Interviste "The Intelligent Movement - Corpo, Individuo e collettività nella cultura Hip-Hop" pt.8 B.Boy Yaio

Pubblicato il 12 agosto, 2024
Lettura: 23 min read
Articolo di Matteo Benacchio

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Ottava Intervista a Claudio Cogoni aka B.Boy Yaio

Intervista dell'autore Jacopo Ferri

Foto di Erik G

A che età hai iniziato a ballare breaking e in quale città?

Ho iniziato nel 1995, a Cagliari. Sono tornato da un turno serale delle scuole medie e ho visto un programma televisivo dove c'era un DJ che metteva musica rap, in questo programma facevano degli interventi dei b-boy. Io non sapevo cosa fosse questa cosa, era la prima volta che vedevo questi che si rotolavano, giravano di testa! Sono rimasto impressionato, fulminato! Non so cosa mi abbia preso, ho proprio sentito una scossa per il corpo, ho tremato! Mi ha tremato il cuore! Questa roba qui è diventata un appuntamento fisso, così insieme ai miei amici guardavano questo programma alle 4.30 del pomeriggio. lo registravamo e cercavamo di emulare quelle movenze, quei passi, con scarsissimi risultati! Eravamo storti come la morte (ride).

Ci mettevamo a fare breaking in strada con uno stereo: il Canta Tu - che era questo stereo che si regalava ai bambini piccoli per il karaoke, con il microfono e tutto - e ci mettevamo ogni sera ad allenarci fuori in strada. Un giorno passano casualmente dei ragazzi in motorino e rimangono impressionati nel vederci lì a ballare. Questi due ragazzi erano Gipsy e Alex - due b-boy leggendari di Cagliari - ed erano proprio i due b-boy del programma che guardavamo! Degli idoli per noi, è stato un colpo al cuore! Da quel momento vennero ad allenarsi con noi ogni giorno! Da maggio del 1995 per un anno intero venivano lì davanti casa mia e si allenavano insieme a noi. Premetto che eravamo tutti storti: non c'era nessuna postura, nessuna forma, ci inventavamo le tecniche, non sapevamo fare nulla. Era proprio una passione, anche se non sapevamo niente! Sapevamo solo che si chiamava breaking, ma non conoscevamo l'hip-hop, non sapevamo cosa ci fosse dietro.

Quando avete iniziato a ballare c'era già una scena avviata in Sardegna oppure voi siete stati i primi?

No, no, la scena c'era già! Noi non la conoscevamo perché avevamo quindici anni. Abbiamo conosciuto Gipsy e Alex che ci hanno introdotto nel binario giusto dove siamo entrati a contatto con la situazione di writing, di MC, dei DJ, e ovviamente quella dei b-boy. Loro ci hanno introdotto un po' a tutta la scena dell'undergroud cagliaritano.

All'inizio c'erano degli spot specifici in cui la scena si allenava, o radunava?

Si. Io ho iniziato davanti casa mia, come ti ho detto. Poi sono venuto a sapere che c'era una pista di pattinaggio dove negli anni '80 i b-boy si allenavano e quindi abbiamo preso anche noi a frequentare questo spot. C’erano anche le gallerie Ormus, da dove abbiamo preso anche il nome della nostra crew. Questi erano i due spot principali. Erano frequentati da tantissimi ragazzi, non solo da b-boy.

All'inizio le discipline dell'hip-hop erano praticate tutte insieme? C'era una scena compatta, non c'era separazione?

No, infatti una cosa che io dico spesso è che ciò che si è perso in questi anni è proprio questa unione. Prima la scena era totalmente compatta: il writer conosceva tutti i b-boy, i b-boy tutti i writer della scena. Gli MC, i DJ, dopo l'allenamento ce ne andavamo tutti insieme al bel vedere di Cagliari e stavamo assieme, parlavamo, ascoltavamo i mixtape degli MC, era un ambiente hip-hop totale! Hip-hop al completo. Anche io all'epoca mi misi a fare writing, perché avevo degli amici che lo facevamo ed ero preso a bene a fare anche quello. Era tutto collegato! Conoscevamo tutto, di tutti! Eravamo aggiornati sui migliori writer della penisola, sui migliori MC, una cosa che è adesso è difficilissima da trovare.

Quanto ha influenzato questo ambiente così interconnesso i tuoi primi anni nel mondo del breaking?

Mi ha aiutato tantissimo perché io sono di carattere molto timido. Sono tendenzialmente troppo timido. Però, avendo al fianco tutte queste persone che mi incoraggiavano a livello artistico, mi ha insegnato a esprimere me stesso! Dovevo farlo per forza perché era una necessità, mi veniva spontaneo. Questa comunità era talmente forte che mi permetteva di mettere da parte la mia timidezza ed espormi, farmi conoscere, far vedere quello che sapevo fare. È stato un ambiente importantissimo per me, per il mio carattere. Era un andare avanti tutti insieme, per forza di cose ti dovevi mettere al passo insieme agli altri.

Avevate dei veri e propri maestri che vi insegnavano, o l'apprendimento era più un passaparola che si tramandava da uno all'altro in modo casuale?

Io ho due mentori: Gipsy e Alex, però loro non mi hanno mai insegnato dicendomi: "devi fare così, ti devi mettere così", io guardavo loro e cercavo di emulare, poi parlavo con loro e cercavo di capire il fatto di non dover copiare, che dovevo essere me stesso e non dovevo cercare di imitare un'altro anche se era forte. Imparai a prendere ispirazione senza copiare. Ma non c'è stato nessuno che mi ha insegnato il breaking a livello tecnico. Mi hanno insegnato moltissimo a livello di spirito, di anima, questo si. È stato molto importante avere questi due mentori, per me.

Poi, nel corso degli anni è subentrato Robertino - un b-boy di Sassari - e lì è stata proprio un'apertura mentale. Lui mi ha fatto capire che il breaking non è fare unicamente windmill o il thomas, ma è proprio un'altra cosa, un'altro spirito, un'anima che danza. La mia anima che danza. Era importante appoggiarmi a questi personaggi per capire ulteriormente quello a cui stavo andando incontro, è stato molto importante e molto profondo. Per me sono maestri anche se non mi hanno insegnato molto a livello tecnico, ma lo spirito e l'anima di questa disciplina.

A Cagliari - i primi anni in cui ballavi - si percepiva rivalità fra le varie crew, oppure era un ambiente piuttosto unito?

No, anche questo era diversissimo: per noi era la festa! C'erano le jam, io non conoscevo la parola competizione, non c'era la gara. Per noi era la festa, la jam era la festa. Io mostravo quello che sapevo fare, loro mi mostravano quello che sapevano fare, ma non c'era nessuna ansia da prestazione, era tutto un brivido il rivedersi con i Sirbones di Sassari, ad esempio. Vedere loro, vedere come ci si approcciava al cerchio, al cypher. Non era una giungla! Qui a Cagliari era visto tutto come una festa: c'era la birra, la gente, l'ottima musica, nessun momento di competizione, noi mostravamo quello che avevamo imparato nei mesi prima della jam e condividevamo questa disciplina con tutti gli altri. Ma nessuna rivalità.

Anche nei cypher, mai accaduta una sfida. Era uno scambio, solo condivisione: entrava uno, usciva, e poi entrava l'altro. La cosa che ricordo di più è che era un rappresentare la propria cricca, la propria crew. Io facevo parte dei The Free Breakers - che è la mia prima crew - e mostravo come noi approcciavamo il breaking, però non attraverso le sfide. C'era più entusiasmo per la situazione, per la musica!

La Sardegna, essendo un'isola, era un ambiente piuttosto chiuso a quel tempo, oppure era già interconnessa al resto della scena hip-hop nazionale?

No, totalmente chiusa! Per farti capire: io ho iniziato a ballare nel '95 e nel 2001 ho conosciuto il six step! Sono passati sei anni! Un giorno, Cima mi chiese: "ma tu lo sai fare il six step?", e io con i miei amici Ormus ci guardammo come per chiederci cosa fosse. Credevamo fosse una categoria di roba oltre al breaking (ride), non sapevamo fosse il passo base dei footwork. Lì capimmo che eravamo proprio cresciuti su un'isola, eravamo isolati da tutte le informazioni. Eravamo fisicamente e mentalmente troppo chiusi. Noi conoscevamo tre move: il thomas, il windmill e il giro di testa. Il resto: il footwork, ad esempio, era chiamato scramble, un farfugliare con le gambe! Ma niente di concreto, niente di giusto! I primi anni per noi sardi sono stati allucinanti. Io dopo cinque anni sono uscito dalla Sardegna per la prima volta ho fatto il B-boy Event a Bologna, quando arrivai lì capii che su alcune cose stavamo allo stesso punto degli altri, ma su altre - a livello di conoscenza - eravamo totalmente ignoranti. Io dico sempre che noi ci siamo creati il nostro hip-hop, probabilmente sbagliato, ma era il nostro hip-hop, la nostra favola. Poi, abbiamo conosciuto, abbiamo studiato, capendo che molte cose le facevamo in maniera errata.

Come è stato il primo impatto con il resto della scena?

L'impatto è stato fortissimo! Il primo b-boy davvero forte che ho visto in Sardegna è stato NextOne, nel ’96, quello fu un colpo incredibile, forse quello che ha rafforzato di più questa passione. Poi, nel 2000, ho fatto la mia prima jam fuori dall’isola: il B-boy Event, in cui era presente tutta la scena italiana, dove ho visto e preso parte ai primi battle nel cypher. Arrivare a Bologna e vedere quell'anfiteatro pieno di gente ricordo che per noi sardi fu qualcosa di assurdo. Io non sono entrato subito nel cerchio, aspettai un po’, mi venne l'ansia da prestazione! Capii che lì dovevo fare le cose bene altrimenti sarei stato visto come un piccolo pastorello che voleva fare la break dance. È stato tutto molto forte, ricordo ancora bene quella sensazione. Lì si conoscevano tutti e noi eravamo quelli vestiti male, storti, non facevamo un footwork corretto, noi chiedevamo informazioni a tutti, ai ragazzi di Milano, di Bologna, di Bari, volevamo capire cosa fosse il breaking, cosa fosse l'hip-hop nella loro città! Nel 2001 feci il mio secondo viaggio a Pesaro, al primo Hip Hop Connection, dove vidi Kujo con tutta la sua crew. Sono stati i primi americani che ho visto dal vivo e rimasi impressionato dalla loro personalità, dal carattere, dall’attitudine! Cercavo di imparare anche solo guardandoli. Una cosa che non rimpiango della nostra scena è il fatto di essere selvaggi! Noi sardi eravamo sporchi, tutti vestiti male, ma la nostra attitudine ha sempre suscitato interesse, quindi chi ci vedeva ci rispettava, eravamo storti, ma molto appassionati! Ci mancavano un sacco di nozioni, ma vedere le scena italiana in quel periodo è stata un'ulteriore motivazione per studiare e andare avanti.

Quando sei entrato la prima volta in una crew?

Io non sono mai entrato in una crew, ho sempre fatto parte di quelli che le hanno create. La mia prima crew è stata i TFB - i The Free Breakers - che era la crew del mio vicinato. Ho avuto la fortuna di avere un'infanzia con un vicinato pieno di miei coetanei e in cinque, sei, creammo questa crew. Poi, ho cominciato a studiare, mi sono allenato e abbiamo conosciuto altri ragazzi che facevamo breaking. Quindi: TFB, Sfida al Tempo e Natural Born Killers, abbiamo deciso di unirci e diventare Ormus. Eravamo in una decina all'inizio, dieci fondatori, era il 2001.

Che significa per te essere una crew? È un significato che è cambiato nel tempo?

Per fortuna io ho una crew. Per me la crew è una delle basi del breaking, è importante avere un gruppo dove tu puoi confrontarti con i tuoi amici. È un qualcosa di estremamente importante. Non a caso io ho tutti indumenti con il nome della mia crew scritto sopra! Io anche quando vado a fare i battle, quando vado a fare la giuria, ci tengo a rappresentare chi sono, la mia gente! La crew non è solo un team di gente formata per spaccare il culo, ma è la mia gente. Grazie a loro ho imparato a conoscere questo mondo, a essere un uomo. Vuoi o non vuoi insieme ai tuoi amici ci cresci. Avere una crew è troppo importante. Potrei anche ballare con gente tecnicamente più forte di me, ma il vibe sarebbe un altro. Se devo andare in guerra scelgo la mia crew! Voglio essere spalleggiato dalla mia crew. Quando faccio il battle voglio la mia gente dietro, la voglio! È la mia forza! La crew è uno stato mentale in cui condividi tutto, anche cose che hanno poco a che fare con l’hip-hop.

Come pensi che abbia influenzato il tuo breaking la crew Ormus Force? C'è stato un cambiamento anche nel tuo modo di ballare?

Ti dico di sì, perché in Sardegna i nostri mentori ci ripetevano sempre che dovevamo imparare a esprimere noi stessi senza rifarci ai nostri idoli Sirbones di Sassari. Ci dicevamo che noi dovevamo creare una nostra identitàsenza emulare quello che facevano loro. Ci dicevano di seguire la nostra impronta. Ormus doveva essere riprodotto in modo originale anche sul pavimento! Parole come queste, dette dai pionieri sardi, ci hanno formato! Posso dire onestamente, senza alcuna presunzione, che nella mia crew siamo tutti diversi. Stilisticamente parlando abbiamo tutti quanti la nostra identità, ma allo stesso tempo rappresentiamo tutti un'unica parola: Ormus! Siamo un unico spirito. Anche il mio modo di ballare è condizionato dalla mia crew, ha preso forma attraverso di essa. Il fatto di ballare in strada, ad esempio, io sentivo di dover rappresentare l'anima street! L'anima selvaggia! Anche il mio modo di ballare veloce, un po' grezzo, magari è dato anche da quello. Ma è sempre stato naturale, non mi sono mai costruito la cosa, ho sempre ballato con spontaneità.

Legandomi proprio a questo che mi ha detto vorrei introdurti un nuovo argomento. Nel mondo del breaking e dell'hip-hop sentiamo molto spesso parlare del concetto di stile: che cos'è lo stile nel breaking, secondo te, e perché è così importante?

Anche io sento parlare molto spesso di stile, stile, stile, di gente che magari fa solo top rock e footwork, ma per me quello non è stile, perché molti fanno lo stile di altri! Quello non è stile. Lo stile è quando si raggiunge al cento percento un livello artistico in cui tu sei totalmente spontaneo, totalmente naturale nella tua artisticità! Quando tu balli e respiri la tua spontaneità, quando balli con il tuo essere e si vede. Questo è per me lo stile! Questo significa rappresentare una tipologia di breaking, uno stile di breaking. Stile non vuole dire ballare con top rock e footwork, uno può avere stile anche facendo solo freeze e power move! Stile è quando uno raggiunge totalmente la sua spontaneità, quando è naturale e si vede, ha i movimenti naturali. Lo stile è molto importante da conoscere, anche se non è facilissimo da insegnare.

Credi che lo stile sia qualcosa di personale, oppure collettivo? Esiste lo stile di una crew? Di una città? Esiste uno stile di Cagliari, secondo te?

Si. Io credo che esistano gli stili delle crew. Prendi i Sirbones, ad esempio, hanno il loro stile: loro arrivano, non fanno neanche la fila, entrano, passano, vanno nei cypher, sfidano tutti! Questo è il loro stile! Anche noi come Ormus abbiamo il nostro stile. È difficile vedersi da dentro, però quello che ci hanno sempre detto la altre persone è che noi siamo umili e decisi. Selvaggi, ma silenziosi. Non facciamo molto casino per farci notare, ma in silenzio abbiamo sempre fatto il nostro. Quindi, si, lo stile può esistere anche a livello collettivo. C'è una crew americana, ad esempio, i Battle Born di Las Vegas! io quando li vedevo dicevo: "ecco, questa è proprio una crew anni '90!", lo stile ce l'avevano tutti diverso, ma rappresentavano tutti la stessa cosa. Esiste uno stile collettivo delle crew, è come un marchio di fabbrica! Come Ormus abbiamo un nostro stile, uno stile collettivo di approccio per divulgare questa disciplina.

Lo stile è qualcosa che viene appreso, oppure inventato?

Con lo stile - quello che consiglio sempre - è che bisogna avere pazienza. Imparare a conoscere sé stessi, a livello artistico, non è mai facile. Capire in cosa uno è predisposto, come deve muoversi! Lo stile non deve essere costruito, però ci devono essere dei passaggi. Con la tua naturalezza lo affini ogni anno, ogni mese, è una ricerca continua! Questo è quello che intendo. È uno studio profondo che puoi fare solamente attraverso la pratica e la pratica non è l'allenamento: ma il cypher, il battle, confrontarsi con gente a livello di breaking, farsi venti round per capire il tuo limite! Quando arrivi al quindicesimo round e dici: "okey, ora sono nella merda, come mi esprimo?" è lì che scatta veramente il tuo stile! Lì esce veramente chi sei dentro! Per me è una ricerca continua. Costruire lo stile a forza è impossibile.

Come è cambiato il tuo stile con il passare dell'età?

Io ho iniziato che facevo prettamente power move, però sentivo che non mi bastava, volevo esprimermi anche in un altro modo. I primi sei anni ho fatto prevalentemente move. Poi, dal 2001 fino al 2010, ho cercato di battere la spugna, nel senso, ho provato a imparare, ho studiato. Io divido il mio breaking in tre, o quattro fasi: ho iniziato con le power move; poi ho cominciato a fare set con le skill, con passi inventati, senza nessuna foundation; poi ho capito l'importanza di avere un bagaglio di foundation da dover studiare per forza, ho capito il footwork, la struttura delle entrate. È dinamica come cosa. Io non ho avuto veri e propri maestri a livello tecnico, quindi c'è sempre stata questa difficoltà di iniziare, questa necessità di ricercare, sono stato molto lento nell'imparare delle cose. Ho cambiato diverse volte il mio modo di ballare. Il breaking è dinamico. Assolutamente.

Quanto credi che ti abbiano influenzato i viaggi che hai fatto?

Io ringrazierò sempre il breaking e l'hip-hop che mi hanno fatto viaggiare, perché mi hanno permesso di conoscere culture diverse, modi di pensare diversi e modi di affrontare il breaking in maniera diversa, capito? Io sono stato a Los Angeles, sono stato a New York, mi sono messo a confronto con gente che lo ha inventato il breaking, quindi, parlando ho capito determinate cose, anche il mio breaking si è sviluppato grazie a questo tipo di studi. Parlavo con gente dei Dynamic Rockers, cazzo, stavo praticamente studiando in quel momento là! Il viaggiare è stato un capitolo della mia vita fondamentale, in cui ho capito cosa dovevo fare: ho parlato con Roxrite, ho parlato con Robin, e ho capito diverse tipologie di approccio al breaking sia con gli americani che con i russi. I russi sono più inquadrati, gli americani più chill e fanno tutto come gli viene. Anche questo mix è stato molto importante per il mio breaking, miscelare un po' tutto quanto, per capire dove mi trovavo meglio. È molto importante l'aspetto dei viaggi.

Cambiando argomento, vorrei farti alcune domande relative a due diversi contesti di pratica: il cypher e il contest. Innanzitutto, cosa rappresenta il cypher per te?

Il cypher per me è un rito. Io sono abituato a fare il cypher con i miei amici, quando faccio il cypher con loro è un paradiso. Però riconosco anche che mi piace la giungla. Quando ho fatto il Freestyle Session mi ricordo che feci cypher con Remind, con Morris, ho dovuto spingere, pensare anche alla prestazione di quello che dovevo fare. Per me il cypher è un rito in cui esponi te stesso in maniera naturale, nel tuo habitat, insieme alle persone che ti circondano. Tu prendi energia da queste persone per mostrarti nel modo più reale possibile. Il cypher è tutto per la nostra disciplina. Se non sai ballare nel cypher non puoi capire realmente che cos'è il breaking. Tutti confondono il cypher con il call out (la sfida). Purtroppo mi trovo a dover categorizzare anche i cypher: ci sono quelli in un modo e quelli in un altro. Io prendo tutto come buono, accetto le cose positive e negative. A me il cypher piace perché sono libero: c'è la musica, la situazione che crea l'energia, mi esce lo spirito, l'anima. È un rito troppo importante che non deve essere mai perso.

In relazione al contest, invece, quali sono le differenze che provi nel ballare in un cypher oppure in una competizione organizzata?

Non ti nego che negli ultimi dieci anni il contest è quello che mi ha preso di più. È quello che mi dava più l'adrenalina. Il contest, per me, è amore e odio. Ci sono delle volte in cui sono preparato per il contest e mentalmente sono così pieno che arrivo al battle e perdo alla prima, proprio perché mentalmente non c'ero! Ero troppo concentrato sul battle. In questo senso il contest mi fa cagare, quando mi crea l'ansia da prestazione, questa cosa di dover vincere, di dover arrivare lontano, non mi piace. Infatti, tutte le volte che mi sono andati bene i contest è quando andavo là in modo tranquillo, quando pensavo solo a portare me stesso all'evento, consapevole dei miei difetti, dei miei pregi. Se perdo, perdo con le mie cose. L'approccio al contest, certo, è totalmente diverso, non neghiamocelo. Io quando faccio il battle ho un piano che spero si attui, molte volte mi va bene, altre va malissimo. Nel cypher non ho un piano, posso fare i miei set, posso andare freestyle. Nel battle so cosa posso fare e cosa non posso fare, è un po' più studiato e anche questa cosa qui mi piace: conoscere l'avversario, studiare l'avversario, avere una strategia. Sono queste le differenze.

Mi hai detto che ci sono diversi tipi di cypher, quanto è importante per un b-boy il sapersi adattare a tutte queste situazioni differenti?

Guarda, io ho fatto 40 anni ieri e ti dico che è davvero importante sapersi adattare a tutto. L'anima del b-boy rimane e si vedrà sempre, però uno deve essere capace di affrontare tutto. Come ti dicevo prima, quando ero al Freestyle Session dovevo sforzarmi a fare anche i cypher "giungla", perché volevo mettermi alla prova. Lì è molto importante riuscire a plasmarsi, ad adattare il proprio stile in diverse situazioni. Nei cypher, nei contest, negli show. In ogni situazione hai un diverso stato mentale. È importante essere lucido e capire come gestire questa cosa qui.

A livello di spazio e pavimento, invece, quanto è importante sapersi adattare?

Lo spazio mi ha sempre causato problemi, perché non essendo sciolto a livello fisico quando trovo i cypher piccoli ho sempre avuto difficoltà. Con l'esperienza ho imparato a capire che quando mi trovo dentro cypher stretti devo fare dei frontal step, non posso iniziare a girare come faccio di solito, devo rimanere frontale, adattando il mio breaking anche a quella situazione. Il pavimento onestamente non mi ha mai creato particolari problemi. Certo, se mi dici di ballare sulla ghiaia potrei avere qualche difficoltà (ride). Però ho ballato sull'asfalto, su tappeti scivolosi, su pavimento allucinanti. Io ho un modo di fare breaking in cui non ho bisogno di scivolare, non ho slide che sul cemento non posso fare; il mio breaking è basato quasi interamente sugli step, quindi vuoi o non vuoi appoggio il piede, salto e riappoggio. Non ho mai avuto questa grossa difficoltà a cambiare pavimento, anche se alcune cose - ovviamente - in certi ambienti non le posso fare. Ma con il breaking che sto maturando in questi anni non è un grande problema. Certo, spero sempre di trovare un buon pavimento specialmente nei contest, lì il pavimento deve essere perfetto. Nel cypher, invece, può capitare ovunque non è che mi faccio problemi. Per quanto riguarda il cypher piccolo - ti ho detto - mi accorgo che lì dentro il mio breaking non riesce a esprimersi al massimo. Però se mi devo adattare provo a fare dei frontal step, dei kick out, robe così, eliminando quelle cose che possono arrivare ad ammazzare la gente intorno a me nel cerchio (ride).

Si sente spesso parlare di go off, tu come lo descrivi?

È uno stato mentale che esce raramente, ma non so come attivarlo, come controllarlo. È qualcosa a cui tutti noi aspiriamo! Non è né vincere, né perdere, lì è totalmente fare breaking e stare bene con sé stessi. Mi è capitato e non mi ricordo come. Una volta c'era un cypher al Fluido Jam dove ero con i ragazzi di Sassari e altri ragazzi di Torino. Lì io ero in trance, eravamo proprio tutti in trance, in questa saletta. Stavamo andando avanti a oltranza. Io ero in uno stato mentale in cui non pensavo più, non pensavo neanche a quello che dovevo fare. Purtroppo, mi è capitato raramente e non so minimamente come riattivarlo. Ricordo solo che abbiamo ballato tantissimo, è stato un momento in cui mi sono sentito davvero su un altro pianeta, in un'altra dimensione.

Tu sei anche insegnante, giusto?

Si

Da quanto insegni?

Dal 2005.

Prendendo sempre questo concetto: quanto credi sia importante la pratica del cypher nell'insegnamento del breaking?


Questo è importantissimo perché il cypher - riprendendo anche quello che ho detto prima, essendo io una persona molto timida - è un ottimo metodo per comunicare, per diventare estroversi. Il gesto di entrare e di mostrarti alla tua comunità è molto importante! Io lo faccio sempre, è qualcosa che ho sempre fatto nelle mie classi. Il cypher va insegnato subito. Prima di introdurre a cosa sia un battle - oppure a tutto il resto - il cypher è qualcosa che va insegnato! Non tutti sanno farlo, non tutti capiscono in che momenti va fatto, tutto questo va insegnato da subito perché così i ragazzi sviluppano personalmente un senso di essere sé stessi molto più autentico. Nel battle hanno l'ansia da prestazione, mentre nel cypher - anche nei momenti in cui ci sono i call out e si sfidano - sono molto più spensierati! Vedo che sono più tranquilli, accettano di più la sfida, non sono giudicati come nel battle in cui c'è una vera e propria giuria! Nel cypher per una persona puoi avere perso, per un'altra hai vinto, ad altri non gliene sbatte un cazzo della tua sfida (ride).

Il cypher - te lo ripeto - è un rito! È un rito che va conservato, va spiegato, va insegnato nel migliore dei modi. Anche io lo sto ancora studiando, è un rito bellissimo che ci caratterizza molto come disciplina. Ai miei allievi lo dico sempre: "non entrate nel cypher per provarvi i freeze, prendetelo come un momento in cui dovete comunicare senza parlare", è un momento di condivisione. Ci sono i cypher in cui si ècome in una giungla e ci si ammazza, ma ci sono anche quelli di condivisione. Questa è un'altra cosa che voglio insegnare ai miei allievi. Io sono partito con cypher che erano solo di condivisione, ma negli ultimi dieci anni mi sono aperto a insegnare anche una modalità di cerchio più aggressivo! Perché se i miei allievi partono e vanno - ad esempio - a Roma, vanno in un cypher infuocato e lì devi far uscire le palle, altrimenti sei un pollo in quell'ambiente. Quindi sto cercando di sviluppare dei metodi di insegnamento che preparino i miei allievi non solo ai contest, ma anche alle sfide nel cypher. Bisogna essere sempre pronti.

Il cerchio lo metti all'inizio o alla fine di una lezione?

Capita delle volte che arrivo a lezione e i ragazzi mi dicono: "facciamo cypher!". È capitato che magari fossi stanco e gli risponda: "si, facciamo un cerchio di mezz'ora e poi iniziamo la lezione", il fatto che loro me lo chiedessero per me era ottimo. Però la maggior parte delle volte io il cypher lo metto alla fine. Nell'ultimo quarto d'ora faccio due, tre cypher così possono ballare tutti più volte. Però, si, mi è capitato di metterlo anche all'inizio come riscaldamento.

Cosa cerchi di insegnare maggiormente ai tuoi allievi?

Io cerco di tramandare prevalentemente quello che mi hanno insegnato i miei mentori, ossia: l'essere sé stessi. Io non voglio vedere Lil Zoo - oppure Kid David - quando ballano i miei allievi, quelli ci sono già! Io faccio sempre l'esempio dei quadri. Se noi prendiamo i quadri famosi sono tutti diversi fra loro, non è che Picasso si è messo a fare La Gioconda! Picasso è Picasso perché era unico, di vedere un altro Picasso a me non interessa! Io da subito sto cercando di insegnare questo ai miei allievi, che devono essere totalmente naturali. Devono prendere ispirazione, ma poi devono fare la loro ricerca per capire chi sono, per capire cosa devono fare! Poi, io gli do tutti gli strumenti possibili: le foundation, i top rock, i footwork, le power move, i freeze! Devono saper fare entrate di tutti i tipi, rispettando sempre il breaking, perché comunque il breaking ha le sua fondamenta. Non è che uno entra in BMX e poi si mette a fare l'Air Freeze, quello per me non è breaking! Bisogna rispettare il breaking, la disciplina, la musica.

Il mio insegnamento si basa su questi punti fermi: essere sé stessi, rispettare l'essenza e la disciplina del breaking, avere le sembianze da b-boy, anche a livello di vestiti e tutto. Di solito su mille uno riesce a capirlo davvero bene, fino in fondo.

L'insegnamento lo svolgi solo in palestra, oppure porti i tuoi allievi anche fuori?

No, no, loro vengono anche fuori. Ad esempio, ci sono dei ragazzi che hanno iniziato in palestra, ma a un certo punto gli ho detto: "ragazzi non so più che cosa spiegarvi, se volete continuare è meglio se venite alla galleria Ormus ad allenarvi con noi!”, è una cosa che va anche contro la mia economia, ovviamente, però davvero non so più cosa spiegargli, preferisco che vengano alla galleria, che ci alleniamo insieme all'aperto. Quando la situazione tornerà normale vorrei organizzare degli allenamenti all'aperto in cui i ragazzi facciano i cypher tra di loro, un allenamento libero, in cui facciano quello che vogliono fare.

Portandoli in diversi contesti hai mai notato una differenza nel loro modo di ballare rispetto all'allenarsi in palestra?

All'inizio si! Per dirti, quando sono venuti alla galleria Ormus le prime volte erano intimiditi! A livello fisico non riuscivano proprio a entrare perché magari entrava Boogie, entrava Lucio, entravo io, a livello di carattere dovevano capire dei meccanismi, poi con il passare del tempo hanno imparato. Per quanto riguarda quelli più piccoli, invece, non noto alcuna differenza: loro vanno a macchina, si vede la spensieratezza. Quelli di diciotto, diciannove anni, si fanno più problemi, però ci sta, è normale! È un'altro ambiente quello di strada.

Vorrei farti alcune domande su un'ultima questione spesso dibattuta all'interno dell'ambiente del breaking e dell'hip-hop. Tu credi che nel breaking ci sia differenza di genere?

Credo che la differenza di genere in ambito artistico non esista, ci possono essere - in alcuni casi - delle differenze a livello di prestazioni fisiche, ma non sempre. Delle volte vedo alcune ragazze emulare i gesti dei ragazzi e questo non mi piace. Le b-girl non hanno bisogno di ballare come i b-boy, quindi mi piace guardarle quando sono naturali, quando sono loro stesse. Poi, ti dico, io ci vedo tanta ingiustizia per le b-girl. Il Red Bull Bc One B-girls doveva esistere da moltissimo tempo. Okey che la richiesta è più bassa, ma doveva esistere da prima. È giusto che anche le ragazze abbiamo voce in questa disciplina, perché anche io - che ballo dal '95 - ho visto moltissimi episodi in cui le ragazze non ti dico che venivano discriminate, ma per loro era un problema fare hip-hop. Almeno per quello che vedevo io.

Puoi raccontarmi un episodio di questo genere?

Certo, ad esempio - una volta - in un club a Cagliari c'era una persona che disse che le ragazze nel cerchio non potevano ballare breaking, ma solo stand up, capito? Allora io avevo quindici anni, e mi sono stato zitto. Se mi capita adesso una cosa del genere io faccio un casino. Cioè, ma che vuol dire? Non va bene cazzo. Questo è quello che è successo nell'ambiente hip-hop in generale, non solo nel breaking. Anche le MC, per esempio, quando c'erano le ragazze che cantavano qua a Cagliari è sempre stato un problema farle cantare, perché prima c'erano i ragazzi e poi dopo se c'era tempo facevano cantare le ragazze, altrimenti non cantavano. Quindi, in questo senso, posso dirti che ho vissuto un po' tutte le epoche.

Come è la situazione adesso in confronto al passato?

No, adesso la cosa sta cambiando. Adesso anche io ho molte allieve b-girl. Le ragazze hanno preso più coraggio, gli è stato dato giustamente più spazio, ed è giusto così!

Tu credi che sia giusto dividere le categorie nei contest?

È una domanda che mi sono fatto spesso nel tempo. Il fatto è che ci sono alcune b-girl che porca puttana sono davvero allucinanti! Io penso a Kastet, oppure a Kate, ma anche Anti - la ragazza italiana che ha vinto l'altra volta - se una di queste ragazze la metti contro di me io devo davvero impegnarmi! Io a livello di categorie farei: i b-boy, le b-girl e poi una categoria aperta a tutti, in cui possono partecipare bambini, donne, uomini, tutti insieme. Se mi chiedessero di scegliere, però, io le terrei separate, perché secondo me c'è ancora un po' di maschilismo e le ragazze avrebbero difficoltà a mostrarsi, a vincere qualche sfida in una situazione così.

A livello di insegnamento hai mai trovato delle differenze nell'insegnare a b-boy, oppure a b-girl?

Io dico sempre che le ragazze sono quelle più sveglie. Sono molto più concentrate. Quando parlo con le ragazze loro mi guardano negli occhi e so che mi stanno capendo, altre volte guardo un ragazzo e gli dico: "devi fare questo, questo e quest'altro", e non ha capito un cazzo. Quando va a terra non capisce proprio più un cazzo (ride). Le ragazze sono molto più diligenti, ma questo lo sottoscrivo pure, sono molto più concentrate all'interno di un contesto in cui c'è un maestro e una persona da cui devono imparare. I ragazzi li vedo spesso poco umili nel capire che c'è una persona che sta lì e che deve insegnarti qualcosa. Con le ragazze è molto più semplice, ho sempre avuto degli ottimi risultati.

Tu balli dal '95, è moltissimo tempo. Cosa credi sia cambiato di più nel mondo hip-hop in tutti questi anni?

La più grande differenza, innanzitutto, è la comunicazione e l'informazione. Prima non c'era informazione. Oggi esce un battle e ce l'hai in diretta, capito? Le informazione sono tante! Grazie a internet anche io ho potuto studiare, ho potuto chattare con persone importanti, mandare email. La differenza è abissale rispetto a prima, rimanevo nel mio vicinato, non avevo il cellulare, non avevo il computer. Una cosa che a livello spirituale un po' manca - e che mi manca soprattutto - è il discorso della scena compatta: intendo tra writer, MC, DJ, b-boy! Io prima ero molto attento e sapevo chi fossero i gruppi musicali, i writer più in voga del momento, invece, oggi è breaking e basta! Se tu mi chiedessi chi è il writer più prolifico in questo periodo nel paese, io non ti saprei rispondere perché non so proprio chi siano. La scena non è compatta e questo mi manca, lo vedo fin dai ragazzini. Magari hanno la passione per il breaking e poi si ascoltano reggaeton, capito? O magari hanno interesse per il breaking e poi hanno ideologie politiche come il fascismo! Una cosa allucinante! Quando fai una disciplina creata dagli afroamericani, dai portoricani, un controsenso incredibile. Questa compattezza in generale mi manca, e si vede tantissimo in confronto con gli anni passati. A livello tecnico ti dico che prima le entrate duravano quei sette secondi, era un "entra ed esci" velocissimo. Oggi si arriva anche a quarantacinque secondi! C'è una tipologia diversa di prestazione. Anche sotto questo punto di vista è molto diverso.

Come ultima domanda vorrei chiederti - in base a tutta l'esperienza che hai maturato in questi anni - secondo te l'hip-hop è uno solo, o ne esistono tante tipologie diverse?

L'hip-hop a livello di stile lo puoi trovare in maniera diversa. Nel senso: l'hip-hop romano in confronto a quello sardo magari è diverso! Però l'hip-hop a livello di cultura, il concetto di hip-hop, è sempre lo stesso! Il fatto di studiare, di accrescere personalmente il tuo lato artistico, il tuo spirito, alla fine è quello! Quello che facciamo tutti è migliorare noi stessi, migliorare il nostro spirito, essere più spontanei possibili nella vita. In questo l'hip-hop è uno. Poi, ognuno se lo crea e lo sviluppa in maniera diversa e non vuol dire che uno sia giusto e l'altro sbagliato, è sempre lo stesso. Quello che ci lega è questa cultura! A livello spirituale lo vedo unico, ma a livello di stile vai in America e hai un tipo di hip-hop, vai in Italia e hai un tipo di hip-hop, vai in Russia e hai un altro tipo di hip-hop, però la cosa che ci accomuna è la comunità, lo studio di questa disciplina, il bello che può creare non solo ai ragazzi più grandi, ma anche a quelli più piccoli. Si! Per me l'hip-hop è unico, ma ha diverse tipologie di stili, di binari. È così.

Abbiamo deciso di regalarvi tutte le interviste che avrebbero dovuto essere contenute all'interno del nostro libro, invece le trovate tutte completamente gratuite qui sul nostro sito. Real Hip Hop! No Doubts!

Ottava Intervista a Claudio Cogoni aka B.Boy Yaio

Intervista dell'autore Jacopo Ferri

Foto di Erik G

A che età hai iniziato a ballare breaking e in quale città?

Ho iniziato nel 1995, a Cagliari. Sono tornato da un turno serale delle scuole medie e ho visto un programma televisivo dove c'era un DJ che metteva musica rap, in questo programma facevano degli interventi dei b-boy. Io non sapevo cosa fosse questa cosa, era la prima volta che vedevo questi che si rotolavano, giravano di testa! Sono rimasto impressionato, fulminato! Non so cosa mi abbia preso, ho proprio sentito una scossa per il corpo, ho tremato! Mi ha tremato il cuore! Questa roba qui è diventata un appuntamento fisso, così insieme ai miei amici guardavano questo programma alle 4.30 del pomeriggio. lo registravamo e cercavamo di emulare quelle movenze, quei passi, con scarsissimi risultati! Eravamo storti come la morte (ride).

Ci mettevamo a fare breaking in strada con uno stereo: il Canta Tu - che era questo stereo che si regalava ai bambini piccoli per il karaoke, con il microfono e tutto - e ci mettevamo ogni sera ad allenarci fuori in strada. Un giorno passano casualmente dei ragazzi in motorino e rimangono impressionati nel vederci lì a ballare. Questi due ragazzi erano Gipsy e Alex - due b-boy leggendari di Cagliari - ed erano proprio i due b-boy del programma che guardavamo! Degli idoli per noi, è stato un colpo al cuore! Da quel momento vennero ad allenarsi con noi ogni giorno! Da maggio del 1995 per un anno intero venivano lì davanti casa mia e si allenavano insieme a noi. Premetto che eravamo tutti storti: non c'era nessuna postura, nessuna forma, ci inventavamo le tecniche, non sapevamo fare nulla. Era proprio una passione, anche se non sapevamo niente! Sapevamo solo che si chiamava breaking, ma non conoscevamo l'hip-hop, non sapevamo cosa ci fosse dietro.

Quando avete iniziato a ballare c'era già una scena avviata in Sardegna oppure voi siete stati i primi?

No, no, la scena c'era già! Noi non la conoscevamo perché avevamo quindici anni. Abbiamo conosciuto Gipsy e Alex che ci hanno introdotto nel binario giusto dove siamo entrati a contatto con la situazione di writing, di MC, dei DJ, e ovviamente quella dei b-boy. Loro ci hanno introdotto un po' a tutta la scena dell'undergroud cagliaritano.

All'inizio c'erano degli spot specifici in cui la scena si allenava, o radunava?

Si. Io ho iniziato davanti casa mia, come ti ho detto. Poi sono venuto a sapere che c'era una pista di pattinaggio dove negli anni '80 i b-boy si allenavano e quindi abbiamo preso anche noi a frequentare questo spot. C’erano anche le gallerie Ormus, da dove abbiamo preso anche il nome della nostra crew. Questi erano i due spot principali. Erano frequentati da tantissimi ragazzi, non solo da b-boy.

All'inizio le discipline dell'hip-hop erano praticate tutte insieme? C'era una scena compatta, non c'era separazione?

No, infatti una cosa che io dico spesso è che ciò che si è perso in questi anni è proprio questa unione. Prima la scena era totalmente compatta: il writer conosceva tutti i b-boy, i b-boy tutti i writer della scena. Gli MC, i DJ, dopo l'allenamento ce ne andavamo tutti insieme al bel vedere di Cagliari e stavamo assieme, parlavamo, ascoltavamo i mixtape degli MC, era un ambiente hip-hop totale! Hip-hop al completo. Anche io all'epoca mi misi a fare writing, perché avevo degli amici che lo facevamo ed ero preso a bene a fare anche quello. Era tutto collegato! Conoscevamo tutto, di tutti! Eravamo aggiornati sui migliori writer della penisola, sui migliori MC, una cosa che è adesso è difficilissima da trovare.

Quanto ha influenzato questo ambiente così interconnesso i tuoi primi anni nel mondo del breaking?

Mi ha aiutato tantissimo perché io sono di carattere molto timido. Sono tendenzialmente troppo timido. Però, avendo al fianco tutte queste persone che mi incoraggiavano a livello artistico, mi ha insegnato a esprimere me stesso! Dovevo farlo per forza perché era una necessità, mi veniva spontaneo. Questa comunità era talmente forte che mi permetteva di mettere da parte la mia timidezza ed espormi, farmi conoscere, far vedere quello che sapevo fare. È stato un ambiente importantissimo per me, per il mio carattere. Era un andare avanti tutti insieme, per forza di cose ti dovevi mettere al passo insieme agli altri.

Avevate dei veri e propri maestri che vi insegnavano, o l'apprendimento era più un passaparola che si tramandava da uno all'altro in modo casuale?

Io ho due mentori: Gipsy e Alex, però loro non mi hanno mai insegnato dicendomi: "devi fare così, ti devi mettere così", io guardavo loro e cercavo di emulare, poi parlavo con loro e cercavo di capire il fatto di non dover copiare, che dovevo essere me stesso e non dovevo cercare di imitare un'altro anche se era forte. Imparai a prendere ispirazione senza copiare. Ma non c'è stato nessuno che mi ha insegnato il breaking a livello tecnico. Mi hanno insegnato moltissimo a livello di spirito, di anima, questo si. È stato molto importante avere questi due mentori, per me.

Poi, nel corso degli anni è subentrato Robertino - un b-boy di Sassari - e lì è stata proprio un'apertura mentale. Lui mi ha fatto capire che il breaking non è fare unicamente windmill o il thomas, ma è proprio un'altra cosa, un'altro spirito, un'anima che danza. La mia anima che danza. Era importante appoggiarmi a questi personaggi per capire ulteriormente quello a cui stavo andando incontro, è stato molto importante e molto profondo. Per me sono maestri anche se non mi hanno insegnato molto a livello tecnico, ma lo spirito e l'anima di questa disciplina.

A Cagliari - i primi anni in cui ballavi - si percepiva rivalità fra le varie crew, oppure era un ambiente piuttosto unito?

No, anche questo era diversissimo: per noi era la festa! C'erano le jam, io non conoscevo la parola competizione, non c'era la gara. Per noi era la festa, la jam era la festa. Io mostravo quello che sapevo fare, loro mi mostravano quello che sapevano fare, ma non c'era nessuna ansia da prestazione, era tutto un brivido il rivedersi con i Sirbones di Sassari, ad esempio. Vedere loro, vedere come ci si approcciava al cerchio, al cypher. Non era una giungla! Qui a Cagliari era visto tutto come una festa: c'era la birra, la gente, l'ottima musica, nessun momento di competizione, noi mostravamo quello che avevamo imparato nei mesi prima della jam e condividevamo questa disciplina con tutti gli altri. Ma nessuna rivalità.

Anche nei cypher, mai accaduta una sfida. Era uno scambio, solo condivisione: entrava uno, usciva, e poi entrava l'altro. La cosa che ricordo di più è che era un rappresentare la propria cricca, la propria crew. Io facevo parte dei The Free Breakers - che è la mia prima crew - e mostravo come noi approcciavamo il breaking, però non attraverso le sfide. C'era più entusiasmo per la situazione, per la musica!

La Sardegna, essendo un'isola, era un ambiente piuttosto chiuso a quel tempo, oppure era già interconnessa al resto della scena hip-hop nazionale?

No, totalmente chiusa! Per farti capire: io ho iniziato a ballare nel '95 e nel 2001 ho conosciuto il six step! Sono passati sei anni! Un giorno, Cima mi chiese: "ma tu lo sai fare il six step?", e io con i miei amici Ormus ci guardammo come per chiederci cosa fosse. Credevamo fosse una categoria di roba oltre al breaking (ride), non sapevamo fosse il passo base dei footwork. Lì capimmo che eravamo proprio cresciuti su un'isola, eravamo isolati da tutte le informazioni. Eravamo fisicamente e mentalmente troppo chiusi. Noi conoscevamo tre move: il thomas, il windmill e il giro di testa. Il resto: il footwork, ad esempio, era chiamato scramble, un farfugliare con le gambe! Ma niente di concreto, niente di giusto! I primi anni per noi sardi sono stati allucinanti. Io dopo cinque anni sono uscito dalla Sardegna per la prima volta ho fatto il B-boy Event a Bologna, quando arrivai lì capii che su alcune cose stavamo allo stesso punto degli altri, ma su altre - a livello di conoscenza - eravamo totalmente ignoranti. Io dico sempre che noi ci siamo creati il nostro hip-hop, probabilmente sbagliato, ma era il nostro hip-hop, la nostra favola. Poi, abbiamo conosciuto, abbiamo studiato, capendo che molte cose le facevamo in maniera errata.

Come è stato il primo impatto con il resto della scena?

L'impatto è stato fortissimo! Il primo b-boy davvero forte che ho visto in Sardegna è stato NextOne, nel ’96, quello fu un colpo incredibile, forse quello che ha rafforzato di più questa passione. Poi, nel 2000, ho fatto la mia prima jam fuori dall’isola: il B-boy Event, in cui era presente tutta la scena italiana, dove ho visto e preso parte ai primi battle nel cypher. Arrivare a Bologna e vedere quell'anfiteatro pieno di gente ricordo che per noi sardi fu qualcosa di assurdo. Io non sono entrato subito nel cerchio, aspettai un po’, mi venne l'ansia da prestazione! Capii che lì dovevo fare le cose bene altrimenti sarei stato visto come un piccolo pastorello che voleva fare la break dance. È stato tutto molto forte, ricordo ancora bene quella sensazione. Lì si conoscevano tutti e noi eravamo quelli vestiti male, storti, non facevamo un footwork corretto, noi chiedevamo informazioni a tutti, ai ragazzi di Milano, di Bologna, di Bari, volevamo capire cosa fosse il breaking, cosa fosse l'hip-hop nella loro città! Nel 2001 feci il mio secondo viaggio a Pesaro, al primo Hip Hop Connection, dove vidi Kujo con tutta la sua crew. Sono stati i primi americani che ho visto dal vivo e rimasi impressionato dalla loro personalità, dal carattere, dall’attitudine! Cercavo di imparare anche solo guardandoli. Una cosa che non rimpiango della nostra scena è il fatto di essere selvaggi! Noi sardi eravamo sporchi, tutti vestiti male, ma la nostra attitudine ha sempre suscitato interesse, quindi chi ci vedeva ci rispettava, eravamo storti, ma molto appassionati! Ci mancavano un sacco di nozioni, ma vedere le scena italiana in quel periodo è stata un'ulteriore motivazione per studiare e andare avanti.

Quando sei entrato la prima volta in una crew?

Io non sono mai entrato in una crew, ho sempre fatto parte di quelli che le hanno create. La mia prima crew è stata i TFB - i The Free Breakers - che era la crew del mio vicinato. Ho avuto la fortuna di avere un'infanzia con un vicinato pieno di miei coetanei e in cinque, sei, creammo questa crew. Poi, ho cominciato a studiare, mi sono allenato e abbiamo conosciuto altri ragazzi che facevamo breaking. Quindi: TFB, Sfida al Tempo e Natural Born Killers, abbiamo deciso di unirci e diventare Ormus. Eravamo in una decina all'inizio, dieci fondatori, era il 2001.

Che significa per te essere una crew? È un significato che è cambiato nel tempo?

Per fortuna io ho una crew. Per me la crew è una delle basi del breaking, è importante avere un gruppo dove tu puoi confrontarti con i tuoi amici. È un qualcosa di estremamente importante. Non a caso io ho tutti indumenti con il nome della mia crew scritto sopra! Io anche quando vado a fare i battle, quando vado a fare la giuria, ci tengo a rappresentare chi sono, la mia gente! La crew non è solo un team di gente formata per spaccare il culo, ma è la mia gente. Grazie a loro ho imparato a conoscere questo mondo, a essere un uomo. Vuoi o non vuoi insieme ai tuoi amici ci cresci. Avere una crew è troppo importante. Potrei anche ballare con gente tecnicamente più forte di me, ma il vibe sarebbe un altro. Se devo andare in guerra scelgo la mia crew! Voglio essere spalleggiato dalla mia crew. Quando faccio il battle voglio la mia gente dietro, la voglio! È la mia forza! La crew è uno stato mentale in cui condividi tutto, anche cose che hanno poco a che fare con l’hip-hop.

Come pensi che abbia influenzato il tuo breaking la crew Ormus Force? C'è stato un cambiamento anche nel tuo modo di ballare?

Ti dico di sì, perché in Sardegna i nostri mentori ci ripetevano sempre che dovevamo imparare a esprimere noi stessi senza rifarci ai nostri idoli Sirbones di Sassari. Ci dicevamo che noi dovevamo creare una nostra identitàsenza emulare quello che facevano loro. Ci dicevano di seguire la nostra impronta. Ormus doveva essere riprodotto in modo originale anche sul pavimento! Parole come queste, dette dai pionieri sardi, ci hanno formato! Posso dire onestamente, senza alcuna presunzione, che nella mia crew siamo tutti diversi. Stilisticamente parlando abbiamo tutti quanti la nostra identità, ma allo stesso tempo rappresentiamo tutti un'unica parola: Ormus! Siamo un unico spirito. Anche il mio modo di ballare è condizionato dalla mia crew, ha preso forma attraverso di essa. Il fatto di ballare in strada, ad esempio, io sentivo di dover rappresentare l'anima street! L'anima selvaggia! Anche il mio modo di ballare veloce, un po' grezzo, magari è dato anche da quello. Ma è sempre stato naturale, non mi sono mai costruito la cosa, ho sempre ballato con spontaneità.

Legandomi proprio a questo che mi ha detto vorrei introdurti un nuovo argomento. Nel mondo del breaking e dell'hip-hop sentiamo molto spesso parlare del concetto di stile: che cos'è lo stile nel breaking, secondo te, e perché è così importante?

Anche io sento parlare molto spesso di stile, stile, stile, di gente che magari fa solo top rock e footwork, ma per me quello non è stile, perché molti fanno lo stile di altri! Quello non è stile. Lo stile è quando si raggiunge al cento percento un livello artistico in cui tu sei totalmente spontaneo, totalmente naturale nella tua artisticità! Quando tu balli e respiri la tua spontaneità, quando balli con il tuo essere e si vede. Questo è per me lo stile! Questo significa rappresentare una tipologia di breaking, uno stile di breaking. Stile non vuole dire ballare con top rock e footwork, uno può avere stile anche facendo solo freeze e power move! Stile è quando uno raggiunge totalmente la sua spontaneità, quando è naturale e si vede, ha i movimenti naturali. Lo stile è molto importante da conoscere, anche se non è facilissimo da insegnare.

Credi che lo stile sia qualcosa di personale, oppure collettivo? Esiste lo stile di una crew? Di una città? Esiste uno stile di Cagliari, secondo te?

Si. Io credo che esistano gli stili delle crew. Prendi i Sirbones, ad esempio, hanno il loro stile: loro arrivano, non fanno neanche la fila, entrano, passano, vanno nei cypher, sfidano tutti! Questo è il loro stile! Anche noi come Ormus abbiamo il nostro stile. È difficile vedersi da dentro, però quello che ci hanno sempre detto la altre persone è che noi siamo umili e decisi. Selvaggi, ma silenziosi. Non facciamo molto casino per farci notare, ma in silenzio abbiamo sempre fatto il nostro. Quindi, si, lo stile può esistere anche a livello collettivo. C'è una crew americana, ad esempio, i Battle Born di Las Vegas! io quando li vedevo dicevo: "ecco, questa è proprio una crew anni '90!", lo stile ce l'avevano tutti diverso, ma rappresentavano tutti la stessa cosa. Esiste uno stile collettivo delle crew, è come un marchio di fabbrica! Come Ormus abbiamo un nostro stile, uno stile collettivo di approccio per divulgare questa disciplina.

Lo stile è qualcosa che viene appreso, oppure inventato?

Con lo stile - quello che consiglio sempre - è che bisogna avere pazienza. Imparare a conoscere sé stessi, a livello artistico, non è mai facile. Capire in cosa uno è predisposto, come deve muoversi! Lo stile non deve essere costruito, però ci devono essere dei passaggi. Con la tua naturalezza lo affini ogni anno, ogni mese, è una ricerca continua! Questo è quello che intendo. È uno studio profondo che puoi fare solamente attraverso la pratica e la pratica non è l'allenamento: ma il cypher, il battle, confrontarsi con gente a livello di breaking, farsi venti round per capire il tuo limite! Quando arrivi al quindicesimo round e dici: "okey, ora sono nella merda, come mi esprimo?" è lì che scatta veramente il tuo stile! Lì esce veramente chi sei dentro! Per me è una ricerca continua. Costruire lo stile a forza è impossibile.

Come è cambiato il tuo stile con il passare dell'età?

Io ho iniziato che facevo prettamente power move, però sentivo che non mi bastava, volevo esprimermi anche in un altro modo. I primi sei anni ho fatto prevalentemente move. Poi, dal 2001 fino al 2010, ho cercato di battere la spugna, nel senso, ho provato a imparare, ho studiato. Io divido il mio breaking in tre, o quattro fasi: ho iniziato con le power move; poi ho cominciato a fare set con le skill, con passi inventati, senza nessuna foundation; poi ho capito l'importanza di avere un bagaglio di foundation da dover studiare per forza, ho capito il footwork, la struttura delle entrate. È dinamica come cosa. Io non ho avuto veri e propri maestri a livello tecnico, quindi c'è sempre stata questa difficoltà di iniziare, questa necessità di ricercare, sono stato molto lento nell'imparare delle cose. Ho cambiato diverse volte il mio modo di ballare. Il breaking è dinamico. Assolutamente.

Quanto credi che ti abbiano influenzato i viaggi che hai fatto?

Io ringrazierò sempre il breaking e l'hip-hop che mi hanno fatto viaggiare, perché mi hanno permesso di conoscere culture diverse, modi di pensare diversi e modi di affrontare il breaking in maniera diversa, capito? Io sono stato a Los Angeles, sono stato a New York, mi sono messo a confronto con gente che lo ha inventato il breaking, quindi, parlando ho capito determinate cose, anche il mio breaking si è sviluppato grazie a questo tipo di studi. Parlavo con gente dei Dynamic Rockers, cazzo, stavo praticamente studiando in quel momento là! Il viaggiare è stato un capitolo della mia vita fondamentale, in cui ho capito cosa dovevo fare: ho parlato con Roxrite, ho parlato con Robin, e ho capito diverse tipologie di approccio al breaking sia con gli americani che con i russi. I russi sono più inquadrati, gli americani più chill e fanno tutto come gli viene. Anche questo mix è stato molto importante per il mio breaking, miscelare un po' tutto quanto, per capire dove mi trovavo meglio. È molto importante l'aspetto dei viaggi.

Cambiando argomento, vorrei farti alcune domande relative a due diversi contesti di pratica: il cypher e il contest. Innanzitutto, cosa rappresenta il cypher per te?

Il cypher per me è un rito. Io sono abituato a fare il cypher con i miei amici, quando faccio il cypher con loro è un paradiso. Però riconosco anche che mi piace la giungla. Quando ho fatto il Freestyle Session mi ricordo che feci cypher con Remind, con Morris, ho dovuto spingere, pensare anche alla prestazione di quello che dovevo fare. Per me il cypher è un rito in cui esponi te stesso in maniera naturale, nel tuo habitat, insieme alle persone che ti circondano. Tu prendi energia da queste persone per mostrarti nel modo più reale possibile. Il cypher è tutto per la nostra disciplina. Se non sai ballare nel cypher non puoi capire realmente che cos'è il breaking. Tutti confondono il cypher con il call out (la sfida). Purtroppo mi trovo a dover categorizzare anche i cypher: ci sono quelli in un modo e quelli in un altro. Io prendo tutto come buono, accetto le cose positive e negative. A me il cypher piace perché sono libero: c'è la musica, la situazione che crea l'energia, mi esce lo spirito, l'anima. È un rito troppo importante che non deve essere mai perso.

In relazione al contest, invece, quali sono le differenze che provi nel ballare in un cypher oppure in una competizione organizzata?

Non ti nego che negli ultimi dieci anni il contest è quello che mi ha preso di più. È quello che mi dava più l'adrenalina. Il contest, per me, è amore e odio. Ci sono delle volte in cui sono preparato per il contest e mentalmente sono così pieno che arrivo al battle e perdo alla prima, proprio perché mentalmente non c'ero! Ero troppo concentrato sul battle. In questo senso il contest mi fa cagare, quando mi crea l'ansia da prestazione, questa cosa di dover vincere, di dover arrivare lontano, non mi piace. Infatti, tutte le volte che mi sono andati bene i contest è quando andavo là in modo tranquillo, quando pensavo solo a portare me stesso all'evento, consapevole dei miei difetti, dei miei pregi. Se perdo, perdo con le mie cose. L'approccio al contest, certo, è totalmente diverso, non neghiamocelo. Io quando faccio il battle ho un piano che spero si attui, molte volte mi va bene, altre va malissimo. Nel cypher non ho un piano, posso fare i miei set, posso andare freestyle. Nel battle so cosa posso fare e cosa non posso fare, è un po' più studiato e anche questa cosa qui mi piace: conoscere l'avversario, studiare l'avversario, avere una strategia. Sono queste le differenze.

Mi hai detto che ci sono diversi tipi di cypher, quanto è importante per un b-boy il sapersi adattare a tutte queste situazioni differenti?

Guarda, io ho fatto 40 anni ieri e ti dico che è davvero importante sapersi adattare a tutto. L'anima del b-boy rimane e si vedrà sempre, però uno deve essere capace di affrontare tutto. Come ti dicevo prima, quando ero al Freestyle Session dovevo sforzarmi a fare anche i cypher "giungla", perché volevo mettermi alla prova. Lì è molto importante riuscire a plasmarsi, ad adattare il proprio stile in diverse situazioni. Nei cypher, nei contest, negli show. In ogni situazione hai un diverso stato mentale. È importante essere lucido e capire come gestire questa cosa qui.

A livello di spazio e pavimento, invece, quanto è importante sapersi adattare?

Lo spazio mi ha sempre causato problemi, perché non essendo sciolto a livello fisico quando trovo i cypher piccoli ho sempre avuto difficoltà. Con l'esperienza ho imparato a capire che quando mi trovo dentro cypher stretti devo fare dei frontal step, non posso iniziare a girare come faccio di solito, devo rimanere frontale, adattando il mio breaking anche a quella situazione. Il pavimento onestamente non mi ha mai creato particolari problemi. Certo, se mi dici di ballare sulla ghiaia potrei avere qualche difficoltà (ride). Però ho ballato sull'asfalto, su tappeti scivolosi, su pavimento allucinanti. Io ho un modo di fare breaking in cui non ho bisogno di scivolare, non ho slide che sul cemento non posso fare; il mio breaking è basato quasi interamente sugli step, quindi vuoi o non vuoi appoggio il piede, salto e riappoggio. Non ho mai avuto questa grossa difficoltà a cambiare pavimento, anche se alcune cose - ovviamente - in certi ambienti non le posso fare. Ma con il breaking che sto maturando in questi anni non è un grande problema. Certo, spero sempre di trovare un buon pavimento specialmente nei contest, lì il pavimento deve essere perfetto. Nel cypher, invece, può capitare ovunque non è che mi faccio problemi. Per quanto riguarda il cypher piccolo - ti ho detto - mi accorgo che lì dentro il mio breaking non riesce a esprimersi al massimo. Però se mi devo adattare provo a fare dei frontal step, dei kick out, robe così, eliminando quelle cose che possono arrivare ad ammazzare la gente intorno a me nel cerchio (ride).

Si sente spesso parlare di go off, tu come lo descrivi?

È uno stato mentale che esce raramente, ma non so come attivarlo, come controllarlo. È qualcosa a cui tutti noi aspiriamo! Non è né vincere, né perdere, lì è totalmente fare breaking e stare bene con sé stessi. Mi è capitato e non mi ricordo come. Una volta c'era un cypher al Fluido Jam dove ero con i ragazzi di Sassari e altri ragazzi di Torino. Lì io ero in trance, eravamo proprio tutti in trance, in questa saletta. Stavamo andando avanti a oltranza. Io ero in uno stato mentale in cui non pensavo più, non pensavo neanche a quello che dovevo fare. Purtroppo, mi è capitato raramente e non so minimamente come riattivarlo. Ricordo solo che abbiamo ballato tantissimo, è stato un momento in cui mi sono sentito davvero su un altro pianeta, in un'altra dimensione.

Tu sei anche insegnante, giusto?

Si

Da quanto insegni?

Dal 2005.

Prendendo sempre questo concetto: quanto credi sia importante la pratica del cypher nell'insegnamento del breaking?


Questo è importantissimo perché il cypher - riprendendo anche quello che ho detto prima, essendo io una persona molto timida - è un ottimo metodo per comunicare, per diventare estroversi. Il gesto di entrare e di mostrarti alla tua comunità è molto importante! Io lo faccio sempre, è qualcosa che ho sempre fatto nelle mie classi. Il cypher va insegnato subito. Prima di introdurre a cosa sia un battle - oppure a tutto il resto - il cypher è qualcosa che va insegnato! Non tutti sanno farlo, non tutti capiscono in che momenti va fatto, tutto questo va insegnato da subito perché così i ragazzi sviluppano personalmente un senso di essere sé stessi molto più autentico. Nel battle hanno l'ansia da prestazione, mentre nel cypher - anche nei momenti in cui ci sono i call out e si sfidano - sono molto più spensierati! Vedo che sono più tranquilli, accettano di più la sfida, non sono giudicati come nel battle in cui c'è una vera e propria giuria! Nel cypher per una persona puoi avere perso, per un'altra hai vinto, ad altri non gliene sbatte un cazzo della tua sfida (ride).

Il cypher - te lo ripeto - è un rito! È un rito che va conservato, va spiegato, va insegnato nel migliore dei modi. Anche io lo sto ancora studiando, è un rito bellissimo che ci caratterizza molto come disciplina. Ai miei allievi lo dico sempre: "non entrate nel cypher per provarvi i freeze, prendetelo come un momento in cui dovete comunicare senza parlare", è un momento di condivisione. Ci sono i cypher in cui si ècome in una giungla e ci si ammazza, ma ci sono anche quelli di condivisione. Questa è un'altra cosa che voglio insegnare ai miei allievi. Io sono partito con cypher che erano solo di condivisione, ma negli ultimi dieci anni mi sono aperto a insegnare anche una modalità di cerchio più aggressivo! Perché se i miei allievi partono e vanno - ad esempio - a Roma, vanno in un cypher infuocato e lì devi far uscire le palle, altrimenti sei un pollo in quell'ambiente. Quindi sto cercando di sviluppare dei metodi di insegnamento che preparino i miei allievi non solo ai contest, ma anche alle sfide nel cypher. Bisogna essere sempre pronti.

Il cerchio lo metti all'inizio o alla fine di una lezione?

Capita delle volte che arrivo a lezione e i ragazzi mi dicono: "facciamo cypher!". È capitato che magari fossi stanco e gli risponda: "si, facciamo un cerchio di mezz'ora e poi iniziamo la lezione", il fatto che loro me lo chiedessero per me era ottimo. Però la maggior parte delle volte io il cypher lo metto alla fine. Nell'ultimo quarto d'ora faccio due, tre cypher così possono ballare tutti più volte. Però, si, mi è capitato di metterlo anche all'inizio come riscaldamento.

Cosa cerchi di insegnare maggiormente ai tuoi allievi?

Io cerco di tramandare prevalentemente quello che mi hanno insegnato i miei mentori, ossia: l'essere sé stessi. Io non voglio vedere Lil Zoo - oppure Kid David - quando ballano i miei allievi, quelli ci sono già! Io faccio sempre l'esempio dei quadri. Se noi prendiamo i quadri famosi sono tutti diversi fra loro, non è che Picasso si è messo a fare La Gioconda! Picasso è Picasso perché era unico, di vedere un altro Picasso a me non interessa! Io da subito sto cercando di insegnare questo ai miei allievi, che devono essere totalmente naturali. Devono prendere ispirazione, ma poi devono fare la loro ricerca per capire chi sono, per capire cosa devono fare! Poi, io gli do tutti gli strumenti possibili: le foundation, i top rock, i footwork, le power move, i freeze! Devono saper fare entrate di tutti i tipi, rispettando sempre il breaking, perché comunque il breaking ha le sua fondamenta. Non è che uno entra in BMX e poi si mette a fare l'Air Freeze, quello per me non è breaking! Bisogna rispettare il breaking, la disciplina, la musica.

Il mio insegnamento si basa su questi punti fermi: essere sé stessi, rispettare l'essenza e la disciplina del breaking, avere le sembianze da b-boy, anche a livello di vestiti e tutto. Di solito su mille uno riesce a capirlo davvero bene, fino in fondo.

L'insegnamento lo svolgi solo in palestra, oppure porti i tuoi allievi anche fuori?

No, no, loro vengono anche fuori. Ad esempio, ci sono dei ragazzi che hanno iniziato in palestra, ma a un certo punto gli ho detto: "ragazzi non so più che cosa spiegarvi, se volete continuare è meglio se venite alla galleria Ormus ad allenarvi con noi!”, è una cosa che va anche contro la mia economia, ovviamente, però davvero non so più cosa spiegargli, preferisco che vengano alla galleria, che ci alleniamo insieme all'aperto. Quando la situazione tornerà normale vorrei organizzare degli allenamenti all'aperto in cui i ragazzi facciano i cypher tra di loro, un allenamento libero, in cui facciano quello che vogliono fare.

Portandoli in diversi contesti hai mai notato una differenza nel loro modo di ballare rispetto all'allenarsi in palestra?

All'inizio si! Per dirti, quando sono venuti alla galleria Ormus le prime volte erano intimiditi! A livello fisico non riuscivano proprio a entrare perché magari entrava Boogie, entrava Lucio, entravo io, a livello di carattere dovevano capire dei meccanismi, poi con il passare del tempo hanno imparato. Per quanto riguarda quelli più piccoli, invece, non noto alcuna differenza: loro vanno a macchina, si vede la spensieratezza. Quelli di diciotto, diciannove anni, si fanno più problemi, però ci sta, è normale! È un'altro ambiente quello di strada.

Vorrei farti alcune domande su un'ultima questione spesso dibattuta all'interno dell'ambiente del breaking e dell'hip-hop. Tu credi che nel breaking ci sia differenza di genere?

Credo che la differenza di genere in ambito artistico non esista, ci possono essere - in alcuni casi - delle differenze a livello di prestazioni fisiche, ma non sempre. Delle volte vedo alcune ragazze emulare i gesti dei ragazzi e questo non mi piace. Le b-girl non hanno bisogno di ballare come i b-boy, quindi mi piace guardarle quando sono naturali, quando sono loro stesse. Poi, ti dico, io ci vedo tanta ingiustizia per le b-girl. Il Red Bull Bc One B-girls doveva esistere da moltissimo tempo. Okey che la richiesta è più bassa, ma doveva esistere da prima. È giusto che anche le ragazze abbiamo voce in questa disciplina, perché anche io - che ballo dal '95 - ho visto moltissimi episodi in cui le ragazze non ti dico che venivano discriminate, ma per loro era un problema fare hip-hop. Almeno per quello che vedevo io.

Puoi raccontarmi un episodio di questo genere?

Certo, ad esempio - una volta - in un club a Cagliari c'era una persona che disse che le ragazze nel cerchio non potevano ballare breaking, ma solo stand up, capito? Allora io avevo quindici anni, e mi sono stato zitto. Se mi capita adesso una cosa del genere io faccio un casino. Cioè, ma che vuol dire? Non va bene cazzo. Questo è quello che è successo nell'ambiente hip-hop in generale, non solo nel breaking. Anche le MC, per esempio, quando c'erano le ragazze che cantavano qua a Cagliari è sempre stato un problema farle cantare, perché prima c'erano i ragazzi e poi dopo se c'era tempo facevano cantare le ragazze, altrimenti non cantavano. Quindi, in questo senso, posso dirti che ho vissuto un po' tutte le epoche.

Come è la situazione adesso in confronto al passato?

No, adesso la cosa sta cambiando. Adesso anche io ho molte allieve b-girl. Le ragazze hanno preso più coraggio, gli è stato dato giustamente più spazio, ed è giusto così!

Tu credi che sia giusto dividere le categorie nei contest?

È una domanda che mi sono fatto spesso nel tempo. Il fatto è che ci sono alcune b-girl che porca puttana sono davvero allucinanti! Io penso a Kastet, oppure a Kate, ma anche Anti - la ragazza italiana che ha vinto l'altra volta - se una di queste ragazze la metti contro di me io devo davvero impegnarmi! Io a livello di categorie farei: i b-boy, le b-girl e poi una categoria aperta a tutti, in cui possono partecipare bambini, donne, uomini, tutti insieme. Se mi chiedessero di scegliere, però, io le terrei separate, perché secondo me c'è ancora un po' di maschilismo e le ragazze avrebbero difficoltà a mostrarsi, a vincere qualche sfida in una situazione così.

A livello di insegnamento hai mai trovato delle differenze nell'insegnare a b-boy, oppure a b-girl?

Io dico sempre che le ragazze sono quelle più sveglie. Sono molto più concentrate. Quando parlo con le ragazze loro mi guardano negli occhi e so che mi stanno capendo, altre volte guardo un ragazzo e gli dico: "devi fare questo, questo e quest'altro", e non ha capito un cazzo. Quando va a terra non capisce proprio più un cazzo (ride). Le ragazze sono molto più diligenti, ma questo lo sottoscrivo pure, sono molto più concentrate all'interno di un contesto in cui c'è un maestro e una persona da cui devono imparare. I ragazzi li vedo spesso poco umili nel capire che c'è una persona che sta lì e che deve insegnarti qualcosa. Con le ragazze è molto più semplice, ho sempre avuto degli ottimi risultati.

Tu balli dal '95, è moltissimo tempo. Cosa credi sia cambiato di più nel mondo hip-hop in tutti questi anni?

La più grande differenza, innanzitutto, è la comunicazione e l'informazione. Prima non c'era informazione. Oggi esce un battle e ce l'hai in diretta, capito? Le informazione sono tante! Grazie a internet anche io ho potuto studiare, ho potuto chattare con persone importanti, mandare email. La differenza è abissale rispetto a prima, rimanevo nel mio vicinato, non avevo il cellulare, non avevo il computer. Una cosa che a livello spirituale un po' manca - e che mi manca soprattutto - è il discorso della scena compatta: intendo tra writer, MC, DJ, b-boy! Io prima ero molto attento e sapevo chi fossero i gruppi musicali, i writer più in voga del momento, invece, oggi è breaking e basta! Se tu mi chiedessi chi è il writer più prolifico in questo periodo nel paese, io non ti saprei rispondere perché non so proprio chi siano. La scena non è compatta e questo mi manca, lo vedo fin dai ragazzini. Magari hanno la passione per il breaking e poi si ascoltano reggaeton, capito? O magari hanno interesse per il breaking e poi hanno ideologie politiche come il fascismo! Una cosa allucinante! Quando fai una disciplina creata dagli afroamericani, dai portoricani, un controsenso incredibile. Questa compattezza in generale mi manca, e si vede tantissimo in confronto con gli anni passati. A livello tecnico ti dico che prima le entrate duravano quei sette secondi, era un "entra ed esci" velocissimo. Oggi si arriva anche a quarantacinque secondi! C'è una tipologia diversa di prestazione. Anche sotto questo punto di vista è molto diverso.

Come ultima domanda vorrei chiederti - in base a tutta l'esperienza che hai maturato in questi anni - secondo te l'hip-hop è uno solo, o ne esistono tante tipologie diverse?

L'hip-hop a livello di stile lo puoi trovare in maniera diversa. Nel senso: l'hip-hop romano in confronto a quello sardo magari è diverso! Però l'hip-hop a livello di cultura, il concetto di hip-hop, è sempre lo stesso! Il fatto di studiare, di accrescere personalmente il tuo lato artistico, il tuo spirito, alla fine è quello! Quello che facciamo tutti è migliorare noi stessi, migliorare il nostro spirito, essere più spontanei possibili nella vita. In questo l'hip-hop è uno. Poi, ognuno se lo crea e lo sviluppa in maniera diversa e non vuol dire che uno sia giusto e l'altro sbagliato, è sempre lo stesso. Quello che ci lega è questa cultura! A livello spirituale lo vedo unico, ma a livello di stile vai in America e hai un tipo di hip-hop, vai in Italia e hai un tipo di hip-hop, vai in Russia e hai un altro tipo di hip-hop, però la cosa che ci accomuna è la comunità, lo studio di questa disciplina, il bello che può creare non solo ai ragazzi più grandi, ma anche a quelli più piccoli. Si! Per me l'hip-hop è unico, ma ha diverse tipologie di stili, di binari. È così.