collettivo di artisti hip-hop italiani che si chiama Hip Hopera Foundation, un'associazione che tende a promuovere il sociale attraverso le quattro discipline e la cultura hip-hop.

Cosa significa per te una crew? È un concetto che si è modificato nel tempo?

Si. Guarda per me il concetto di crew si è modificato già quando sono entrata nei Flavor Kings, perché era un insieme di persone formato solo per rappresentare ai contest, o con altri fini di questo genere. Era qualcosa di diverso rispetto al concetto di crew che avevo conSPQR, Fo Show e True Methods, ossia: un insieme di amici, una famiglia che fa cose insieme di tutti i tipi. Entrando in Flavor Kings ho sentito molto la differenza. Credo che il concetto di crew negli anni sia andato un po' a disperdersi in Italia. C'è stato un focalizzarsi di più sui due contro due, per non parlare di adesso che sono quasi tutti uno contro uno. Credo che in generale sia una cosa negativa perché il concetto di crew dovrebbe essere alla base del breaking e dell'hip-hop, la base fondamentale su cui ruota tutto. Il discorso per quanto riguarda TBB/TBG è diverso, perché ti senti appartenente a una crew internazionale e il tuo contribuito lo dai alla comunità hip-hop, anche se obiettivamente fai parte di una crew composta da tantissime persone, da tantissimi capitoli sparsi in giro per il mondo che tu non conosci di persona! Quindi è un concetto molto diverso rispetto a quello che ti ho detto prima. È più un sentirsi parte di una cultura che, innanzitutto, ha dato tantissimo a ognuno di noi. È stato un riconoscimento importante.

Vorrei introdurti un altro argomento. Spesso nel breaking sentiamo parlare del concetto di stile, un termine che nell'hip-hop ritroviamo un po' dappertutto. Secondo te, che cos'è lo stile nel breaking e perché è così importante nella cultura hip-hop?

Questo è un domandone. (ride) Per me lo stile non si distingue nel breaking e nella persona. Nella mia opinione lo stile è semplicemente lavorare tanto da dentro per far uscire chi sei tu veramente. Avere gli strumenti per far uscire chi sei tu in maniera pulita! Adesso ti spiego. Quando io ho cominciato a ballare era molto importante essere originale, anche adesso ovviamente, ma quando ho iniziato io era molto più importante quello che essere un "ufo che vola" (ride). Essere originale significa fare uscire veramente te stesso, perché non c'è un'altra persona come te in giro, quindi se tu riesci a far uscire la tua personalità tu sarai per forza originale perché non c'è un altro te, non c'è un tuo clone in giro per il mondo! Su questa tua originalità - che non devi andare a cercare fuori, ma dentro, con un percorso lungo e faticoso che può durare anni - devi costruire il tuo modo di ballare. Attraverso una ricerca interiore molto profonda fai uscire un movimento che veramente ti rappresenta. Devi cercare di pulire e lavorare sul movimento, sull'estetica - ma un movimento che ti appartiene, che ti esce dall'interno - quando riesci a raggiungerlo, a tirarlo fuori, quello per me è lo stile. Quindi, lo stile è la rappresentazione, l’esternazione - seguendo dei codici strutturali della pulizia dei movimenti - di quello che tu hai dentro e vuoi trasmettere come personalità. Quello che sei, espresso tramite il tuo modo di fare.

Credi che lo stile sia qualcosa di individuale, oppure di collettivo? Pensi possa esistere lo stile di una crew, o di una città? Quanto credi che le tue crew - o la tua città - abbiano influenzato la formazione del tuo stile personale?

Esiste un’influenza, ma perché esiste a prescindere nelle persone. Quando tu sei all'interno di una comunità e hai a che fare con un'altra persona entra in gioco una relazione. Nella relazione c'è uno scambio e in questo c'è per forza un dare e ricevere dall'altro. Per questo, spesso ci si ritrovare a vedere una crew - o una città - che è improntata più o meno sullo stesso mood. Più che stile di una città o di una nazione, è inevitabile dire che le persone di cui ti circondi sono persone che - in qualche modo - ti danno qualcosa e a cui tu dai qualcosa. Quindi, magari a Roma se è vero che esiste uno stile romano, non è che siccome tu sei romano prendi a prescindere quello stile! Tu sei protagonista della scena romana, e contribuisci attivamente a creare quel determinato stile, influenzando chi ti sta attorno.

Tu credi che esista, o sia mai esistito, uno stile romano?

Sai, io negli ultimi anni purtroppo mi sono distaccata dalla scena, quindi oggi non ti so dire. Però dal mio punto di vista ti dico no. Non c'era uno stile condiviso. Era più un insieme di persone che si trovavano a ballare, scambiandosi energie. Magari c'erano dei movimenti che venivano usati da tutti quanti, un modo di fare più comune a Roma, oppure a Napoli, però un vero e proprio stile non te lo potrei codificare. L'atteggiamento, invece, quello si. (ride)

In che senso?

L'atteggiamento del romano coatto inevitabilmente ci stava, quello si distingueva in giro, nelle jam e nei contest. Però non è un discorso di breaking e di b-boy, ma un discorso proprio cittadino, una cosa che ci portiamo appresso. Un atteggiamento romano inevitabilmente c'era, ma è un qualcosa di diverso dallo stile.

Qual è l’insieme di caratteristiche che dovrebbe possedere lo stile di un b-boy, o una b-girl?

La prima caratteristica che dovrebbe possedere un b-boy, o una b-girl, è quella di mettersi in gioco. Sia dal punto di vista fisico, cercando sempre di andare oltre quello che pensa sia il limite del momento; sia mettersi in gioco dal punto di vista emotivo, provando a sviluppare il movimento che rappresenti di più sé stesso. Cercare di concretizzare, di portare fuori l'impulso che ognuno di noiha dentro.

Credi che lo stile sia qualcosa che deve essere appreso, oppure è inventato?

Va appreso. Va appreso. Servono una serie di strumenti, ma non va appreso per imparare a fare quel determinato movimento! Va appresa la tecnica per imparare a far uscire il proprio stile. È diverso! Non si può insegnare lo stile, è impossibile insegnare lo stile. Non è una cosa che si può imparare da un insegnante, ma si può comprendere il codice per farlo uscire, le strutture che ti permettono di capire quale sia il tuo modo, lo studio che va bene sul tuo corpo. Quello che esiste è un serie di nozioni che ti possono dare delle strutture e dei concetti, però sono delle strutture universali che ognuno poi deve integrare con la propria personalità, per poter far uscire il proprio stile unico.

Tu balli da molti anni e hai vissuto molte scene differenti. Pensi che lo stile sia qualcosa di dinamico - che si trasforma nel tempo - oppure sia più statico, nel senso che rimane uguale a sé stesso con il passare degli anni? Credi che il tuo sia cambiato in qualche modo?

Si, il mio è cambiato. C'è stato proprio un momento in cui è cambiato. E questo è la conferma di quello che ti dicevo prima, per cui serve conoscere, avere delle nozioni base per poter poi lavorare e far uscire il proprio stile. Pensa che il mio modo di ballare cambiò con una frase - neanche diretta a me - di Next One, perché una sera, alla fine di una jam, si parlava delle b-girl e qualcuno gli chiese: "come possono migliorare le b-girl i propri footwork?" - perché c'era una cosa che accomunava all'epoca le b-girl, ossia quella di tenere il culo un po' basso - e lui rispose solo: "le ginocchia!" (mimando il gesto di tenerle basse). Mi si aprì un mondo! Il giorno dopo mi ritrovai da sola a provare a stare nella posizione del six step con le ginocchia leggermente più basse, verso il pavimento. Mi cambiò completamente l'assetto! Ricominciai a studiare le forme base, rimettendomi in gioco da zero. E da quel momento in poi iniziai a ballare in una maniera molto più fluida di come ballavo prima, il tutto per un piccolo dettaglio! Questo è proprio il concetto pratico di quello che ti dicevo prima: serve conoscere e avere chiara in testa una struttura, dei concetti su cui lavorare, dei concetti universali. Ognuno deve farli propri per far uscire il proprio stile. Ritornando alla domanda: per me lo stile è dinamico. È dinamico sia nella struttura dell'entrata, sia nell'evoluzione del tempo. Perché essendo lo stile la rappresentazione di te stesso, tu non sarai mai quello che sei adesso, o tra dieci anni, quindi è inevitabile doverlo adattare alla persona che diventi man mano, con tutta l'esperienza che ti porti alle spalle. Si trasforma perché noi ci trasformiamo.

Vorrei farti alcune domande relative a un’altra questione, quella dei contesti di pratica. Innanzitutto vorrei chiederti: che cos'è per te il cypher e che cosa rappresenta?

Allora, il cypher nel breakin è (pausa) o forse era, anzi, dovrebbe essere, il momento di celebrazione finale della vita di tutti i giorni. Ogni giorno i b-boy e le b-girl si allenavano e il cerchio era proprio il momento di condivisione estrema. Quell’istante in cui si celebrava la voglia di rivederci tutti quanti, di stare tutti insieme, di mostrare all'altro cosa si era imparato a fare. Capitava spesso che dopo una jam ci allenavano - come a Bologna che ti ritrovavi sotto alla stazione a ballare tutti insieme - e magari ti ritrovavi alla jam dopo che eri riuscito a fare un passo che lì ti stavi provando! Credo che il cypher sia il momento in cui si celebra la condivisione, lo scambio, l'energia, e soprattutto il senso di appartenenza alla stessa cosa. Perché il sapere che tu hai una famiglia in giro per il mondo, con cui condividi una cosa così importante, è una delle cose più forti di questa cultura. Ed è una cosa che io ho scoperto più nei viaggi extra-breaking, per farti capire! Mi sono ritrovata in Thailandia, una sera, a fare street show con i b-boy di Bangkok. A ballare tutti insieme, passando la serata! (ride) Pensa che feci tutto il giro dello stato e quando ritornai a Bangkok - durante questo viaggio con mio marito - i b-boy thailandesi mi ricontattarono perché volevano fare uno street show insieme a noi! Ci demmo appuntamento in un supermercato e mentre stavamo aspettando tutti gli altri, un ragazzo iniziò a fare turtle e un passante gli diede alcuni Baht, e pensa che lui questi soldi ce li diede a noi per farci pagare il taxi! Queste sono emozioni che non può eguagliare nessun contest vinto, quegli aneddoti che ti fanno capire perché ti sei innamorata di questa cultura, il perché continui a farlo anche a quaranta anni, con una figlia (ride).

Quali sono le differenze nel ballare in un cypher, oppure in un contest?

Quando balli in un cypher sei in una festa. Sei focalizzato su quello che fai, ma ti stai anche godendo il momento. Stai cazzeggiando con i tuoi amici, ma c'è anche adrenalina. Il contest, invece, è diverso. Sei focalizzato sull'obiettivo, è un po' estraniante. Quello che ti circonda passa in secondo piano, perché sei concentrato sul fatto che vuoi vincere. Nella jam e nel cerchio quello che nei contest è solo il contorno, è il motivo per cui tu sei lì. Di questo mi sono resa conto quando ho smesso di fare contest. C'è stato un periodo in cui mi sono dovuta prendere una disintossicazione da contest, perché iniziai a sentirmi persa in quell'ambiente, mi ero dimenticata il motivo per cui avevo iniziato a ballare. Questa cosa del dover per forza partecipare mi aveva un po' sopraffatto. Così, presi un po' di distacco dai contest - non dalle jam, che ancora oggi non vedo l'ora che ne organizzino una per andarci - e quando lo feci, mi resi conto di questa differenza importante.

C'è un modo in cui ti prepari prima di entrare nel cerchio?

Quello che faccio è cercare di farmi entrare dentro la musica prima di partire, perché sennò diventa difficile riprenderla dopo. Non c'è un modo specifico, dipende dalla situazione. Perché se è un cypher - ad esempio - è una festa, sei in una situazione in cui magari ti senti a tuo agio, circondato da persone che conosci. Magari in quel momento parte la musica, un pezzo fighissimo e neanche hai il tempo di pensare che vai nel cerchio! Oppure magari non stai facendo altro e stai aspettando semplicemente il tuo turno. Dipende da situazione a situazione.

Quanto credi sia importante per un b-boy, o una b-girl, il sapersi adattare a diverse situazioni e a diversi contesti di pratica?

Secondo me, è fondamentale! Riuscire ad adattarsi a tutti i tipi di contesto, a tutti i tipi di situazione, sia dal punto di vista della pavimentazione, sia a livello di diametro del cypher, sia dal punto di vista del contesto. Con tutto che poi effettivamente ognuno è libero di fare quello che vuole. Non mi sento di dire che i b-boy dovrebbero ballare in tutte le situazioni che gli capitano - da quelle più underground a quelle più commerciali - perché se un b-boy volesse rimanere nell'underground ha tutto il diritto di farlo! Diverso però è il discorso se si vuole ballare solo in situazioni commerciali, questo dal mio punto di vista non è accettabile. Se vuoi ballare unicamente sui palchi, in televisione, in situazioni con telecronisti e tutto, a me va bene! Sia chiaro, va bene! Non sono contro! Però devi portare estremo rispetto per quello che ci sta sotto, perché quello che è underground non sta sotto perché vale di meno, ma perché è la radice! La struttura! Perché se non ci fosse quellocrolleresti pure tu! Questo è il mio punto di vista per quanto riguarda i diversi contesti. Parlando di me personalmente, io ho sempre ballato in contesti diversi perché a me piace cambiare, sperimentare. Quindi per me è una cosa motivante, una sfida con me stessa. Dal concrete super "raw", al palcoscenico! A me piace mettermi in gioco in situazioni differenti, perché sono una persona curiosa, amo sperimentare.

Questo credi abbia modificato praticamente il tuo breaking?

Si, credo di si. Perché io poi mi sono ritrovata a lavorare con il mio breaking anche a teatro, una cosa che magari il b-boy più legato alla tradizione non farebbe, invece, a me è una cosa che è sempre piaciuta tanto. A teatro ho avuto l'occasione di poter lavorare su una forma, su dei movimenti che magari sono più poetici, che devono comunicare qualcosa, dei movimenti che magari non farei in un contest.  Però, si, aver provato differenti situazioni mi ha permesso di aprirmi a trecentosessanta gradi, sia da un punto di vista mentale, che nel movimento vero e proprio. Quando sei una persona tutto il tuo passato te lo porti sulle spalle, e in qualche modo - anche se non in maniera cosciente - te lo porti anche nel breaking. Assorbendolo negli anni prima o poi esce fuori, ma credo sia una cosa evidente soprattutto per chi ti guarda dall'esterno. Però, si, credo che tutto ciò che studi, anche se non lo fai intenzionalmente, in qualche modo ti rimane dentro! E ti influenzerà sempre nel momento in cui ti troverai a ballare.

Puoi dirmi qualcosa di più su Hip Hopera Foundation, il collettivo di cui fai parte?

Hip Hopera Foundation è un'associazione, un collettivo di teste hip-hop e non hip-hop - perché non per forza bisogna essere inseriti in una delle discipline per farne parte - che lavorano in progetti comuni legati al mondo sociale, utilizzando le quattro discipline dell'hip-hop. C'è un capitolo italiano e un altro inglese, molti operai - come ci chiamiamo noi - si trovano in Inghilterra, ma siamo sempre in contatto. Ci sono molti progetti che vengono portati avanti, quello di cui mi sto occupando attualmente io riguarda una miniserie animata che spiega l'hip-hop ai bambini, in cui c'è un personaggio che racconta un po’ la storia di questa cultura ai più giovani. Ci sono ragazzi che vanno nelle scuole, che cercano di entrare in contatto con realtà un po' più difficili, dando così il proprio contributo. Poi, ci sono altri che portano avanti una trasmissione radio. Ci sono molti progetti in costruzione, è un'associazione molto attiva. È una realtà relativamente nuova, iniziata nel 2018. Come soci puoi trovare di tutto: writer, MC, DJ, B-boy, ma anche semplici appassionati, non per forza persone che provengano dall'interno della scena.

Come ultima questione vorrei indagare un argomento spesso dibattuto all'interno dell'ambiente hip-hop, relativo alle questioni di genere. Secondo te, esiste una differenza di genere nel breaking? C’è differenza nel modo in cui dovrebbe ballare un b-boy, o una b-girl?

No, se la domanda me la metti così ti dico di no. O meglio, si. Ma perché ogni persona ha un modo diverso di ballare breaking. Non è un discorso di essere uomo o di essere donna, ma se sei una persona balli in un modo, altrimenti in un altro, ognuno dovrebbe ballare in maniera super personale. Questo è un concetto. Un altro concetto, invece, è che effettivamente - e non si può negare questa cosa - come caratteristiche fisiche gli uomini e le donne sono diversi. Ovviamente, anche tutti gli uomini e tutte le donne sono diversi tra di loro, ma è vero che statisticamente alcune cose ce l'abbiamo in comune solo tra donne, altre solo tra uomini e siamo inevitabilmente diversi, su questo non ci piove! Questo non significa che bisogna precludere a priori delle possibilità, però è anche vero che, secondo me, credo sia giusto adattare il proprio breaking alle proprie caratteristiche. Diciamo che differenze tra uomini e donne ci sono, questo è inevitabile - e magari qualche b-girl qui si arrabbierà pure - ma non possiamo negarle, perché altrimenti non risulteremmo credibili neanche in quello che noi vogliamo dire veramente, ossia: è vero che siamo diversi, ma il fatto di avere caratteristiche fisiche differenti non significa che una persona abbia più il diritto di un’altra di sviluppare il breaking, rappresentandolo come meglio crede. E, soprattutto, ognuno deve essere rispettato e riconosciuto allo stesso modo.

Invece, parlando di discriminazione, credi che nel breaking o nell'hip-hop ci sono - o ci siano stati - fenomeni di sessismo?

Si. Allora, nel percorso che ho vissuto io - parlandoti della mia esperienza personale - posso dirti che all'inizio, quando ho cominciato, questa discriminazione non l'ho mai sentita, anzi, sentivo un sincero supporto da parte della scena nei confronti delle b-girl. Poi, come ti ho già detto prima, è successo a un certo punto che si sono create delle situazioni in cui alcune b-girl della nuova generazione, anziché confrontarsi e allenarsi insieme come facevamo di solito - istigate da qualche b-boy della scena, perché era il periodo in cui bisognava stare "incazzati e competitivi” per forza - hanno iniziato a sentirsi più in competizione l'una con l'altra, scontrandosi, anziché fare gruppo. Si è perso qualcosa nell'ingranaggio. Ho cominciato a percepire - anche se personalmente non così tanto - che alcune b-girl avevano questo disagio. Alcune hanno smesso anche di ballare a causa di questi motivi. Non venivano valorizzate dalla scena, anzi, venivano denigrate. Io penso che aver cominciato a dividere i contest in categorie, se all'inizio era una roba figa - perché dava a tutti il giusto spazio per confrontarsi - credo che negli anni sia diventato deleterio. Perché se prima nei contest si stava tutti insieme, l'aver diviso i contest in b-boy e b-girl battle ha portato a una scissione ancora più netta. Quando arriva il momento delle b-girl le persone che si interessano all'evento sono sempre di meno. Molti b-boy neanche le guardano le sfide tra b-girl. Non c'è quasi più fisicamente il fatto di stare insieme. Questo, secondo me, ha peggiorato ancora di più la situazione nella scena. Dividere le categorie ha portato un danno sotto il punto di vista della comunità. Se vogliamo parlare dal punto di vista sportivo - parlando di "prestazioni" - può essere anche giusto, ma noi non possiamo scinderlo dalla parte culturale, emotiva, artistica, dell'hip-hop. Nell'arte non puoi fare distinzione. Nella danza non fai distinzione. Una cosa che io continuo sempre a supportare è che una categoria di contest che a me piace da morire: i "Bonnie and Clyde"! Perché sono situazioni più chill, si respira più un'atmosfera di festa. I b-boy e le b-girl ballano insieme e ogni sfida è mista. L'atmosfera che si respira è molto più leggera e ci sta comunque la voglia di vincere! Ma è un tipo di fuoco diverso, positivo, in cui torni a casa e senti di far parte di una grande famiglia. E questo credo sia importante.

Spesso si è discusso sul fatto che le b-girl non avessero molto spazio come giudici all'interno delle competizioni, tu cosa ne pensi?

Su questo sono d'accordissimo. Le b-girl dovrebbero essere presenti più spesso in giuria. Anche se una ragazza non ti fa una sequenza di power move estrema, magari riesce ad analizzare, a vedere, a capire la ricerca che si nasconde dietro un determinato passo, okey? Il punto di vista di una b-girl può apportare qualcosa che magari un b-boy, in quel momento, non riesce a vedere. Poi, sia chiaro, avere una b-girl in giuria solo per le "quote rosa" sono contraria! Perché sembrerebbe davvero una presa per il culo! Bisogna riconoscere il valore che può portare avere una b-girl in giuria, il punto di vista di una ragazza che è - inevitabilmente - importantissimo!

Pensi che il tuo essere donna abbia influito nella tua carriera nel mondo hip-hop?

Sicuramente, perché sono donna. (ride) Se fossi stata uomo avrei fatto, probabilmente, tutto un altro percorso. Quindi, assolutamente si. Una cosa che mi ha fatto tanto piacere - e di cui mi ritengo fortunata - è stata quella di iniziare nel periodo giusto. Questo mi ha fatto formare in un certo modo, ottenendo anche dei riconoscimenti importanti. Iniziare negli anni giusti mi ha permesso di non avere molti problemi come donna nel mondo dell'hip-hop. Non mi ha mai creato disagio con persone di un certo spessore, e se me l’ha creato è successo solo con uomini più incoscienti, o con ragazzetti che magari non hanno ancora la visione chiara, un insieme di persone che non meritano - per me - tutta questa considerazione. Devo dire che, nonostante io sia una donna, ho avuto l'opportunità e la fortuna di legare con tantissima gente in quest’ambiente, e di guadagnare il rispetto di moltissime persone che questo mondo se lo vivono real. Questa per me è la soddisfazione più grande.

Ho due ultime domande da farti. Per prima cosa volevo chiederti: sotto il tuo punto di vista, quali aspetti della scena hip-hop sono cambiati di più in tutti questi anni?

Ogni tempo ha del buono e del meno buono, questo c'è da dirlo. Non sono una di quelle persone che dice: “si stava meglio quando di stava peggio" (ride), in realtà è sempre tutto un'evoluzione! E ogni evoluzione si porta appresso dei cambiamenti positivi e negativi. Di bello prima c'era la genuinità, la spontaneità, la purezza, una cosa che si percepiva anche in un ambiente così ruvido, così immaturo. Di meno buono, quando ho cominciato io, forse c'era una certa chiusura mentale. Nel senso che c'era estrema chiusura nei confronti di qualsiasi cosa fosse extra hip-hop, che non fosse totalmente underground. Diciamo che anche la palestra era vissuta male! I corsi in palestra erano considerati in modo negativo. Ti dovevi sbattere per strada far vedere a chi ballava da più tempo che ci tenevi davvero a fare quella cosa, e se qualcuno ti vedeva e decideva di darti una mano, veniva lì da te - se te lo meritavi - e ti dava la dritta! Così era all’inizio: molto, molto chiuso!

Per fortuna, secondo me, questa cosa oggi si è molto ammorbidita. Poi, ovviamente, ci dovrebbe essere sempre un certo limite da non superare, però da questo punto di vista negli anni la scena è cambiata. Una volta si facevano un sacco di problemi nel portare il breaking al teatro, anche se era una cosa di cui io avevo sempre avuto il desiderio! Per fortuna questa mentalità si è aperta, dando tantissime opportunità a molte persone. Quello che dico sempre io, è che credo sia importante che lo faccia qualcuno che ne sappia davvero, che conosce la cultura. Che il breaking non venga preso da qualcuno di esterno che lo porta solo perché fa figo. No, questo è sbagliatissimo! Se tu hai vissuto la scena puoi portare il tuo punto di vista, facendolo conoscere anche in contesti differenti, mantenendo - ovviamente - sempre estremo rispetto per quello che c'era prima, per la situazione da cui provieni! Per l’origine! Quindi, se vogliamo parlare di differenze, ti dico che prima era molto più bello, genuino, puro, di adesso, però era anche molto più chiuso. Adesso è aperto, ma è anche disperso, il che non è un bene! Disperso vuol dire che stai vagando, che c'è un po' di confusione. Dal punto di vista tecnico, invece, oggi è tutta un'altra cosa, ovviamente. I mezzi a disposizione e l'evoluzione della disciplina hanno portato a un livello veramente, veramente più alto. E questo è un dato di fatto.

In base a tutta la tua esperienza, ai viaggi che hai fatto e alle innumerevoli situazioni che hai vissuto: credi chel'hip-hop sia uno, oppure ne esistono tante tipologie diverse?

Secondo me, l'hip-hop è uno. Questo perché ovunque sono andata nel mondo - anche quando non viaggiavo per il breaking, ma stavo per conto mio - ogni volta che mi sono ritrovata in una situazione hip-hop ho respirato sempre la stessa aria, provando le stesse sensazioni. Con mio marito abbiamo fatto il viaggio di nozze in Madagascar, un viaggio di nozze un po' alternativo (ride). Mi sono ritrovata in un villaggio con dei ragazzini africani che ballavano le loro danze, e abbiamo iniziato a fare un cerchio con la loro musica. A un certo punto uno di loro è venuto verso di me - perché ha visto che mi stavo muovendo - e ha fatto il suo ballo, poi si è fermato in freeze. A quel punto anche io ho fatto un'entrata e in quel momento è scattato il delirio! Ci siamo ritrovati a fare una jam, un cerchio, con tutti questi piccoli b-boy: c'è chi faceva alcuni passi e chi rispondeva con le loro danze tradizionali. È stata una situazione, uno scambio, un'energia pazzesca! Lo stesso scambio di energia che ho provato quando sono andata alle Canarie e mi hanno sfidato i b-boy locali, portandomi a fare un contest insieme a loro.

Quando si crea una sinergia tale per cui hai un'euforia e un affetto condiviso, sentendoti parte della stessa cosa, quello significa che tu stai vivendo l'hip-hop. Poi, può prendere tante sfaccettature diverse, lo puoi vivere in tanti contesti diversi, lo puoi fare in mille modi diversi, ma quando senti quell'energia lì vuol dire che tu lo stai vivendo sul serio. Perché l'hip-hop è questo.

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Nona Intervista a Daniela Cono aka B.Girl Dany

Intervista dell'autore Jacopo Ferri

Foto di Gloria Viggiani

Quando hai iniziato a ballare breaking e in quale città?

Ufficialmente ho iniziato nel 1998, a Roma. In realtà la mia ricerca nel breaking inizia dal 1993-1994, però all'epoca non si vedevano b-boy in giro, erano proprio delle talpe nascoste. Io a quel tempo ero piccolissima, avevo tredici anni, non potevo andare a scovarli, sono stata i primi quattro anni alla ricerca di qualcuno, ma senza successo. Pensa che mi sono spulciata tutte le pagine gialle, all’epoca, per provare a trovare una palestra dove qualcuno insegnava break dance! Ne trovai una che faceva lezioni di sera e riuscii a convincere mio padre a portarmi a fare la lezione di prova. Purtroppo, fu l'unica volta in cui l'insegnante in questione non era potuto andare a lezione! (ride) Assurdo! Pensa che io dopo anni - quando ho avuto la fortuna di conoscere Gerardo con cui ho iniziato a ballare - tornai proprio in quella palestra lì, scoprendo che era il luogo dove insegnava Crash Kid! Io di sguincio, diciamo, non sono riuscita a incontrarlo. Era l'insegnante che quella sera non era andato a fare lezione! Dopo anni di ricerche fallite, nel 1998, per caso, vidi un ragazzino a una festa fare un po' di top rock, un chair freeze e un six step, lo fermai subito e gli dissi: "Adesso tu mi dici dove vi allenate!", e mi portò da Gerardo. Da lì ho iniziato a conoscere la scena e tutto l'ambiente.

Il primo contatto, quindi, è avvenuto di persona.

Si! I social, internet, non esistevano minimamente. (ride) Il primo contatto ce l'ho avuto dal vivo, anche se me ne aveva già parlato una ragazza in terza media che mi aveva fatto vedere alcuni video su MTV, ma niente di particolare. Tuttavia, rimasi affascinata da questa cosa e un po' di tempo dopo trovai un giornale che si chiamava: BREAK DANCE, credo di averlo ancora, ma non so dove! Sai che a inizio anni '80 questa danza era andata di moda anche in Italia con film come Wild Style, e questa rivista era di quegli anni lì! In pratica c'erano tutte immagini di b-boy in cui spiegavano alcuni passi e io provavo a casa a rifarli da sola. (Tutto questo prima di iniziare a ballare con Gerardo?Si, si, prima!) Rimasi così colpita che fui costretta a cercare qualcuno che mi indirizzasse su questa strada.

Praticamente hai iniziato a ballare in palestra?

No, io conobbi Gerardo, lui insegnava nelle palestre, però da subito abbiamo iniziato ad allenarci per strada dove ci si allenava all'epoca: al Foro Italico, oppure a Galleria Colonna anche se lì già stava iniziando a disgregarsi la situazione. Poi, siccome Gerardo aveva una palestra in cui insegnava, noi - intendo me, Apache e Il Testina - lo seguivamo per avere uno spazio in cui andarci ad allenare, però non ballavamo solo in palestra. Diciamo che abbiamo iniziato contemporaneamente per strada e in palestra, ovunque ci fosse spazio!

Quando tu hai iniziato a ballare c'era una scena hip-hop già avviata a Roma?

Si! C'era una scena avviata. Considera che io ho iniziato a febbraio del 1998, a novembre del 1997 è morto Crash Kid, quindi io ti lascio immaginare in che situazione sono entrata. Era una scena molto avviata, perché l'aveva creata il Crash. Quando ho iniziato ho sentito il riflesso di quello che aveva lasciato lui, poi iniziando con Gerardo - che all'epoca era molto legato a Serio, a Tim, la prima generazione Urban Force - ci sono entrata subito con tutti e due i piedi, e devo dire che oltre a essere una scena già avviata era anche molto bella. Quando ho iniziato quegli anni sono stati bellissimi, perché oltre ad aver trovato quello che volevo fare dopo quattro anni di ricerca, non mi deluse minimamente, anzi! Io ero rimasta affascinata dalla danza, ma poi entrando nell'ambiente scoprii l'hip-hop a trecentosessanta gradi, dal momento che in quegli anni si viveva davvero la cultura in modo totale!

Come era l'ambiente romano sotto questo punto di vista? Le discipline erano connesse?

Si, le discipline erano connesse! All'epoca era proprio Gerardo che organizzava le jam più importanti. Jam, sia chiaro, non c'erano contest, non c'erano battle, c'erano solo queste mega feste che però venivano frequentate spesso da persone che veniva anche da fuori Roma, c'era la famosa chiamata di Gerardo che faceva riunire tutti: all'Intifada, o da altre parti, ce ne sono state parecchie! Ovviamente, per ogni jam ci stavano gli MC: c'era il Piotta, c'era tutta quella serie di persone che frequentavano l’ambiente, ci si radunava e si stava insieme.

Mi hai detto che la morte di Crash Kid ha influenzato molto la scena di Roma a quel tempo, puoi dirmi qualcosa di più riguardo questo argomento?

Guarda, io purtroppo non l'ho conosciuto, ci siamo a malapena sfiorati. Non sono riuscita a incontrarlo dal vivo perché ho iniziato a ballare alcuni mesi dopo che è morto, e perché quattro anni prima - per puro caso - non riuscii a incontrarlo in quella palestra! Quello che ho sentito dire è che in quel periodo Crash Kid lavorava molto con quella che era la nuova generazione dell’epoca. Io frequentavo Gerardo, Serio e tutti quanti loro, così ho sentito molto la presenza di questo personaggio, anche negli insegnamenti. Ricordo una cosa che mi ha commosso: sotto il ponte Marconi - dove poi fecero la jam - c'era un graffito con il suo viso, in suo onore. Ricordo che un giorno Gerardo mi portò lì per fare la presentazione ufficiale con lui, dicendomi che era stato un peccato che io non l'avessi mai conosciuto. Mi disse che per Crash Kid sarebbe stato un motivo di orgoglio vedere una ragazza che si faceva un mazzo enorme per questa cosa, perché io mi ci dedicavo giorno e notte all'epoca, con il doppio della tigna che deve avere una ragazza in questo ambiente! A quel tempo una persona che si faceva in quattro per cercare di imparare, di rappresentare in quell'ambiente, di mettersi in gioco, veniva accolta! E questa è una cosa bellissima che io ho avuto la fortuna di vivere iniziando a ballare in quegli anni.

Sei riuscita a integrarti subito nella scena?

Si. Devo essere sincera, sono stata molto fortunata perché mi hanno accolto bene tutti. Forse sono stata accettata perché hanno visto che non ero entrata perché ero la fidanzata di qualcuno, o perché per me era una moda, ma proprio perché mi piaceva! Mi ci ammazzavo! Lividi, escoriazione, tutto quello che si poteva fare io lo facevo con la foga e la gioia di farlo! Essere accolta in questa situazione mi fece venire ancora più voglia di mettermi in gioco, di impegnarmi, facendo vedere che realmente io meritavo quel posto! Che mi meritavo di stare lì in mezzo!

La scena era accogliente in quegli anni? C'era condivisione, o più conflittualità tra le crew?

Allora, secondo me - poi ti parlo sempre del modo in cui io percepivo le cose all'epoca - la scena era molto più unita! Se io ci ripenso mi viene proprio la pelle d'oca. Quando prendevamo il treno per andare a Firenze - o da qualche altra parte a fare un evento - era una situazione in cui entravi in una festa: c'erano molte crew e ci si voleva bene. C'era questa cosa del volersi bene, e quando vedevi qualcuno che non era della tua città - e ti ci potevi confrontare solo una volta ogni tanto - c'era questa cosa del non vedere l'ora di mostrare cosa avevi imparato! Era un confronto bellissimo.

Quindi, da questo punto di vista c'era molto di più il senso di appartenenza alla stessa famiglia, anche se dall'altro lato era molto più grezzo. Cioè: se ti stava sul cazzo qualcuno, ti stava sul cazzo davvero (ride). Non è che stavi lì a dire troppe cose, a fare le mosse, ci si menava e basta. Era proprio greve! Però a prescindere da questo, quando ci stava davvero la voglia di condividere e di stare insieme, non c'era il finto: "ti rompo il culo e poi siamo amici", c'era il "ti faccio vedere quanto spacco", ognuno voleva mostrare quanto si era impegnato per arrivare a fare quel passo nuovo. C'era il fomento e un confronto costruttivo, della serie: "bella questa cosa che hai fatto, adesso ne faccio una meglio!”, però, con il sorriso! Era bello.Se devo dire la verità, per me, i primi anni sono stati i migliori!

Questa situazione che mi hai descritto era caratteristica di Roma, oppure la trovavi un po' in tutta Italia?

No, no, io la vedevo in giro. Anche quando nel 1999 - o nel 2000 non ricordo - andammo al B-boy Event a Bologna la situazione che trovavi era questa. Sai, all'inizio c'erano molte meno persone: meno b-boy, le b-girl neanche te lo dico, le contavi sulla punta delle dita! Quando ci riunivamo, ovunque fosse, l’atmosfera era sempre la stessa.

Praticavi altre discipline hip-hop oltre il breaking?

Praticavo nel senso che stavamo sempre tutti insieme, ma no. Ho provato - ovviamente si prova tutto (ride) - perché il bello era pure quello: il sentirti parte di una cultura, anche se magari rappresentavi e portavi la bandiera di una sola disciplina. Però, no, dal punto di vista della arti praticate ho sempre portato avanti solo il breaking.

Quando è stata la prima volta che sei entrata in una crew?

Allora, la mia prima, prima crew è stata SPQR (Style Power Quality Rome), che poi tanti anni dopo con lo stesso nome ci fecero un contest all'Air Terminal che negli anni divenne importante. Tra gli organizzatori c'era Luigi Orgh che mi disse di aver pensato il nome inspirandosi alla prima crew di Gerardo, in cui eravamo in quattro: Gerardo, io, Apache e Daniele - il cugino di Gerardo che però si staccò molto presto dalla scena - con loro era come una famiglia. Gerardo era il nostro guru perché ballava da più tempo, era il più anziano. Come SPQR partecipammo anche al B-boy Event di Bologna che aveva come selezione una coreografia. Questa è stata la mia prima crew. Dopodiché, sono stata un paio di anni fuori dalla scena, tra il 2001 e il 2003, e quando ci sono rientrata ho conosciuto la nuova generazione di b-girl che nel frattempo avevano iniziato a ballare, ed erano: Giulia Chimp, Jessica, Corinne, Livia, insomma, quando sono rientrata nell'ambiente conobbi queste ragazze e iniziando ad allenarci insieme mi chiesero di fondare una crew di b-girl: così nacque la FoShow, una crew che ci siamo portate avanti per molto tempo, e che portiamo ancora nel nostro cuore anche se quasi tutte hanno smesso di ballare. Quella è stata la prima crew tutta al femminile.

Tutta al femminile per scelta, oppure è capitato?

Diciamo che è stata una conseguenza naturale anche quella. Eravamo un gruppo di ragazze che si allenavano insieme ed erano diventate amiche, quindi, è nata in maniera spontanea, come dovrebbe nascere qualsiasi crew! Dopo che ti conosci, balli, diventi amico, diventi un fratello, una sorella, hai gli stessi obiettivi, alla fine ti ritrovi una crew intorno senza nemmeno averci fatto caso. Però - in questa situazione in particolare - ti posso dire che per le ragazze che mi hanno chiesto di fare questo gruppo era importante, perché stava già cominciando il periodo in cui le ragazze venivano considerate un po' di meno nella scena, e stare tutte insieme era motivo di forza in un ambiente diventato un po' più maschilista. Una cosa che quando ho iniziato a ballare io non esisteva minimamente!

Questo cambiamento nella scena è avvenuto negli anni?

Si, è avvenuto negli anni. Io, considerando il mio percorso, ti posso dire che quando ho cominciato vedere una b-girl ballare sembrava una questione di orgoglio, ma forse perché all'epoca non ci si poteva avvicinare giusto per moda, lo facevi perché davvero avevi la tigna, quindi le poche b-girl che c'erano, erano tutte rispettate! Poi, quando sono uscita dalla scena un paio d'anni - e non so bene cosa sia successo - ho visto crescere moltissimo il numero di b-girl, iniziando a percepire - allo stesso tempo - anche questa situazione di dislivello, di conflittualità e poco riconoscimento. Ripeto: una cosa che prima non c'era.


Su questo argomento poi ci ritorniamo. Riprendendo il discorso delle crew, invece, come si è evoluta poi la tua storia?

Dopo la Fo-Show è iniziato il periodo dei True Methods. Foglia si era trasferito a Roma, quindi insieme a lui, Apache, e un po' di persone facemmo questa crew. Anche in questo caso eravamo un gruppo di amici che passavano le serate insieme, non abbiamo mai avuto l'obiettivo di doverci allenare e spaccare in giro, era un vero e proprio concetto di crew. Dopo, unendoci alla crew di Blast, Mach e Maiki divenimmo i Flavor Kings. Infine, basta. Mi sono fermata lì. Poi, qualche anno fa sono andata a New York e sono entrata in contatto con la TBB (The Bronx Boys). Loro mi hanno chiesto di entrare a far parte del capitolo italiano, una questione che però è molto diversa dal concetto vero e proprio di crew.

Entrare in una crew credi che abbia modificato il tuo modo di fare breaking?

Si, tantissimo. Questo perché oltre al senso di appartenenza a un gruppo, ti fa aggiungere alla responsabilità che hai nei confronti di te stessa/o anche la responsabilità nei confronti dei tuoi fratelli e delle tue sorelle, e quindi quello che fai tu non lo fai più per rappresentare solo te stesso, ma anche la tua famiglia. Sei più motivato! Far parte di una crew fa la differenza: in primis dal punto di vista emotivo, poi anche da quello pratico.

In quali circostanze ti sei avvicinata alla TBB?

Sono entrata in contatto con loro nel 2014, quando andai a New York. Una volta arrivata incontrai un ragazzo di nome Slex - che purtroppo ci ha lasciato un paio d’anni fa - lui mi introdusse alla loro famiglia perché era fidanzato con una mia amica. Mi avvicinai al loro ambiente e iniziai a passare le giornate con loro. Una volta ricordo che andai con Slex in un negozio di street wear, mi chiamò e mi fece vedere una maglietta con sopra rappresentate tutte e quattro le discipline hip-hop, mi disse: "se la vuoi te la devi guadagnare", e allora cominciammo a sfidarci dentro questo negozio, con il commesso che stava lì fomentatissimo e ci guardava! (ride) Cose che puoi vivere solo a New York! Dopo questa sfida mi propose di entrare a far parte di questa grande famiglia, mi fece conoscere un po' di membri della TBB fra cui Abi, il presidente, e diciamo che da quel momento in poi siamo rimasti in contatto. Mi introdussero a Lello di Napoli che era già presidente della TBB italiana con cui iniziammo insieme a portare avanti alcuni progetti. Oggi facciamo parte anche di un altro collettivo di artisti hip-hop italiani che si chiama Hip Hopera Foundation, un'associazione che tende a promuovere il sociale attraverso le quattro discipline e la cultura hip-hop.

Cosa significa per te una crew? È un concetto che si è modificato nel tempo?

Si. Guarda per me il concetto di crew si è modificato già quando sono entrata nei Flavor Kings, perché era un insieme di persone formato solo per rappresentare ai contest, o con altri fini di questo genere. Era qualcosa di diverso rispetto al concetto di crew che avevo conSPQR, Fo Show e True Methods, ossia: un insieme di amici, una famiglia che fa cose insieme di tutti i tipi. Entrando in Flavor Kings ho sentito molto la differenza. Credo che il concetto di crew negli anni sia andato un po' a disperdersi in Italia. C'è stato un focalizzarsi di più sui due contro due, per non parlare di adesso che sono quasi tutti uno contro uno. Credo che in generale sia una cosa negativa perché il concetto di crew dovrebbe essere alla base del breaking e dell'hip-hop, la base fondamentale su cui ruota tutto. Il discorso per quanto riguarda TBB/TBG è diverso, perché ti senti appartenente a una crew internazionale e il tuo contribuito lo dai alla comunità hip-hop, anche se obiettivamente fai parte di una crew composta da tantissime persone, da tantissimi capitoli sparsi in giro per il mondo che tu non conosci di persona! Quindi è un concetto molto diverso rispetto a quello che ti ho detto prima. È più un sentirsi parte di una cultura che, innanzitutto, ha dato tantissimo a ognuno di noi. È stato un riconoscimento importante.

Vorrei introdurti un altro argomento. Spesso nel breaking sentiamo parlare del concetto di stile, un termine che nell'hip-hop ritroviamo un po' dappertutto. Secondo te, che cos'è lo stile nel breaking e perché è così importante nella cultura hip-hop?

Questo è un domandone. (ride) Per me lo stile non si distingue nel breaking e nella persona. Nella mia opinione lo stile è semplicemente lavorare tanto da dentro per far uscire chi sei tu veramente. Avere gli strumenti per far uscire chi sei tu in maniera pulita! Adesso ti spiego. Quando io ho cominciato a ballare era molto importante essere originale, anche adesso ovviamente, ma quando ho iniziato io era molto più importante quello che essere un "ufo che vola" (ride). Essere originale significa fare uscire veramente te stesso, perché non c'è un'altra persona come te in giro, quindi se tu riesci a far uscire la tua personalità tu sarai per forza originale perché non c'è un altro te, non c'è un tuo clone in giro per il mondo! Su questa tua originalità - che non devi andare a cercare fuori, ma dentro, con un percorso lungo e faticoso che può durare anni - devi costruire il tuo modo di ballare. Attraverso una ricerca interiore molto profonda fai uscire un movimento che veramente ti rappresenta. Devi cercare di pulire e lavorare sul movimento, sull'estetica - ma un movimento che ti appartiene, che ti esce dall'interno - quando riesci a raggiungerlo, a tirarlo fuori, quello per me è lo stile. Quindi, lo stile è la rappresentazione, l’esternazione - seguendo dei codici strutturali della pulizia dei movimenti - di quello che tu hai dentro e vuoi trasmettere come personalità. Quello che sei, espresso tramite il tuo modo di fare.

Credi che lo stile sia qualcosa di individuale, oppure di collettivo? Pensi possa esistere lo stile di una crew, o di una città? Quanto credi che le tue crew - o la tua città - abbiano influenzato la formazione del tuo stile personale?

Esiste un’influenza, ma perché esiste a prescindere nelle persone. Quando tu sei all'interno di una comunità e hai a che fare con un'altra persona entra in gioco una relazione. Nella relazione c'è uno scambio e in questo c'è per forza un dare e ricevere dall'altro. Per questo, spesso ci si ritrovare a vedere una crew - o una città - che è improntata più o meno sullo stesso mood. Più che stile di una città o di una nazione, è inevitabile dire che le persone di cui ti circondi sono persone che - in qualche modo - ti danno qualcosa e a cui tu dai qualcosa. Quindi, magari a Roma se è vero che esiste uno stile romano, non è che siccome tu sei romano prendi a prescindere quello stile! Tu sei protagonista della scena romana, e contribuisci attivamente a creare quel determinato stile, influenzando chi ti sta attorno.

Tu credi che esista, o sia mai esistito, uno stile romano?

Sai, io negli ultimi anni purtroppo mi sono distaccata dalla scena, quindi oggi non ti so dire. Però dal mio punto di vista ti dico no. Non c'era uno stile condiviso. Era più un insieme di persone che si trovavano a ballare, scambiandosi energie. Magari c'erano dei movimenti che venivano usati da tutti quanti, un modo di fare più comune a Roma, oppure a Napoli, però un vero e proprio stile non te lo potrei codificare. L'atteggiamento, invece, quello si. (ride)

In che senso?

L'atteggiamento del romano coatto inevitabilmente ci stava, quello si distingueva in giro, nelle jam e nei contest. Però non è un discorso di breaking e di b-boy, ma un discorso proprio cittadino, una cosa che ci portiamo appresso. Un atteggiamento romano inevitabilmente c'era, ma è un qualcosa di diverso dallo stile.

Qual è l’insieme di caratteristiche che dovrebbe possedere lo stile di un b-boy, o una b-girl?

La prima caratteristica che dovrebbe possedere un b-boy, o una b-girl, è quella di mettersi in gioco. Sia dal punto di vista fisico, cercando sempre di andare oltre quello che pensa sia il limite del momento; sia mettersi in gioco dal punto di vista emotivo, provando a sviluppare il movimento che rappresenti di più sé stesso. Cercare di concretizzare, di portare fuori l'impulso che ognuno di noiha dentro.

Credi che lo stile sia qualcosa che deve essere appreso, oppure è inventato?

Va appreso. Va appreso. Servono una serie di strumenti, ma non va appreso per imparare a fare quel determinato movimento! Va appresa la tecnica per imparare a far uscire il proprio stile. È diverso! Non si può insegnare lo stile, è impossibile insegnare lo stile. Non è una cosa che si può imparare da un insegnante, ma si può comprendere il codice per farlo uscire, le strutture che ti permettono di capire quale sia il tuo modo, lo studio che va bene sul tuo corpo. Quello che esiste è un serie di nozioni che ti possono dare delle strutture e dei concetti, però sono delle strutture universali che ognuno poi deve integrare con la propria personalità, per poter far uscire il proprio stile unico.

Tu balli da molti anni e hai vissuto molte scene differenti. Pensi che lo stile sia qualcosa di dinamico - che si trasforma nel tempo - oppure sia più statico, nel senso che rimane uguale a sé stesso con il passare degli anni? Credi che il tuo sia cambiato in qualche modo?

Si, il mio è cambiato. C'è stato proprio un momento in cui è cambiato. E questo è la conferma di quello che ti dicevo prima, per cui serve conoscere, avere delle nozioni base per poter poi lavorare e far uscire il proprio stile. Pensa che il mio modo di ballare cambiò con una frase - neanche diretta a me - di Next One, perché una sera, alla fine di una jam, si parlava delle b-girl e qualcuno gli chiese: "come possono migliorare le b-girl i propri footwork?" - perché c'era una cosa che accomunava all'epoca le b-girl, ossia quella di tenere il culo un po' basso - e lui rispose solo: "le ginocchia!" (mimando il gesto di tenerle basse). Mi si aprì un mondo! Il giorno dopo mi ritrovai da sola a provare a stare nella posizione del six step con le ginocchia leggermente più basse, verso il pavimento. Mi cambiò completamente l'assetto! Ricominciai a studiare le forme base, rimettendomi in gioco da zero. E da quel momento in poi iniziai a ballare in una maniera molto più fluida di come ballavo prima, il tutto per un piccolo dettaglio! Questo è proprio il concetto pratico di quello che ti dicevo prima: serve conoscere e avere chiara in testa una struttura, dei concetti su cui lavorare, dei concetti universali. Ognuno deve farli propri per far uscire il proprio stile. Ritornando alla domanda: per me lo stile è dinamico. È dinamico sia nella struttura dell'entrata, sia nell'evoluzione del tempo. Perché essendo lo stile la rappresentazione di te stesso, tu non sarai mai quello che sei adesso, o tra dieci anni, quindi è inevitabile doverlo adattare alla persona che diventi man mano, con tutta l'esperienza che ti porti alle spalle. Si trasforma perché noi ci trasformiamo.

Vorrei farti alcune domande relative a un’altra questione, quella dei contesti di pratica. Innanzitutto vorrei chiederti: che cos'è per te il cypher e che cosa rappresenta?

Allora, il cypher nel breakin è (pausa) o forse era, anzi, dovrebbe essere, il momento di celebrazione finale della vita di tutti i giorni. Ogni giorno i b-boy e le b-girl si allenavano e il cerchio era proprio il momento di condivisione estrema. Quell’istante in cui si celebrava la voglia di rivederci tutti quanti, di stare tutti insieme, di mostrare all'altro cosa si era imparato a fare. Capitava spesso che dopo una jam ci allenavano - come a Bologna che ti ritrovavi sotto alla stazione a ballare tutti insieme - e magari ti ritrovavi alla jam dopo che eri riuscito a fare un passo che lì ti stavi provando! Credo che il cypher sia il momento in cui si celebra la condivisione, lo scambio, l'energia, e soprattutto il senso di appartenenza alla stessa cosa. Perché il sapere che tu hai una famiglia in giro per il mondo, con cui condividi una cosa così importante, è una delle cose più forti di questa cultura. Ed è una cosa che io ho scoperto più nei viaggi extra-breaking, per farti capire! Mi sono ritrovata in Thailandia, una sera, a fare street show con i b-boy di Bangkok. A ballare tutti insieme, passando la serata! (ride) Pensa che feci tutto il giro dello stato e quando ritornai a Bangkok - durante questo viaggio con mio marito - i b-boy thailandesi mi ricontattarono perché volevano fare uno street show insieme a noi! Ci demmo appuntamento in un supermercato e mentre stavamo aspettando tutti gli altri, un ragazzo iniziò a fare turtle e un passante gli diede alcuni Baht, e pensa che lui questi soldi ce li diede a noi per farci pagare il taxi! Queste sono emozioni che non può eguagliare nessun contest vinto, quegli aneddoti che ti fanno capire perché ti sei innamorata di questa cultura, il perché continui a farlo anche a quaranta anni, con una figlia (ride).

Quali sono le differenze nel ballare in un cypher, oppure in un contest?

Quando balli in un cypher sei in una festa. Sei focalizzato su quello che fai, ma ti stai anche godendo il momento. Stai cazzeggiando con i tuoi amici, ma c'è anche adrenalina. Il contest, invece, è diverso. Sei focalizzato sull'obiettivo, è un po' estraniante. Quello che ti circonda passa in secondo piano, perché sei concentrato sul fatto che vuoi vincere. Nella jam e nel cerchio quello che nei contest è solo il contorno, è il motivo per cui tu sei lì. Di questo mi sono resa conto quando ho smesso di fare contest. C'è stato un periodo in cui mi sono dovuta prendere una disintossicazione da contest, perché iniziai a sentirmi persa in quell'ambiente, mi ero dimenticata il motivo per cui avevo iniziato a ballare. Questa cosa del dover per forza partecipare mi aveva un po' sopraffatto. Così, presi un po' di distacco dai contest - non dalle jam, che ancora oggi non vedo l'ora che ne organizzino una per andarci - e quando lo feci, mi resi conto di questa differenza importante.

C'è un modo in cui ti prepari prima di entrare nel cerchio?

Quello che faccio è cercare di farmi entrare dentro la musica prima di partire, perché sennò diventa difficile riprenderla dopo. Non c'è un modo specifico, dipende dalla situazione. Perché se è un cypher - ad esempio - è una festa, sei in una situazione in cui magari ti senti a tuo agio, circondato da persone che conosci. Magari in quel momento parte la musica, un pezzo fighissimo e neanche hai il tempo di pensare che vai nel cerchio! Oppure magari non stai facendo altro e stai aspettando semplicemente il tuo turno. Dipende da situazione a situazione.

Quanto credi sia importante per un b-boy, o una b-girl, il sapersi adattare a diverse situazioni e a diversi contesti di pratica?

Secondo me, è fondamentale! Riuscire ad adattarsi a tutti i tipi di contesto, a tutti i tipi di situazione, sia dal punto di vista della pavimentazione, sia a livello di diametro del cypher, sia dal punto di vista del contesto. Con tutto che poi effettivamente ognuno è libero di fare quello che vuole. Non mi sento di dire che i b-boy dovrebbero ballare in tutte le situazioni che gli capitano - da quelle più underground a quelle più commerciali - perché se un b-boy volesse rimanere nell'underground ha tutto il diritto di farlo! Diverso però è il discorso se si vuole ballare solo in situazioni commerciali, questo dal mio punto di vista non è accettabile. Se vuoi ballare unicamente sui palchi, in televisione, in situazioni con telecronisti e tutto, a me va bene! Sia chiaro, va bene! Non sono contro! Però devi portare estremo rispetto per quello che ci sta sotto, perché quello che è underground non sta sotto perché vale di meno, ma perché è la radice! La struttura! Perché se non ci fosse quellocrolleresti pure tu! Questo è il mio punto di vista per quanto riguarda i diversi contesti. Parlando di me personalmente, io ho sempre ballato in contesti diversi perché a me piace cambiare, sperimentare. Quindi per me è una cosa motivante, una sfida con me stessa. Dal concrete super "raw", al palcoscenico! A me piace mettermi in gioco in situazioni differenti, perché sono una persona curiosa, amo sperimentare.

Questo credi abbia modificato praticamente il tuo breaking?

Si, credo di si. Perché io poi mi sono ritrovata a lavorare con il mio breaking anche a teatro, una cosa che magari il b-boy più legato alla tradizione non farebbe, invece, a me è una cosa che è sempre piaciuta tanto. A teatro ho avuto l'occasione di poter lavorare su una forma, su dei movimenti che magari sono più poetici, che devono comunicare qualcosa, dei movimenti che magari non farei in un contest.  Però, si, aver provato differenti situazioni mi ha permesso di aprirmi a trecentosessanta gradi, sia da un punto di vista mentale, che nel movimento vero e proprio. Quando sei una persona tutto il tuo passato te lo porti sulle spalle, e in qualche modo - anche se non in maniera cosciente - te lo porti anche nel breaking. Assorbendolo negli anni prima o poi esce fuori, ma credo sia una cosa evidente soprattutto per chi ti guarda dall'esterno. Però, si, credo che tutto ciò che studi, anche se non lo fai intenzionalmente, in qualche modo ti rimane dentro! E ti influenzerà sempre nel momento in cui ti troverai a ballare.

Puoi dirmi qualcosa di più su Hip Hopera Foundation, il collettivo di cui fai parte?

Hip Hopera Foundation è un'associazione, un collettivo di teste hip-hop e non hip-hop - perché non per forza bisogna essere inseriti in una delle discipline per farne parte - che lavorano in progetti comuni legati al mondo sociale, utilizzando le quattro discipline dell'hip-hop. C'è un capitolo italiano e un altro inglese, molti operai - come ci chiamiamo noi - si trovano in Inghilterra, ma siamo sempre in contatto. Ci sono molti progetti che vengono portati avanti, quello di cui mi sto occupando attualmente io riguarda una miniserie animata che spiega l'hip-hop ai bambini, in cui c'è un personaggio che racconta un po’ la storia di questa cultura ai più giovani. Ci sono ragazzi che vanno nelle scuole, che cercano di entrare in contatto con realtà un po' più difficili, dando così il proprio contributo. Poi, ci sono altri che portano avanti una trasmissione radio. Ci sono molti progetti in costruzione, è un'associazione molto attiva. È una realtà relativamente nuova, iniziata nel 2018. Come soci puoi trovare di tutto: writer, MC, DJ, B-boy, ma anche semplici appassionati, non per forza persone che provengano dall'interno della scena.

Come ultima questione vorrei indagare un argomento spesso dibattuto all'interno dell'ambiente hip-hop, relativo alle questioni di genere. Secondo te, esiste una differenza di genere nel breaking? C’è differenza nel modo in cui dovrebbe ballare un b-boy, o una b-girl?

No, se la domanda me la metti così ti dico di no. O meglio, si. Ma perché ogni persona ha un modo diverso di ballare breaking. Non è un discorso di essere uomo o di essere donna, ma se sei una persona balli in un modo, altrimenti in un altro, ognuno dovrebbe ballare in maniera super personale. Questo è un concetto. Un altro concetto, invece, è che effettivamente - e non si può negare questa cosa - come caratteristiche fisiche gli uomini e le donne sono diversi. Ovviamente, anche tutti gli uomini e tutte le donne sono diversi tra di loro, ma è vero che statisticamente alcune cose ce l'abbiamo in comune solo tra donne, altre solo tra uomini e siamo inevitabilmente diversi, su questo non ci piove! Questo non significa che bisogna precludere a priori delle possibilità, però è anche vero che, secondo me, credo sia giusto adattare il proprio breaking alle proprie caratteristiche. Diciamo che differenze tra uomini e donne ci sono, questo è inevitabile - e magari qualche b-girl qui si arrabbierà pure - ma non possiamo negarle, perché altrimenti non risulteremmo credibili neanche in quello che noi vogliamo dire veramente, ossia: è vero che siamo diversi, ma il fatto di avere caratteristiche fisiche differenti non significa che una persona abbia più il diritto di un’altra di sviluppare il breaking, rappresentandolo come meglio crede. E, soprattutto, ognuno deve essere rispettato e riconosciuto allo stesso modo.

Invece, parlando di discriminazione, credi che nel breaking o nell'hip-hop ci sono - o ci siano stati - fenomeni di sessismo?

Si. Allora, nel percorso che ho vissuto io - parlandoti della mia esperienza personale - posso dirti che all'inizio, quando ho cominciato, questa discriminazione non l'ho mai sentita, anzi, sentivo un sincero supporto da parte della scena nei confronti delle b-girl. Poi, come ti ho già detto prima, è successo a un certo punto che si sono create delle situazioni in cui alcune b-girl della nuova generazione, anziché confrontarsi e allenarsi insieme come facevamo di solito - istigate da qualche b-boy della scena, perché era il periodo in cui bisognava stare "incazzati e competitivi” per forza - hanno iniziato a sentirsi più in competizione l'una con l'altra, scontrandosi, anziché fare gruppo. Si è perso qualcosa nell'ingranaggio. Ho cominciato a percepire - anche se personalmente non così tanto - che alcune b-girl avevano questo disagio. Alcune hanno smesso anche di ballare a causa di questi motivi. Non venivano valorizzate dalla scena, anzi, venivano denigrate. Io penso che aver cominciato a dividere i contest in categorie, se all'inizio era una roba figa - perché dava a tutti il giusto spazio per confrontarsi - credo che negli anni sia diventato deleterio. Perché se prima nei contest si stava tutti insieme, l'aver diviso i contest in b-boy e b-girl battle ha portato a una scissione ancora più netta. Quando arriva il momento delle b-girl le persone che si interessano all'evento sono sempre di meno. Molti b-boy neanche le guardano le sfide tra b-girl. Non c'è quasi più fisicamente il fatto di stare insieme. Questo, secondo me, ha peggiorato ancora di più la situazione nella scena. Dividere le categorie ha portato un danno sotto il punto di vista della comunità. Se vogliamo parlare dal punto di vista sportivo - parlando di "prestazioni" - può essere anche giusto, ma noi non possiamo scinderlo dalla parte culturale, emotiva, artistica, dell'hip-hop. Nell'arte non puoi fare distinzione. Nella danza non fai distinzione. Una cosa che io continuo sempre a supportare è che una categoria di contest che a me piace da morire: i "Bonnie and Clyde"! Perché sono situazioni più chill, si respira più un'atmosfera di festa. I b-boy e le b-girl ballano insieme e ogni sfida è mista. L'atmosfera che si respira è molto più leggera e ci sta comunque la voglia di vincere! Ma è un tipo di fuoco diverso, positivo, in cui torni a casa e senti di far parte di una grande famiglia. E questo credo sia importante.

Spesso si è discusso sul fatto che le b-girl non avessero molto spazio come giudici all'interno delle competizioni, tu cosa ne pensi?

Su questo sono d'accordissimo. Le b-girl dovrebbero essere presenti più spesso in giuria. Anche se una ragazza non ti fa una sequenza di power move estrema, magari riesce ad analizzare, a vedere, a capire la ricerca che si nasconde dietro un determinato passo, okey? Il punto di vista di una b-girl può apportare qualcosa che magari un b-boy, in quel momento, non riesce a vedere. Poi, sia chiaro, avere una b-girl in giuria solo per le "quote rosa" sono contraria! Perché sembrerebbe davvero una presa per il culo! Bisogna riconoscere il valore che può portare avere una b-girl in giuria, il punto di vista di una ragazza che è - inevitabilmente - importantissimo!

Pensi che il tuo essere donna abbia influito nella tua carriera nel mondo hip-hop?

Sicuramente, perché sono donna. (ride) Se fossi stata uomo avrei fatto, probabilmente, tutto un altro percorso. Quindi, assolutamente si. Una cosa che mi ha fatto tanto piacere - e di cui mi ritengo fortunata - è stata quella di iniziare nel periodo giusto. Questo mi ha fatto formare in un certo modo, ottenendo anche dei riconoscimenti importanti. Iniziare negli anni giusti mi ha permesso di non avere molti problemi come donna nel mondo dell'hip-hop. Non mi ha mai creato disagio con persone di un certo spessore, e se me l’ha creato è successo solo con uomini più incoscienti, o con ragazzetti che magari non hanno ancora la visione chiara, un insieme di persone che non meritano - per me - tutta questa considerazione. Devo dire che, nonostante io sia una donna, ho avuto l'opportunità e la fortuna di legare con tantissima gente in quest’ambiente, e di guadagnare il rispetto di moltissime persone che questo mondo se lo vivono real. Questa per me è la soddisfazione più grande.

Ho due ultime domande da farti. Per prima cosa volevo chiederti: sotto il tuo punto di vista, quali aspetti della scena hip-hop sono cambiati di più in tutti questi anni?

Ogni tempo ha del buono e del meno buono, questo c'è da dirlo. Non sono una di quelle persone che dice: “si stava meglio quando di stava peggio" (ride), in realtà è sempre tutto un'evoluzione! E ogni evoluzione si porta appresso dei cambiamenti positivi e negativi. Di bello prima c'era la genuinità, la spontaneità, la purezza, una cosa che si percepiva anche in un ambiente così ruvido, così immaturo. Di meno buono, quando ho cominciato io, forse c'era una certa chiusura mentale. Nel senso che c'era estrema chiusura nei confronti di qualsiasi cosa fosse extra hip-hop, che non fosse totalmente underground. Diciamo che anche la palestra era vissuta male! I corsi in palestra erano considerati in modo negativo. Ti dovevi sbattere per strada far vedere a chi ballava da più tempo che ci tenevi davvero a fare quella cosa, e se qualcuno ti vedeva e decideva di darti una mano, veniva lì da te - se te lo meritavi - e ti dava la dritta! Così era all’inizio: molto, molto chiuso!

Per fortuna, secondo me, questa cosa oggi si è molto ammorbidita. Poi, ovviamente, ci dovrebbe essere sempre un certo limite da non superare, però da questo punto di vista negli anni la scena è cambiata. Una volta si facevano un sacco di problemi nel portare il breaking al teatro, anche se era una cosa di cui io avevo sempre avuto il desiderio! Per fortuna questa mentalità si è aperta, dando tantissime opportunità a molte persone. Quello che dico sempre io, è che credo sia importante che lo faccia qualcuno che ne sappia davvero, che conosce la cultura. Che il breaking non venga preso da qualcuno di esterno che lo porta solo perché fa figo. No, questo è sbagliatissimo! Se tu hai vissuto la scena puoi portare il tuo punto di vista, facendolo conoscere anche in contesti differenti, mantenendo - ovviamente - sempre estremo rispetto per quello che c'era prima, per la situazione da cui provieni! Per l’origine! Quindi, se vogliamo parlare di differenze, ti dico che prima era molto più bello, genuino, puro, di adesso, però era anche molto più chiuso. Adesso è aperto, ma è anche disperso, il che non è un bene! Disperso vuol dire che stai vagando, che c'è un po' di confusione. Dal punto di vista tecnico, invece, oggi è tutta un'altra cosa, ovviamente. I mezzi a disposizione e l'evoluzione della disciplina hanno portato a un livello veramente, veramente più alto. E questo è un dato di fatto.

In base a tutta la tua esperienza, ai viaggi che hai fatto e alle innumerevoli situazioni che hai vissuto: credi chel'hip-hop sia uno, oppure ne esistono tante tipologie diverse?

Secondo me, l'hip-hop è uno. Questo perché ovunque sono andata nel mondo - anche quando non viaggiavo per il breaking, ma stavo per conto mio - ogni volta che mi sono ritrovata in una situazione hip-hop ho respirato sempre la stessa aria, provando le stesse sensazioni. Con mio marito abbiamo fatto il viaggio di nozze in Madagascar, un viaggio di nozze un po' alternativo (ride). Mi sono ritrovata in un villaggio con dei ragazzini africani che ballavano le loro danze, e abbiamo iniziato a fare un cerchio con la loro musica. A un certo punto uno di loro è venuto verso di me - perché ha visto che mi stavo muovendo - e ha fatto il suo ballo, poi si è fermato in freeze. A quel punto anche io ho fatto un'entrata e in quel momento è scattato il delirio! Ci siamo ritrovati a fare una jam, un cerchio, con tutti questi piccoli b-boy: c'è chi faceva alcuni passi e chi rispondeva con le loro danze tradizionali. È stata una situazione, uno scambio, un'energia pazzesca! Lo stesso scambio di energia che ho provato quando sono andata alle Canarie e mi hanno sfidato i b-boy locali, portandomi a fare un contest insieme a loro.

Quando si crea una sinergia tale per cui hai un'euforia e un affetto condiviso, sentendoti parte della stessa cosa, quello significa che tu stai vivendo l'hip-hop. Poi, può prendere tante sfaccettature diverse, lo puoi vivere in tanti contesti diversi, lo puoi fare in mille modi diversi, ma quando senti quell'energia lì vuol dire che tu lo stai vivendo sul serio. Perché l'hip-hop è questo.