Interviste "The Intelligent Movement - Corpo, Individuo e collettività nella cultura Hip-Hop" pt.9 B.Girl Eka

Pubblicato il 12 agosto, 2024
Lettura: 23 min read
Articolo di Matteo Benacchio

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Nona Intervista a Francesca Pallotta aka B.Girl Eka

Intervista dell'autore Jacopo Ferri

Foto di Erik G

Quando hai iniziato a ballare breaking e in quale città?

Faccio questa premessa: con le date sono una frana (ride), ma cercherò di rimettere insieme i pezzi. Ho iniziato a imbastire i primi passi con Crazy e Marco Sala dei Rapid Soul Moves quando ancora vivevo a Pescara, avevo tredici anni. Considera che io abitavo a Pescara, i Rapid Soul Moves stavano a Ortona, oggi fai conto che sono venti minuti di macchina, ma tornando indietro era abbastanza complicato avere una continuità. Crazy veniva a farsi l'estate a Pescara e si allenava sotto i portici. Io tecnicamente mi allenavo da sola, a casa, con un video fatto a Crazy e con delle visite sporadiche a Ortona. A quel tempo - principalmente - la mia attività era skateare. Io andavo sullo skate, facevo le gare e contemporaneamente mi piaceva l'hip-hop come cultura - nello specifico il rap - quindi bazzicavo anche le jam. Da lì nacque l'interesse per la danza.

Quando avevo tredici anni e mezzo, quattordici, d'estate mia madre mi mandò in punizione a Bologna a casa di mia zia che fortunatamente per me abitava sopra l'Isola nel Kantiere - famosissimo centro sociale bolognese - dove all'interno c'era una rampa. Quell'estate ho messo per la prima volta il naso lì dentro, poi sono tornata a Pescara, ma nella prima estate disponibile sono tornata subito a Bologna: per me era il paradiso! Considera che con lo skate a Pescara negli anni '90 non c'era niente! Sono arrivata a Bologna e c'era rampa, graffiti, musica, gente che ti accoglieva! In quel periodo avevano sgomberato l'Isola nel Kantiere, nel frattempo avevano occupato il Pellerossa dove ho ricevuto la stessa accoglienza. Da lì sono entrata a far parte di un gruppo, diciamo così, e tornavo ogni weekend a Bologna che il sabato sera c'era Zona Dopa. Tu negli anni '90 potevi venire a Bologna entrare in un centro sociale e ascoltarti: Koas, Neffa, Deda, per non dirti tutti gli americani che ho visto! Facevo la pendolare praticamente (ride). Questo fino a quando, finito il liceo scientifico, mi sono trasferita a Bologna e da lì ho iniziato effettivamente a ballare. Ho praticamente appeso la tavola al chiodo, l'ho regalata, e ho iniziato ad allenarmi seriamente, avevo circa diciotto, diciannove anni. Ho cominciato qui a Bologna sotto i portici e mi allenavo con moltissimi b-boy.

Quindi, il primo contatto che hai avuto con l'hip-hop è stato direttamente attraverso la scena attiva. Non hai avuto un primo impatto tramite i video o la televisione?

No, no. Considera che io sono cresciuta a Pescara in una città che era divisa così: "i fighetti e gli alternativi", c'era una via in mezzo a queste due piazze giganti in cui c'erano da una parte i fighetti e dall'altra gli alternativi. Io facevo parte - ovviamente - della cricca degli alternativi e comprendeva: skater, punk, tutta la subcultura disponibile all'epoca. Ho iniziato facendo alcuni pezzi anche se proprio non era il mio (ride), io venivo dallo skate sono una persona molto attiva, quindi il ballo per me rappresentava il migliore sfogo. Anche se consideravo lo skate un quinto elemento. All'epoca stavamo tutti insieme non è come adesso che le discipline sono separate e a volte si incontrano; all'epoca c'erano i quattro elementi dell'hip-hop, in più lo skate e poi delle volte il punk hardcore. Nei centri sociali convogliava tutto questo genere di mentalità.

Quando sei arrivata a Bologna hai trovato una scena già avviata. Come era la situazione rispetto a Pescara?

A Bologna c'era un centro sociale in cui - ripeto - aprivi la porta e vedevi: Kaos, Trix, Deda, non si deve aggiungere altro. Erano gli esordi, è vero, però già parliamo di menti che stavano avanti rispetto a quello che era Pescara. Il fatto è che lì a Bologna c'era un posto! Noi anche a Pescara occupavamo i centri sociali, però non erano così "specifici", qui c'era proprio il tempio dell'hip-hop! Il sabato pomeriggio - con il fatto che poi c'era questa serata - tu riconoscevi per strada tutti quelli con il cappellino e sapevi che la sera li avresti rincontrati. La maggior parte della gente io l'ho conosciuta così, per strada.

Sotto il punto di vista del breaking la scena era molto attiva a Bologna?

Se devo essere onesta era quella meno attiva. Quando sono arrivata io a livello di MCing c'era già una situazione importante. A livello di writing c'era già l'SPA che bastonava sopra e sotto per l'Italia, già l'invitavano all'Hip Hop Juice ad Ancona. Onestamente, a livello di b-boying c'era Foglia, i Bolognina Breaker, con Mela, Joker. Quello che faceva la scena del b-boying vera e propria o comunque in generale la scena hip-hop - perché, ti ripeto, trovavi sempre tutti gli elementi - erano quelli esterni. Al di là dell'allenamento, che stavamo in tre, per il resto lo scambio vero era il sabato, quando c'era questa situazione e veniva gente da tutta Italia. Oltre al fatto che c'era il B-boy Event, ovviamente, anche se è arrivato un po' dopo. Ma faceva parte di quei momenti di aggregazione specifici.

C'erano diversi spot di allenamento a Bologna?

Noi vivevamo dentro questi centri sociali, eravamo sempre tutti là. Questi posti erano il Link, gestito principalmente da Soul Boy, e il Livello57, dove all'interno facevano Zona Dopa.

Quando il sabato veniva gente da fuori com'era la reazione da parte della scena? C'era conflittualità, cooperazione?

No, assolutamente, tu non vedevi l'ora Io con la mia crew di ragazze andavo in centro proprio a vedere chi cazzo arrivava (ride), non si vedeva l'ora! C'era un clima di totale accoglienza. Che poi è stato, secondo me, la vera rappresentazione dell'hip-hop, se consideriamo che nasce per aggregare, la cosa figa era che se io e te all'interno della serata ci scambiavamo lo sguardo e non ci eravamo mai visti scattava in automatico il "ciao". E questo avveniva per tutte le discipline. Tu conoscevi tutti i writer, tutti gli MC, tutti i DJ, tutti gli skater, tutti! Era proprio una comunità enorme.

Questo aspetto della cooperazione e della collettività, credi sia qualcosa che è cambiato - nel tempo - all'interno della scena?

Beh, parlando di Bologna - per quello che mi riguarda e per la situazione che abbiamo voluto ricreare noi con Strictly Underground - è un qualcosa che ancora resiste. E lo dico proprio specificatamente legato al fattore economico, nel senso che oggigiorno nessuno va più a suonare senza essere pagato, osannato, senza essere portato come il Cristo in processione. A Bologna ancora ci possiamo prendere il lusso di coinvolgere persone che credono in questi progetti, che hanno voglia di fare questa cosa e mantenerla viva, e quindi ancora resistiamo. Non solo a Bologna, diciamolo, tutte le persone che hanno partecipato a Strictly se venivano da lontano prendevano il rimborso, ma non chiedevano niente di più.

Strictly underground quando è nato?

Saranno cinque, sei, sette anni, forse un po' di più. Ed è nato perché frequentiamo ambienti in Europa dove facciamo questo: ci alleniamo, balliamo, ci confrontiamo, stiamo insieme e mi sembrava allucinante che in Italia, a maggior ragione a Bologna dove io ho vissuto questa cosa, non ci fosse un punto di raduno comune. Strictly Underground è nato chiamando gli amici, e continua a essere così. Tutti quelli che abbiamo chiamato sono persone con cui ci siamo relazionati personalmente, con cui ci siamo scambiati delle parole a livello umano, al di là del ballo.

Sotto il punto di vista delle crew, invece, qual è la tua storia?

In realtà, a parte io e le mie tre sorelle che avevamo fatto quella crew un po' così, non ho molto da raccontare. Io e Fabio eravamo coinquilini, passavamo le serate a guardare video, ad allenarci insieme e così dal nulla abbiamo detto: "perché non ci chiamiamo Wired Monkeys?", morale della favola siccome ci allenavamo sempre all'interno del Link e in quel punto c'erano quattro, cinque, sculture di scimmie giganti, noi volevamo darci un nome che rappresentasse quel posto, e così dunque è nato Wired Monkeys.

Tu fai parte anche di una crew internazionale: No Easy Props, giusto? Puoi raccontarmi l'inizio di questa storia?

Approdo a Los Angeles dopo una brutta litigata con un b-boy a Sacramento, ma non sapevo dove andare. Scrissi a Poe one, che mi diede il numero di Stuntman e lì ebbi una grande dimostrazione di hip-hop da parte sua, da parte di Teknyc, tutta gente che mi ha dato moltissimo supporto. Poi, ovviamente, è arrivata AsiaOne. Mancavano gli ultimi cinque giorni e mi scocciava di chiedere ancora: "rega ci ospitate?", quindi eravamo a un allenamento - tu considera che noi ci eravamo già viste in Svizzera perché Fabio era stato invitato a un evento qualche tempo prima - e quando lei mi vide mi venne incontro e ci disse di andare a stare a casa sua. Così, ci siamo fatti gli ultimi cinque giorni da lei ed è nato l'amore! Da lì sono tornata in Italia e dopo pochi mesi sono ripartita, sono andata da sola. Quando sono tornata in America sono stata da lei e mi chiese di entrare in crew. Ora sono due anni che non la vedo, ci sto malissimo. Di solito ci davamo appuntamento almeno una volta all'anno in Europa per vederci - oltre a Los Angeles, dico - infatti ci siamo viste due volte all'IBE, poi in Francia. Era un'abitudine.

Cosa significa, per te, essere una crew?

Sicuramente l'approccio è a livello sentimentale. Indipendentemente dalla tecnica, indipendentemente dalla forma, è qualcosa di empatico. Dico sentimentale perché se stiamo bene insieme pure se sei quello che si muove peggio di tutti in assoluto - perché comunque è una considerazione che va fatta, inutile che ci prendiamo in giro - l'importante è che nei concetti e nel vivere quotidiano ci sia empatia e condivisone. Ti faccio proprio un esempio pratico: se c'è da traslocare, tutti traslocano. Il sabato sera ci prendiamo tutti la pizza insieme, ci sentiamo tutti i giorni come una famiglia, anche solo così, naturale. Per questo ti dico che parte dall'empatia, non abbiamo mai detto a nessuno: "sei bravo, vieni a ballare con i Wired Monkeys", per farti capire. La stessa cosa vale per No Easy Props. Di base il concetto è di family. Entrambe partono dallo stesso concetto.

Ti porto su un altro argomento che riprende sotto certo aspetti alcune cose di cui abbiamo parlato: il concetto di stile. C'è una frase di Kase 2 che dice: "Devi avere stile se vuoi combattere per lo stile, se non hai stile perché vuoi far parte di un movimento che è interamente basato sullo stile?", basandosi proprio su queste parole, secondo te che cos'è lo stile nel breaking? E perché è così importante nella cultura hip-hop?

Primo perché ti contraddistingue. Quello che facciamo - detta proprio fuori dai denti - se lo estrapoli da tutto e prendi solo il movimento fine a sé stesso, più o meno lo fanno tutti. Se io lo spiego al mio vicino, lo fa! Bene o male, ma lo fa. Tecnicamente questo bene o male io lo traduco in stile. Che poi anche qui, io credo che le foundation abbiamo due, tre, capisaldi razionali, fisici, come la posizione della mano, la posizione dei piedi, per favorire il fatto che il tuo stile sia più fluido. Ci sono delle cose che tecnicamente, non solo a livello visivo, ma anche a livello fisico favoriscono il movimento: perché si parla di equilibri e tutta una serie di robe indispensabili. Il tuo stile, secondo me, è fatto da una buona base di foundation applicata alla tua fisicità, perché poi ognuno di noi è diverso. È inutile che provi a fare i passi di NextOne se non sei NextOne. Lo stile è fondamentale perché l'hip-hop nasce per distinguersi. Se non ti distingui, di fatto non stai facendo hip-hop.

C'è un insieme di caratteristiche che, secondo te, dovrebbe possedere lo stile di un b-boy, o  di una b-girl?

Le prime che mi saltano gli occhi sono: mani e piedi, perché da come li metti implica come sfrutti le tue leve; la musicalità, non tanto per quanto riguarda il prendere i tempi e le battute, ma quanto si vive la canzone in generale; poi il controllo, non solo di quello che fai, ma anche delle altre parti del corpo che in quel momento non stanno facendo il movimento; e infine la pulizia, ovviamente, preferisco uno che fa un giro di sixstep preciso, perfetto, piuttosto di uno che mi fa ducentomila svarioni e alla fine non ho neanche capito come cacchio balla.

Lo stile pensi sia qualcosa di individuale, oppure collettivo? Può esistere lo stile di una crew, o di una città? Nel tuo caso quanto le tue crew e le tue città - perché parliamo sia di Bologna che di Pescara - pensi abbiano modificato la formazione del tuo stile personale?

Allora, a livello di breaking per quanto riguarda Bologna nello specifico - senza dire frasoni, perché non mi va di fare la presuntuosa - lo stile è un po' il nostro. In quanto comunque siamo qui da tanto e tutti quelli che hanno iniziato a ballare seguono un po' la nostra scia. Per quanto riguarda la crew, per forza di cose, allenandoci sempre insieme ci viene un po' il dubbio se questo passo sia mio o tuo. Ma è naturale, ci alleniamo insieme! Quindi viene da sé che si entra dentro questo flusso. È quello che prima ti dicevo: se tu all'inizio - quando vieni a ballare - non hai quell'esatto movimento preciso, quando poi entri nel circuito a un certo punto ti viene naturale muoverti in quel modo lì.

Per quanto riguarda AsiaOne, mi piacerebbe! (ride) Ancora ho da lavorare. Ma ovviamente dipende anche dai contesti. Quando ero a Los Angeles e mi allenavo con gli Skill Methodz, K-Mel, AsiaOne, ero circondata da un contesto naturale incredibile che ti spinge. Io sono abituata a ballare senza chiedere un cazzo a nessuno. Fin dall'inizio, non è che sotto i portici ti insegnavano i passi, tu guardavi e provavi, poi eri fortunato se qualcuno ti rivolgeva lo sguardo e capivi se andava bene o no. A Los Angeles basta che ti siedi e anche se non provi la roba ti entra dentro per osmosi (ride), non so come si dice, ti entra nella pelle. È bellissimo, una cosa meravigliosa.

Lo stile è dinamico, oppure nel tempo si mantiene?

Certe cose ci tengo a mantenerle, perché comunque fanno parte di quella che è la mia storia, alcuni passi, alcuni movimenti mi ricordano il posto dove li ho fatti, dove li ho provati, capito? Mi tengono legata a questa cosa bella che è l'hip-hop. Però mi piace anche l'innovazione. Nell'ultimo periodo, ad esempio, mi sto allenando prevalentemente su cose che già ho perché non ho la calma mentale di potermi concentrare su altro, però mi piace mescolare le due cose.

Credi il tuo stile sia cambiato con il passare dell'età?

Sicuramente si! È normale, come tutte le cose: cambi, maturi! Poi se in meglio o in peggio lo diranno gli altri. Io quando guardo i miei video non mi piaccio mai, non arrivo mai. Mi viene da mettere a posto anche il cacchio di capello che esce fuori, sono una rompicoglioni. Sicuramente con gli anni lo stile è maturato: giustamente curi di più i dettagli, guardi più cose, magari ne tralasci anche altre, però, si! Lo preferisco oggi, forse, è tanto che non guardo dei miei video vecchi, quindi non ti saprei dire.

Tu sei anche insegnante?

Si! Insegno in delle polisportive, o palestre popolari, perché è inutile che vado sotto il portico tanto i genitori oggi non ce li portano. (ride) Poi, io sono una educatrice di strada, tecnicamente lavoro nei CAV - i Centri Anni Verdi - nei quartieri più disagiati di Bologna, in cui faccio lezioni di breaking inserite all'interno di un contesto hip-hop. Ho molti ragazzi tendenti alle violenze, alla droga, non tutti possono diventare ballerini quindi è importante proprio il concetto di hip-hop perché abbraccia questo disagio letteralmente.

Lavoro sia nei CAV che nelle scuole media. Quindi, tecnicamente io la mattina vado lì, ho le mie classi di alunni speciali che come unico elemento in comune hanno il disagio. Invece che fare matematica, geografia e le altre materie, stanno con me un paio d'ore e ballano, fanno i graffiti, cantano, scrivono pezzi. Io li ascolto, gli faccio le torte (ride). Una roba così.

È proprio un lavoro per te?

Si, si. È il mio lavoro.

Sapresti dirmi - sotto il punto di vista del breaking - quali sono gli effetti dell’insegnamento più evidenti su questi ragazzi?

Guarda, io l'esempio migliore che posso portare, che è stato proprio l'apice - tra virgolette - della mia carriera fino a oggi, è un ragazzo che abitava nell'ospedale psichiatrico che ebbe davvero dei risultati ottimi, al punto che hanno scritto una relazione medica ufficiale sulla cosa! L'hip-hop se usato e indirizzato nella maniera giusta, ha il potere di farti venire fuori quello che effettivamente sei. Ripeto che questo ragazzo era ospedalizzato, all'inizio me lo portavano, poi sono dovuta andare io da lui. Davvero, ebbe dei progressi incredibili. È stata principalmente una conquista sul proprio corpo, e poi per quanto riguarda in generale l'autostima.

Ci sono due modi di spiegarlo il breaking, secondo me: uno è basato sulla forza, un altro è basato sugli equilibri. Basato sulla forza non tutti lo possono fare, richiede una certa forza fisica. Basato sugli equilibri, invece, tutti lo possono fare. Di solito quando insegno sfrutto il principio dell'equilibrio. Quando capiscono che questa cosa la possono fare anche loro e dicono: "mi piace, mi viene", è quello poi il risultato finale. Fa sì di poter fare dei piccoli upgrade ogni volta, dandogli sempre maggiore confidenza in loro stessi. Perché come ti viene quella cosa che reputavi difficilissima capisci che nella vita ti può venire tutto.

Sempre sotto il punto di vista dell'insegnamento, tu quanto utilizzi il cypher o la sfida all'interno delle tue lezioni?

Utilizzo solo il cypher, di solito. La sfida la utilizzo principalmente se c'è un problema di base, se due hanno litigato e si vogliono menare - perché loro comunque si punzecchiano e queste cose succedono - in quel caso gli dico che se effettivamente gli vuoi rompere le scatole perché uno ti ha fatto un torto, ti metti là e lo sfidi. Però anche in quel caso sono bandite le offese da quattro soldi. Secondo me, l'hip-hop è ben utilizzato se ben contestualizzato. È un mezzo molto potente. Però, replicare dei cliché come ad esempio: vai a una festa e ti sfidi, perché? Abbiamo litigato? È successo qualcosa? No! Molti dicono: "ti sfido perché ti rispetto", ma non possiamo ballare semplicemente insieme? L’hip-hop nasce per unire. Perché - anche qui - se ci facciamo rientrare la cosa umana, sempre per guardare il quadro più grande, uno che viene e si approccia a te rompendoti i coglioni, quanta voglia hai dopo di andarlo a salutare? Non ti senti un po' un coglione? Dentro il cypher, fuori il cypher, per me è uguale. Sono una persona molto rigida. Devi mantenere una linea di coerenza. Non è che siccome nel mondo hip-hop negli anni '70 si facevano le sfide, o siccome in America si fanno le sfide bisogna ripetere dei cliché. Soprattutto a livello umano, dico. Perché poi, prima di tutto, lo scambio dentro il cypher è uno scambio umano.

Parlando proprio di diversi contesti di pratica vorrei farti alcune domande relative alle differenze tra cypher e contest. Innanzitutto, che cos'è per te il cypher e che cosa rappresenta?

Il cypher è scambio, reciprocità, rispetto - perché c'è modo e modo di fare il cypher - divertimento e soprattutto libertà. Tecnicamente nessuno ti chiama a rapporto, puoi anche stare a bordo cypher tutto il giorno e non entrare mai, in quel momento lì comunque stai imparando, non bisogna per forza entrare e farsi otto mila entrate! Poi se devi sfogare, balla! Ti supportiamo! Però ultimamente c'è questa foga che devi entrare per forza, ma l'hip-hop è anche lasciare spazio agli altri. Sono stata a diverse jam in cui sono andata senza ballare. L'ultima jam ufficiale è stata in Svizzera in cui sono andata che ero incinta di otto mesi e mezzo, fisicamente ero impossibilitata a ballare. Sai quanta gente in Italia mi ha detto: "ma che ci vai a fare?", ma non è che solo quando balli ti vivi l'evento, è tutto! È l'insieme, è l'ambiente! Vedi uno bravo e pensi che non hai imparato niente? Se ragioni così, per me, non sei hip-hop.

Quindi, il cypher rappresenta la libertà di essere tutto questo. Nessuno ti chiama. Tu vai quando vuoi: se ti piace la musica, se ti senti ispirato. È per questo che lo preferisco al contest. Il contest è una rappresentazione di quanto hai (pausa) studiato? È una rappresentazione, neanche una valutazione, perché spesso e volentieri dipende dove lo vai a fare il contest! Ti dico per esperienza personale - e mi fa strano - che a distanza di otto ore di aereo dall’Italia sei considerato un Dio e poi torni a casa e sei niente, ora io mi chiedo: la disciplina è la stessa, la gente è la stessa, io sono la stessa, che cosa succede? Ritornando alla domanda, credo che il contest sia più una dimostrazione.

Come cambia il tuo modo pratico di approcciarti al cypher e al contest?

Quasi per niente. Spesso e volentieri non mi sono mai allenata per il contest. Tutti noi lo facciamo con lo stesso mood del cypher. Quando ci troviamo a dover organizzare per andare a qualche contest valutiamo: uno, il DJ, che è quello che ci fa scegliere se andare o meno; due, la giuria, che è inutile che io vada a fare un contest in cui so già che c'è un giudice che mi reputa che non so ballare. Valutiamo questi due aspetti e se ci piacciono facciamo il contest, altrimenti probabilmente andiamo anche all'evento, ma senza partecipare alla competizione e lì ci ammazziamo di cypher. È capitato molto spesso.


Quanto è importante il controllo del proprio corpo all'interno dello spazio del cypher?

Moltissimo. Tu devi sapere dove stai andando, cosa stai facendo, è importantissimo, altrimenti lasci tutto al caso.

Pensi sia importante per un b-boy sapersi adattare a diverse situazioni come, ad esempio, cypher larghi, cypher stretti, pavimenti in marmo, parquet, e così via?

Assolutamente si. Noi ci alleniamo spesso nel cerchio piccolo, molto piccolo. Primo perché ci piace: ti spinge a dover controllare il tuo corpo sempre di più e non è facile, e poi, puoi essere bravo quanto ti pare, puoi fare i numeri che vuoi, ma se vai a New York e ti ritrovi nel club con la gente che ti sta sopra e devi ballare in un cerchio così e non lo sai fare, vali zero. Non mi piace il fatto di fare questi contest perché comunque c'è tanto spazio! Ho visto gli ultimi contest che hanno fatto della FIDS e davvero lo spazio era immenso! La fisicità è importante in questa cosa, l'hip-hop è fatto di corpi.

Quanto credi che condizioni l’ambiente, in una situazione hip-hop, il fatto di creare uno spazio tra le persone, una maggiore distanza fisica?

Cambia tutto! Non dico l'altro inteso come l’avversario, ma più che altro con la tua crew. Ma che sei matto!? Tu devi farti le gare con la crew che ti spinge dietro, gli devi stare appiccicato! Se vuoi ti racconto l'odore dell'ascella dei miei compagni (ride). Per quanto riguarda il breaking, nei contest, a me non piace andare sotto all'altro, perché lì è proprio rompere il cazzo e la sfida prende un'altra sfaccettatura. Fai le tue cose, lo spazio te lo lascio. Guarda, l'aspetto del contest mi sta sulle palle per un motivo solo: io e te non ci siamo mai visti, ci mettono uno qua e uno di là e automaticamente ci dobbiamo insultare perché è contest, poi finito il contest ci dobbiamo battere il cinque. Io sono confusa. Ci odiamo, o ci amiamo? Se non ci conosciamo perché ci dobbiamo approcciare con un mood negativo? E questo è stato il nostro "problema" - se vogliamo chiamarlo così - all'interno della scena italiana, perché la gente si approccia così! Per me non ha senso, l'hip-hop va contestualizzato! Siamo nel 2021, siamo esseri umani, se tu fai una cosa bella io ti batto le mani perché in quel momento mi stai dando una mano anche a me, capito?

Come ultimo argomento ti vorrei chiedere: in base a tutta la tua esperienza nel mondo dell'hip-hop, credi che nel breaking ci sia differenza di genere?

Allora, secondo me, il fatto che io sia una b-girl fa sì che per forza di cose il mio fisico sia diverso dal tuo, okey? Quindi non c'è un modo specifico stabilito secondo cui una b-girl debba muoversi. Io credo che una donna debba esprimere la sua femminilità nel modo migliore anche nel breaking. Non saprei dirti nessun atteggiamento specifico, non ce n'è bisogno. Ecco, se una b-girl emula i movimenti di un uomo, semplicemente perché sono ritenuti più "validi", credo sia sbagliato. Ci sono delle b-girl che quando ballano poi si cambiano e hanno anche la loro versione femminile, ma per me il massimo della femminilità è la treccia (ride). Ma io con il cappellino posso essere femminile, come tu con il cappellino puoi essere maschile, sono altri i dettagli che fanno la differenza. Questo a livello di breaking, naturalmente. Non voglio darti un cliché! La differenza non c'è.

Pensi che nel mondo del breaking e dell'hip-hop, in generale, ci sia sessismo e discriminazione? Qual è la situazione in Italia?

Si, sicuramente non si gioca ad armi pari. Purtroppo ci sono delle differenze a livello territoriale, diciamo così. In alcuni posti come l'America, se vogliamo fare il quadro di oggi, ci sono delle b-girl, delle MC, c'è una scena femminile fortemente riconosciuta, fortemente supportata e fortemente ringraziata per quello che ha fatto in questa storia. Questa è una roba che io ho vissuto in primis sulla mia pelle. Per quanto riguarda l'Italia non è solo una questione di genere, credo qui ci sia proprio un deficit nella scena a livello di gratitudine. Cioè, inizi l'altro ieri, dopodomani sei già arrivato e tutti quelli che c'erano prima di te è come se non esistessero. Si tende a farla diventare una cosa prettamente personale, egoistica, questo fa sì che si crei una separazione all'interno. È un problema italiano che non si lega unicamente alla questione di genere, è ovvio che se vai a stringere l'imbuto qualcuno in particolare ci rimette. Quando ho iniziato a ballare a Bologna c’ero solo io. (ride) Adesso ce ne sono (pausa) cinque, sei? (A Bologna? Si) Non stiamo parlando di grandi numeri. È una cosa che non è legata molto al genere, è proprio la scena italiana che riconosce solamente quelli che meglio si vendono. Mi sembrano tutti allodole e chi ha lo specchietto più luccicante viene osannato. Sembra che la gente non vede, non ci pensa, non mette insieme i puntini della storia. L'abbiamo vissuto noi sulla nostra pelle, con gente che negava perfino l’evidenza, pur di non ammettere che chi tanto è idolatrato in questo cazzo di paese tutto quel lavoro per la scena non l'ha fatto! Si, c'è discriminazione di genere, soprattutto in Italia.

Pensi che l’essere donna abbia influito sulla tua storia all'interno del mondo hip-hop?

Moltissimo.

Puoi farmi qualche esempio?

Certo. Soprattutto in modo negativo. Negativo nel senso soprattutto per quanto riguarda le discussioni, le litigate gratuite a cui sei sottoposto semplicemente perché hai deciso di ballare in quel modo lì, di pensare in quel modo lì. Il fatto che io fossi donna, qualcuno non l'ha proprio digerito, e tuttora non riesce a digerirlo. Quante persone non accettano il fatto che UNA pensa una cosa, te la dice in faccia esattamente come fosse il tuo amico al bar. Che problema c'è? Certe volte siamo arrivati anche alle mani per cose così! Ha influito molto il mio essere donna nella scena.

Tu come vedi la divisone di categorie all'interno dei contest?

Per me è una cagata. Ma che hanno fatto le gabbie? È proprio l’anti-hip-hop, questo è l’anti-hip-hop! Siamo nati per stare tutti insieme e devo sapermi relazionare con il vecchio così come con il bambino, la società è così! L'hip-hop - ti ripeto, ben applicato - potrebbe salvare il mondo, okey? Perché di fatto la società è così: tutte persone variegate che la pensano in maniera diversa che trovano una formula per andare d'accordo. In questo caso restringiamo ancora il cerchio, abbiamo tutti un elemento in comune che è il breaking, utilizziamolo per imparare a mescolarci tra di noi. Devo imparare a relazionarmi con il bambino, con il vecchio, facendo queste distinzioni si vanno a perdere quelle che potrebbero essere paragonate alle vecchie tradizioni popolari. L'hip-hop può essere una forma di educazione molto forte, quindi perché non applicarlo? Quando c'è il cypher e hai di fronte uno che ha quarantacinque anni, molti si relazionano come se ce ne avesse solo cinque (ride), e qui nasce un problema di comunicazione proprio, perché io ho un codice comunicativo, tu ne hai un altro e non ci capiamo. Principalmente penso questo. Dividere le categorie credo che sia chiudere in piccoli scompartimenti e vedere chi è più figo. Non sono d'accordo. E infatti a Pisa è successo un macello per quanto riguarda questa cosa della divisione.

Puoi raccontarmi nel dettaglio i fatti di Pisa?

A Pisa mi sono molto incazzata. (Che evento era? Mi sembra fosse il Pisa All Battle). Praticamente siamo arrivati a questo evento e c'era un battle open - con in giuria tutti uomini - un b-girl battle e un kidz. Fabio (Takeo) era invitato all'open e noi siamo andati con tutta la crew. Quando ero lì non volevo iscrivermi al b-girl battle perché non solo era diviso per gender, ma non era diviso per età, quindi le b-girl erano ammassate tutte insieme come un carro bestiame. Una roba davvero disorganizzata non gliene poteva fregare di meno delle b-girl! In più, ciliegina sulla torta, chi vinceva l'open aveva un premio di quattrocento euro, le b-girl cento. Io non mi riuscivo a spiegare perché l'ipotesi per me dovesse essere cento euro e per un uomo quattrocento, non per i soldi, ma per principio! L'ho vissuta come un'ingiustizia.

Quindi ho suggerito alle mie amiche che erano lì in quel momento di cancellarsi tutte insieme dal b-girl battle, iscrivendosi tutte all'Open battle - per una volta si è verificata una cosa mai vista in Italia: la solidarietà femminile - però chi ha fatto l'iscrizione all'open ci mise in fondo a tutto. Io non ero soddisfatta. Così, per farla breve, abbiamo deciso di fare un cartello con sopra scritto: LESS THAN A B-BOY? (Valgo meno di un b-boy?), e invece di aspettare il nostro turno e rispondere a chiamata, visto che volevamo dimostrare il nostro dissenso, quando è iniziato il contest abbiamo deciso di invadere lo spazio e rubare l'entrata a chi c'era, ballando e scambiandoci questo cartello davanti alla giuria. Ognuna di noi faceva l'entrata scambiandosi il cartello con quella che veniva dopo e così a rotazione tutte quante. Di tutti i giudici l'unico che ha segnato il punteggio è stato il giudice americano! Fu una cosa vergognosa! Poi mi venne dato il microfono e ho spiegato questa cosa qua, accennando al fatto che le b-girl in Italia non fossero supportate, perché pare che qui gli rode il culo alla gente se una è brava! In America è un valore aggiunto, si litigano le ragazze per farle entrare in crew! Siamo proprio l'antitesi di quello che dovrebbe essere in queste occasioni. Poi,da lì la gara è andata avanti, però ci sono state delle discussioni e gli organizzatori si sono molto arrabbiati, hanno detto che avrei dovuto chiamarli, spiegargli questa cosa al telefono, così loro avrebbero potuto correre prima ai ripari.

La situazione delle b-girl nella scena hip-hop italiana credi sia migliorata nel tempo?

Beh, secondo me vogliono far credere che sia cambiata, però infondo no. Vengono scelte delle persone che in realtà sono i linea con quel concetto lì anche se sono delle donne. Non è un lavoro di comunità, di trasmissione, di legacy, è un lavoro egoistico fin dall'inizio. Questa situazione rimane allo stesso modo di prima, a eccezione di pochi elementi che stanno dentro questo meccanismo e gli sta bene e pensano di aver raggiunto "l'over the top" semplicemente perché magari ti fai due giurie, quando nella mia opinione ci dovrebbe essere una donna a ogni giuria, perché in America più o meno è così. Non può essere il privilegio di due, tre, in Italia le b-girl sono di più, posso farti una lista infinita di ragazze che meritano e non le chiama nessuno semplicemente perché non stanno nel sistema.

Se tu b-girl ti volessi battere per questa cosa, una volta che sei "nel giro delle giurie", dovresti batterti con qualsiasi mezzo possibile inimmaginabile per far sì che ci sia a ogni contest una b-girl in giuria. Non è che non dici niente e accetti questo compromesso di starci sempre e solo tu - ogni tanto - per i cinque minuti di gloria! Dovresti batterti per la comunità! Io questi discorsi li faccio perché l'hip-hop lo vivo come una cosa di comunità, che mi faccio una giuria in più oppure una giuria in meno poco mi importa, mi sono bastate quelle che ho fatto all'IBE, quelle a Los Angeles, con me sono a posto, è più una questione di principio. Per me ci dovrebbe essere una b-girl a ogni giuria.

Ho solo altre due domande prima di concludere. La prima che vorrei farti - anche se in parte mi hai già risposto - è: quali sono secondo te le principali differenze della scena hip-hop di ieri in confronto a quella di oggi?

Il concetto di rispetto che è stato completamente annullato, nel senso che adesso va bene tutto, va bene tutto, va bene qualsiasi cosa, l'importante è che fai il numero. Questo non va bene. Poi l'originalità, che sembrerà strano ma questa continua evoluzione e questa continua ricerca forzata nel fare cose diverse alla fine ha fatto perdere un po' il concetto di originalità. Magari becchi gente che davvero fa otto miliardi di numeri però poi si perde e fai fatica a seguire quello che sta facendo: senza un senso, senza una storia. Queste sono le cose principali che sono cambiate perché poi a livello tecnico, ovviamente, il livello si è alzato in modo esponenziale, a volte anche eccessivo.

Sulla base di tutta la tua esperienza in questo mondo, credi che l'hip-hop sia uno oppure ne esistono tipologie diverse?

Credo che il concetto sia unico e poi ognuno lo applichi in maniera diversa, lo contestualizzi, riuscendolo a sfruttare al meglio. Però credo che sia un concetto unico, io parlo sempre della gente che condivide il mio pensiero, anche se non è il mio pensiero, ma il mio mood, diciamo. Io credo che sia uno, ma non credo che chi abbia un concetto diverso dal mio hip-hop non sia necessariamente hip-hop, o che lo contestualizzi male, c'è un limite però oltre il quale per me non si deve andare.Quindi, si! Ti posso dire che l'hip-hop è uno. Succede però che qualcuno lo trasformi in un modo che non è più hip-hop, okey? Non voglio peccare di presunzione, però ci sono dei limiti che non devono essere oltrepassati. Un po' come la musica. Se sei dentro un certo bpm fai una musica che può essere considerata hip-hop, quando lo aumenti prende un altro nome, fino ad arrivare a cose totalmente diverse. Magari quella persona che applica ciò che in quel momento lui vede come hip-hop, per me potrebbe non esserlo, ma semplicemente perché ognuno di noi ha una sua tara personale. Di base io penso sia unico, si!


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Nona Intervista a Francesca Pallotta aka B.Girl Eka

Intervista dell'autore Jacopo Ferri

Foto di Erik G

Quando hai iniziato a ballare breaking e in quale città?

Faccio questa premessa: con le date sono una frana (ride), ma cercherò di rimettere insieme i pezzi. Ho iniziato a imbastire i primi passi con Crazy e Marco Sala dei Rapid Soul Moves quando ancora vivevo a Pescara, avevo tredici anni. Considera che io abitavo a Pescara, i Rapid Soul Moves stavano a Ortona, oggi fai conto che sono venti minuti di macchina, ma tornando indietro era abbastanza complicato avere una continuità. Crazy veniva a farsi l'estate a Pescara e si allenava sotto i portici. Io tecnicamente mi allenavo da sola, a casa, con un video fatto a Crazy e con delle visite sporadiche a Ortona. A quel tempo - principalmente - la mia attività era skateare. Io andavo sullo skate, facevo le gare e contemporaneamente mi piaceva l'hip-hop come cultura - nello specifico il rap - quindi bazzicavo anche le jam. Da lì nacque l'interesse per la danza.

Quando avevo tredici anni e mezzo, quattordici, d'estate mia madre mi mandò in punizione a Bologna a casa di mia zia che fortunatamente per me abitava sopra l'Isola nel Kantiere - famosissimo centro sociale bolognese - dove all'interno c'era una rampa. Quell'estate ho messo per la prima volta il naso lì dentro, poi sono tornata a Pescara, ma nella prima estate disponibile sono tornata subito a Bologna: per me era il paradiso! Considera che con lo skate a Pescara negli anni '90 non c'era niente! Sono arrivata a Bologna e c'era rampa, graffiti, musica, gente che ti accoglieva! In quel periodo avevano sgomberato l'Isola nel Kantiere, nel frattempo avevano occupato il Pellerossa dove ho ricevuto la stessa accoglienza. Da lì sono entrata a far parte di un gruppo, diciamo così, e tornavo ogni weekend a Bologna che il sabato sera c'era Zona Dopa. Tu negli anni '90 potevi venire a Bologna entrare in un centro sociale e ascoltarti: Koas, Neffa, Deda, per non dirti tutti gli americani che ho visto! Facevo la pendolare praticamente (ride). Questo fino a quando, finito il liceo scientifico, mi sono trasferita a Bologna e da lì ho iniziato effettivamente a ballare. Ho praticamente appeso la tavola al chiodo, l'ho regalata, e ho iniziato ad allenarmi seriamente, avevo circa diciotto, diciannove anni. Ho cominciato qui a Bologna sotto i portici e mi allenavo con moltissimi b-boy.

Quindi, il primo contatto che hai avuto con l'hip-hop è stato direttamente attraverso la scena attiva. Non hai avuto un primo impatto tramite i video o la televisione?

No, no. Considera che io sono cresciuta a Pescara in una città che era divisa così: "i fighetti e gli alternativi", c'era una via in mezzo a queste due piazze giganti in cui c'erano da una parte i fighetti e dall'altra gli alternativi. Io facevo parte - ovviamente - della cricca degli alternativi e comprendeva: skater, punk, tutta la subcultura disponibile all'epoca. Ho iniziato facendo alcuni pezzi anche se proprio non era il mio (ride), io venivo dallo skate sono una persona molto attiva, quindi il ballo per me rappresentava il migliore sfogo. Anche se consideravo lo skate un quinto elemento. All'epoca stavamo tutti insieme non è come adesso che le discipline sono separate e a volte si incontrano; all'epoca c'erano i quattro elementi dell'hip-hop, in più lo skate e poi delle volte il punk hardcore. Nei centri sociali convogliava tutto questo genere di mentalità.

Quando sei arrivata a Bologna hai trovato una scena già avviata. Come era la situazione rispetto a Pescara?

A Bologna c'era un centro sociale in cui - ripeto - aprivi la porta e vedevi: Kaos, Trix, Deda, non si deve aggiungere altro. Erano gli esordi, è vero, però già parliamo di menti che stavano avanti rispetto a quello che era Pescara. Il fatto è che lì a Bologna c'era un posto! Noi anche a Pescara occupavamo i centri sociali, però non erano così "specifici", qui c'era proprio il tempio dell'hip-hop! Il sabato pomeriggio - con il fatto che poi c'era questa serata - tu riconoscevi per strada tutti quelli con il cappellino e sapevi che la sera li avresti rincontrati. La maggior parte della gente io l'ho conosciuta così, per strada.

Sotto il punto di vista del breaking la scena era molto attiva a Bologna?

Se devo essere onesta era quella meno attiva. Quando sono arrivata io a livello di MCing c'era già una situazione importante. A livello di writing c'era già l'SPA che bastonava sopra e sotto per l'Italia, già l'invitavano all'Hip Hop Juice ad Ancona. Onestamente, a livello di b-boying c'era Foglia, i Bolognina Breaker, con Mela, Joker. Quello che faceva la scena del b-boying vera e propria o comunque in generale la scena hip-hop - perché, ti ripeto, trovavi sempre tutti gli elementi - erano quelli esterni. Al di là dell'allenamento, che stavamo in tre, per il resto lo scambio vero era il sabato, quando c'era questa situazione e veniva gente da tutta Italia. Oltre al fatto che c'era il B-boy Event, ovviamente, anche se è arrivato un po' dopo. Ma faceva parte di quei momenti di aggregazione specifici.

C'erano diversi spot di allenamento a Bologna?

Noi vivevamo dentro questi centri sociali, eravamo sempre tutti là. Questi posti erano il Link, gestito principalmente da Soul Boy, e il Livello57, dove all'interno facevano Zona Dopa.

Quando il sabato veniva gente da fuori com'era la reazione da parte della scena? C'era conflittualità, cooperazione?

No, assolutamente, tu non vedevi l'ora Io con la mia crew di ragazze andavo in centro proprio a vedere chi cazzo arrivava (ride), non si vedeva l'ora! C'era un clima di totale accoglienza. Che poi è stato, secondo me, la vera rappresentazione dell'hip-hop, se consideriamo che nasce per aggregare, la cosa figa era che se io e te all'interno della serata ci scambiavamo lo sguardo e non ci eravamo mai visti scattava in automatico il "ciao". E questo avveniva per tutte le discipline. Tu conoscevi tutti i writer, tutti gli MC, tutti i DJ, tutti gli skater, tutti! Era proprio una comunità enorme.

Questo aspetto della cooperazione e della collettività, credi sia qualcosa che è cambiato - nel tempo - all'interno della scena?

Beh, parlando di Bologna - per quello che mi riguarda e per la situazione che abbiamo voluto ricreare noi con Strictly Underground - è un qualcosa che ancora resiste. E lo dico proprio specificatamente legato al fattore economico, nel senso che oggigiorno nessuno va più a suonare senza essere pagato, osannato, senza essere portato come il Cristo in processione. A Bologna ancora ci possiamo prendere il lusso di coinvolgere persone che credono in questi progetti, che hanno voglia di fare questa cosa e mantenerla viva, e quindi ancora resistiamo. Non solo a Bologna, diciamolo, tutte le persone che hanno partecipato a Strictly se venivano da lontano prendevano il rimborso, ma non chiedevano niente di più.

Strictly underground quando è nato?

Saranno cinque, sei, sette anni, forse un po' di più. Ed è nato perché frequentiamo ambienti in Europa dove facciamo questo: ci alleniamo, balliamo, ci confrontiamo, stiamo insieme e mi sembrava allucinante che in Italia, a maggior ragione a Bologna dove io ho vissuto questa cosa, non ci fosse un punto di raduno comune. Strictly Underground è nato chiamando gli amici, e continua a essere così. Tutti quelli che abbiamo chiamato sono persone con cui ci siamo relazionati personalmente, con cui ci siamo scambiati delle parole a livello umano, al di là del ballo.

Sotto il punto di vista delle crew, invece, qual è la tua storia?

In realtà, a parte io e le mie tre sorelle che avevamo fatto quella crew un po' così, non ho molto da raccontare. Io e Fabio eravamo coinquilini, passavamo le serate a guardare video, ad allenarci insieme e così dal nulla abbiamo detto: "perché non ci chiamiamo Wired Monkeys?", morale della favola siccome ci allenavamo sempre all'interno del Link e in quel punto c'erano quattro, cinque, sculture di scimmie giganti, noi volevamo darci un nome che rappresentasse quel posto, e così dunque è nato Wired Monkeys.

Tu fai parte anche di una crew internazionale: No Easy Props, giusto? Puoi raccontarmi l'inizio di questa storia?

Approdo a Los Angeles dopo una brutta litigata con un b-boy a Sacramento, ma non sapevo dove andare. Scrissi a Poe one, che mi diede il numero di Stuntman e lì ebbi una grande dimostrazione di hip-hop da parte sua, da parte di Teknyc, tutta gente che mi ha dato moltissimo supporto. Poi, ovviamente, è arrivata AsiaOne. Mancavano gli ultimi cinque giorni e mi scocciava di chiedere ancora: "rega ci ospitate?", quindi eravamo a un allenamento - tu considera che noi ci eravamo già viste in Svizzera perché Fabio era stato invitato a un evento qualche tempo prima - e quando lei mi vide mi venne incontro e ci disse di andare a stare a casa sua. Così, ci siamo fatti gli ultimi cinque giorni da lei ed è nato l'amore! Da lì sono tornata in Italia e dopo pochi mesi sono ripartita, sono andata da sola. Quando sono tornata in America sono stata da lei e mi chiese di entrare in crew. Ora sono due anni che non la vedo, ci sto malissimo. Di solito ci davamo appuntamento almeno una volta all'anno in Europa per vederci - oltre a Los Angeles, dico - infatti ci siamo viste due volte all'IBE, poi in Francia. Era un'abitudine.

Cosa significa, per te, essere una crew?

Sicuramente l'approccio è a livello sentimentale. Indipendentemente dalla tecnica, indipendentemente dalla forma, è qualcosa di empatico. Dico sentimentale perché se stiamo bene insieme pure se sei quello che si muove peggio di tutti in assoluto - perché comunque è una considerazione che va fatta, inutile che ci prendiamo in giro - l'importante è che nei concetti e nel vivere quotidiano ci sia empatia e condivisone. Ti faccio proprio un esempio pratico: se c'è da traslocare, tutti traslocano. Il sabato sera ci prendiamo tutti la pizza insieme, ci sentiamo tutti i giorni come una famiglia, anche solo così, naturale. Per questo ti dico che parte dall'empatia, non abbiamo mai detto a nessuno: "sei bravo, vieni a ballare con i Wired Monkeys", per farti capire. La stessa cosa vale per No Easy Props. Di base il concetto è di family. Entrambe partono dallo stesso concetto.

Ti porto su un altro argomento che riprende sotto certo aspetti alcune cose di cui abbiamo parlato: il concetto di stile. C'è una frase di Kase 2 che dice: "Devi avere stile se vuoi combattere per lo stile, se non hai stile perché vuoi far parte di un movimento che è interamente basato sullo stile?", basandosi proprio su queste parole, secondo te che cos'è lo stile nel breaking? E perché è così importante nella cultura hip-hop?

Primo perché ti contraddistingue. Quello che facciamo - detta proprio fuori dai denti - se lo estrapoli da tutto e prendi solo il movimento fine a sé stesso, più o meno lo fanno tutti. Se io lo spiego al mio vicino, lo fa! Bene o male, ma lo fa. Tecnicamente questo bene o male io lo traduco in stile. Che poi anche qui, io credo che le foundation abbiamo due, tre, capisaldi razionali, fisici, come la posizione della mano, la posizione dei piedi, per favorire il fatto che il tuo stile sia più fluido. Ci sono delle cose che tecnicamente, non solo a livello visivo, ma anche a livello fisico favoriscono il movimento: perché si parla di equilibri e tutta una serie di robe indispensabili. Il tuo stile, secondo me, è fatto da una buona base di foundation applicata alla tua fisicità, perché poi ognuno di noi è diverso. È inutile che provi a fare i passi di NextOne se non sei NextOne. Lo stile è fondamentale perché l'hip-hop nasce per distinguersi. Se non ti distingui, di fatto non stai facendo hip-hop.

C'è un insieme di caratteristiche che, secondo te, dovrebbe possedere lo stile di un b-boy, o  di una b-girl?

Le prime che mi saltano gli occhi sono: mani e piedi, perché da come li metti implica come sfrutti le tue leve; la musicalità, non tanto per quanto riguarda il prendere i tempi e le battute, ma quanto si vive la canzone in generale; poi il controllo, non solo di quello che fai, ma anche delle altre parti del corpo che in quel momento non stanno facendo il movimento; e infine la pulizia, ovviamente, preferisco uno che fa un giro di sixstep preciso, perfetto, piuttosto di uno che mi fa ducentomila svarioni e alla fine non ho neanche capito come cacchio balla.

Lo stile pensi sia qualcosa di individuale, oppure collettivo? Può esistere lo stile di una crew, o di una città? Nel tuo caso quanto le tue crew e le tue città - perché parliamo sia di Bologna che di Pescara - pensi abbiano modificato la formazione del tuo stile personale?

Allora, a livello di breaking per quanto riguarda Bologna nello specifico - senza dire frasoni, perché non mi va di fare la presuntuosa - lo stile è un po' il nostro. In quanto comunque siamo qui da tanto e tutti quelli che hanno iniziato a ballare seguono un po' la nostra scia. Per quanto riguarda la crew, per forza di cose, allenandoci sempre insieme ci viene un po' il dubbio se questo passo sia mio o tuo. Ma è naturale, ci alleniamo insieme! Quindi viene da sé che si entra dentro questo flusso. È quello che prima ti dicevo: se tu all'inizio - quando vieni a ballare - non hai quell'esatto movimento preciso, quando poi entri nel circuito a un certo punto ti viene naturale muoverti in quel modo lì.

Per quanto riguarda AsiaOne, mi piacerebbe! (ride) Ancora ho da lavorare. Ma ovviamente dipende anche dai contesti. Quando ero a Los Angeles e mi allenavo con gli Skill Methodz, K-Mel, AsiaOne, ero circondata da un contesto naturale incredibile che ti spinge. Io sono abituata a ballare senza chiedere un cazzo a nessuno. Fin dall'inizio, non è che sotto i portici ti insegnavano i passi, tu guardavi e provavi, poi eri fortunato se qualcuno ti rivolgeva lo sguardo e capivi se andava bene o no. A Los Angeles basta che ti siedi e anche se non provi la roba ti entra dentro per osmosi (ride), non so come si dice, ti entra nella pelle. È bellissimo, una cosa meravigliosa.

Lo stile è dinamico, oppure nel tempo si mantiene?

Certe cose ci tengo a mantenerle, perché comunque fanno parte di quella che è la mia storia, alcuni passi, alcuni movimenti mi ricordano il posto dove li ho fatti, dove li ho provati, capito? Mi tengono legata a questa cosa bella che è l'hip-hop. Però mi piace anche l'innovazione. Nell'ultimo periodo, ad esempio, mi sto allenando prevalentemente su cose che già ho perché non ho la calma mentale di potermi concentrare su altro, però mi piace mescolare le due cose.

Credi il tuo stile sia cambiato con il passare dell'età?

Sicuramente si! È normale, come tutte le cose: cambi, maturi! Poi se in meglio o in peggio lo diranno gli altri. Io quando guardo i miei video non mi piaccio mai, non arrivo mai. Mi viene da mettere a posto anche il cacchio di capello che esce fuori, sono una rompicoglioni. Sicuramente con gli anni lo stile è maturato: giustamente curi di più i dettagli, guardi più cose, magari ne tralasci anche altre, però, si! Lo preferisco oggi, forse, è tanto che non guardo dei miei video vecchi, quindi non ti saprei dire.

Tu sei anche insegnante?

Si! Insegno in delle polisportive, o palestre popolari, perché è inutile che vado sotto il portico tanto i genitori oggi non ce li portano. (ride) Poi, io sono una educatrice di strada, tecnicamente lavoro nei CAV - i Centri Anni Verdi - nei quartieri più disagiati di Bologna, in cui faccio lezioni di breaking inserite all'interno di un contesto hip-hop. Ho molti ragazzi tendenti alle violenze, alla droga, non tutti possono diventare ballerini quindi è importante proprio il concetto di hip-hop perché abbraccia questo disagio letteralmente.

Lavoro sia nei CAV che nelle scuole media. Quindi, tecnicamente io la mattina vado lì, ho le mie classi di alunni speciali che come unico elemento in comune hanno il disagio. Invece che fare matematica, geografia e le altre materie, stanno con me un paio d'ore e ballano, fanno i graffiti, cantano, scrivono pezzi. Io li ascolto, gli faccio le torte (ride). Una roba così.

È proprio un lavoro per te?

Si, si. È il mio lavoro.

Sapresti dirmi - sotto il punto di vista del breaking - quali sono gli effetti dell’insegnamento più evidenti su questi ragazzi?

Guarda, io l'esempio migliore che posso portare, che è stato proprio l'apice - tra virgolette - della mia carriera fino a oggi, è un ragazzo che abitava nell'ospedale psichiatrico che ebbe davvero dei risultati ottimi, al punto che hanno scritto una relazione medica ufficiale sulla cosa! L'hip-hop se usato e indirizzato nella maniera giusta, ha il potere di farti venire fuori quello che effettivamente sei. Ripeto che questo ragazzo era ospedalizzato, all'inizio me lo portavano, poi sono dovuta andare io da lui. Davvero, ebbe dei progressi incredibili. È stata principalmente una conquista sul proprio corpo, e poi per quanto riguarda in generale l'autostima.

Ci sono due modi di spiegarlo il breaking, secondo me: uno è basato sulla forza, un altro è basato sugli equilibri. Basato sulla forza non tutti lo possono fare, richiede una certa forza fisica. Basato sugli equilibri, invece, tutti lo possono fare. Di solito quando insegno sfrutto il principio dell'equilibrio. Quando capiscono che questa cosa la possono fare anche loro e dicono: "mi piace, mi viene", è quello poi il risultato finale. Fa sì di poter fare dei piccoli upgrade ogni volta, dandogli sempre maggiore confidenza in loro stessi. Perché come ti viene quella cosa che reputavi difficilissima capisci che nella vita ti può venire tutto.

Sempre sotto il punto di vista dell'insegnamento, tu quanto utilizzi il cypher o la sfida all'interno delle tue lezioni?

Utilizzo solo il cypher, di solito. La sfida la utilizzo principalmente se c'è un problema di base, se due hanno litigato e si vogliono menare - perché loro comunque si punzecchiano e queste cose succedono - in quel caso gli dico che se effettivamente gli vuoi rompere le scatole perché uno ti ha fatto un torto, ti metti là e lo sfidi. Però anche in quel caso sono bandite le offese da quattro soldi. Secondo me, l'hip-hop è ben utilizzato se ben contestualizzato. È un mezzo molto potente. Però, replicare dei cliché come ad esempio: vai a una festa e ti sfidi, perché? Abbiamo litigato? È successo qualcosa? No! Molti dicono: "ti sfido perché ti rispetto", ma non possiamo ballare semplicemente insieme? L’hip-hop nasce per unire. Perché - anche qui - se ci facciamo rientrare la cosa umana, sempre per guardare il quadro più grande, uno che viene e si approccia a te rompendoti i coglioni, quanta voglia hai dopo di andarlo a salutare? Non ti senti un po' un coglione? Dentro il cypher, fuori il cypher, per me è uguale. Sono una persona molto rigida. Devi mantenere una linea di coerenza. Non è che siccome nel mondo hip-hop negli anni '70 si facevano le sfide, o siccome in America si fanno le sfide bisogna ripetere dei cliché. Soprattutto a livello umano, dico. Perché poi, prima di tutto, lo scambio dentro il cypher è uno scambio umano.

Parlando proprio di diversi contesti di pratica vorrei farti alcune domande relative alle differenze tra cypher e contest. Innanzitutto, che cos'è per te il cypher e che cosa rappresenta?

Il cypher è scambio, reciprocità, rispetto - perché c'è modo e modo di fare il cypher - divertimento e soprattutto libertà. Tecnicamente nessuno ti chiama a rapporto, puoi anche stare a bordo cypher tutto il giorno e non entrare mai, in quel momento lì comunque stai imparando, non bisogna per forza entrare e farsi otto mila entrate! Poi se devi sfogare, balla! Ti supportiamo! Però ultimamente c'è questa foga che devi entrare per forza, ma l'hip-hop è anche lasciare spazio agli altri. Sono stata a diverse jam in cui sono andata senza ballare. L'ultima jam ufficiale è stata in Svizzera in cui sono andata che ero incinta di otto mesi e mezzo, fisicamente ero impossibilitata a ballare. Sai quanta gente in Italia mi ha detto: "ma che ci vai a fare?", ma non è che solo quando balli ti vivi l'evento, è tutto! È l'insieme, è l'ambiente! Vedi uno bravo e pensi che non hai imparato niente? Se ragioni così, per me, non sei hip-hop.

Quindi, il cypher rappresenta la libertà di essere tutto questo. Nessuno ti chiama. Tu vai quando vuoi: se ti piace la musica, se ti senti ispirato. È per questo che lo preferisco al contest. Il contest è una rappresentazione di quanto hai (pausa) studiato? È una rappresentazione, neanche una valutazione, perché spesso e volentieri dipende dove lo vai a fare il contest! Ti dico per esperienza personale - e mi fa strano - che a distanza di otto ore di aereo dall’Italia sei considerato un Dio e poi torni a casa e sei niente, ora io mi chiedo: la disciplina è la stessa, la gente è la stessa, io sono la stessa, che cosa succede? Ritornando alla domanda, credo che il contest sia più una dimostrazione.

Come cambia il tuo modo pratico di approcciarti al cypher e al contest?

Quasi per niente. Spesso e volentieri non mi sono mai allenata per il contest. Tutti noi lo facciamo con lo stesso mood del cypher. Quando ci troviamo a dover organizzare per andare a qualche contest valutiamo: uno, il DJ, che è quello che ci fa scegliere se andare o meno; due, la giuria, che è inutile che io vada a fare un contest in cui so già che c'è un giudice che mi reputa che non so ballare. Valutiamo questi due aspetti e se ci piacciono facciamo il contest, altrimenti probabilmente andiamo anche all'evento, ma senza partecipare alla competizione e lì ci ammazziamo di cypher. È capitato molto spesso.


Quanto è importante il controllo del proprio corpo all'interno dello spazio del cypher?

Moltissimo. Tu devi sapere dove stai andando, cosa stai facendo, è importantissimo, altrimenti lasci tutto al caso.

Pensi sia importante per un b-boy sapersi adattare a diverse situazioni come, ad esempio, cypher larghi, cypher stretti, pavimenti in marmo, parquet, e così via?

Assolutamente si. Noi ci alleniamo spesso nel cerchio piccolo, molto piccolo. Primo perché ci piace: ti spinge a dover controllare il tuo corpo sempre di più e non è facile, e poi, puoi essere bravo quanto ti pare, puoi fare i numeri che vuoi, ma se vai a New York e ti ritrovi nel club con la gente che ti sta sopra e devi ballare in un cerchio così e non lo sai fare, vali zero. Non mi piace il fatto di fare questi contest perché comunque c'è tanto spazio! Ho visto gli ultimi contest che hanno fatto della FIDS e davvero lo spazio era immenso! La fisicità è importante in questa cosa, l'hip-hop è fatto di corpi.

Quanto credi che condizioni l’ambiente, in una situazione hip-hop, il fatto di creare uno spazio tra le persone, una maggiore distanza fisica?

Cambia tutto! Non dico l'altro inteso come l’avversario, ma più che altro con la tua crew. Ma che sei matto!? Tu devi farti le gare con la crew che ti spinge dietro, gli devi stare appiccicato! Se vuoi ti racconto l'odore dell'ascella dei miei compagni (ride). Per quanto riguarda il breaking, nei contest, a me non piace andare sotto all'altro, perché lì è proprio rompere il cazzo e la sfida prende un'altra sfaccettatura. Fai le tue cose, lo spazio te lo lascio. Guarda, l'aspetto del contest mi sta sulle palle per un motivo solo: io e te non ci siamo mai visti, ci mettono uno qua e uno di là e automaticamente ci dobbiamo insultare perché è contest, poi finito il contest ci dobbiamo battere il cinque. Io sono confusa. Ci odiamo, o ci amiamo? Se non ci conosciamo perché ci dobbiamo approcciare con un mood negativo? E questo è stato il nostro "problema" - se vogliamo chiamarlo così - all'interno della scena italiana, perché la gente si approccia così! Per me non ha senso, l'hip-hop va contestualizzato! Siamo nel 2021, siamo esseri umani, se tu fai una cosa bella io ti batto le mani perché in quel momento mi stai dando una mano anche a me, capito?

Come ultimo argomento ti vorrei chiedere: in base a tutta la tua esperienza nel mondo dell'hip-hop, credi che nel breaking ci sia differenza di genere?

Allora, secondo me, il fatto che io sia una b-girl fa sì che per forza di cose il mio fisico sia diverso dal tuo, okey? Quindi non c'è un modo specifico stabilito secondo cui una b-girl debba muoversi. Io credo che una donna debba esprimere la sua femminilità nel modo migliore anche nel breaking. Non saprei dirti nessun atteggiamento specifico, non ce n'è bisogno. Ecco, se una b-girl emula i movimenti di un uomo, semplicemente perché sono ritenuti più "validi", credo sia sbagliato. Ci sono delle b-girl che quando ballano poi si cambiano e hanno anche la loro versione femminile, ma per me il massimo della femminilità è la treccia (ride). Ma io con il cappellino posso essere femminile, come tu con il cappellino puoi essere maschile, sono altri i dettagli che fanno la differenza. Questo a livello di breaking, naturalmente. Non voglio darti un cliché! La differenza non c'è.

Pensi che nel mondo del breaking e dell'hip-hop, in generale, ci sia sessismo e discriminazione? Qual è la situazione in Italia?

Si, sicuramente non si gioca ad armi pari. Purtroppo ci sono delle differenze a livello territoriale, diciamo così. In alcuni posti come l'America, se vogliamo fare il quadro di oggi, ci sono delle b-girl, delle MC, c'è una scena femminile fortemente riconosciuta, fortemente supportata e fortemente ringraziata per quello che ha fatto in questa storia. Questa è una roba che io ho vissuto in primis sulla mia pelle. Per quanto riguarda l'Italia non è solo una questione di genere, credo qui ci sia proprio un deficit nella scena a livello di gratitudine. Cioè, inizi l'altro ieri, dopodomani sei già arrivato e tutti quelli che c'erano prima di te è come se non esistessero. Si tende a farla diventare una cosa prettamente personale, egoistica, questo fa sì che si crei una separazione all'interno. È un problema italiano che non si lega unicamente alla questione di genere, è ovvio che se vai a stringere l'imbuto qualcuno in particolare ci rimette. Quando ho iniziato a ballare a Bologna c’ero solo io. (ride) Adesso ce ne sono (pausa) cinque, sei? (A Bologna? Si) Non stiamo parlando di grandi numeri. È una cosa che non è legata molto al genere, è proprio la scena italiana che riconosce solamente quelli che meglio si vendono. Mi sembrano tutti allodole e chi ha lo specchietto più luccicante viene osannato. Sembra che la gente non vede, non ci pensa, non mette insieme i puntini della storia. L'abbiamo vissuto noi sulla nostra pelle, con gente che negava perfino l’evidenza, pur di non ammettere che chi tanto è idolatrato in questo cazzo di paese tutto quel lavoro per la scena non l'ha fatto! Si, c'è discriminazione di genere, soprattutto in Italia.

Pensi che l’essere donna abbia influito sulla tua storia all'interno del mondo hip-hop?

Moltissimo.

Puoi farmi qualche esempio?

Certo. Soprattutto in modo negativo. Negativo nel senso soprattutto per quanto riguarda le discussioni, le litigate gratuite a cui sei sottoposto semplicemente perché hai deciso di ballare in quel modo lì, di pensare in quel modo lì. Il fatto che io fossi donna, qualcuno non l'ha proprio digerito, e tuttora non riesce a digerirlo. Quante persone non accettano il fatto che UNA pensa una cosa, te la dice in faccia esattamente come fosse il tuo amico al bar. Che problema c'è? Certe volte siamo arrivati anche alle mani per cose così! Ha influito molto il mio essere donna nella scena.

Tu come vedi la divisone di categorie all'interno dei contest?

Per me è una cagata. Ma che hanno fatto le gabbie? È proprio l’anti-hip-hop, questo è l’anti-hip-hop! Siamo nati per stare tutti insieme e devo sapermi relazionare con il vecchio così come con il bambino, la società è così! L'hip-hop - ti ripeto, ben applicato - potrebbe salvare il mondo, okey? Perché di fatto la società è così: tutte persone variegate che la pensano in maniera diversa che trovano una formula per andare d'accordo. In questo caso restringiamo ancora il cerchio, abbiamo tutti un elemento in comune che è il breaking, utilizziamolo per imparare a mescolarci tra di noi. Devo imparare a relazionarmi con il bambino, con il vecchio, facendo queste distinzioni si vanno a perdere quelle che potrebbero essere paragonate alle vecchie tradizioni popolari. L'hip-hop può essere una forma di educazione molto forte, quindi perché non applicarlo? Quando c'è il cypher e hai di fronte uno che ha quarantacinque anni, molti si relazionano come se ce ne avesse solo cinque (ride), e qui nasce un problema di comunicazione proprio, perché io ho un codice comunicativo, tu ne hai un altro e non ci capiamo. Principalmente penso questo. Dividere le categorie credo che sia chiudere in piccoli scompartimenti e vedere chi è più figo. Non sono d'accordo. E infatti a Pisa è successo un macello per quanto riguarda questa cosa della divisione.

Puoi raccontarmi nel dettaglio i fatti di Pisa?

A Pisa mi sono molto incazzata. (Che evento era? Mi sembra fosse il Pisa All Battle). Praticamente siamo arrivati a questo evento e c'era un battle open - con in giuria tutti uomini - un b-girl battle e un kidz. Fabio (Takeo) era invitato all'open e noi siamo andati con tutta la crew. Quando ero lì non volevo iscrivermi al b-girl battle perché non solo era diviso per gender, ma non era diviso per età, quindi le b-girl erano ammassate tutte insieme come un carro bestiame. Una roba davvero disorganizzata non gliene poteva fregare di meno delle b-girl! In più, ciliegina sulla torta, chi vinceva l'open aveva un premio di quattrocento euro, le b-girl cento. Io non mi riuscivo a spiegare perché l'ipotesi per me dovesse essere cento euro e per un uomo quattrocento, non per i soldi, ma per principio! L'ho vissuta come un'ingiustizia.

Quindi ho suggerito alle mie amiche che erano lì in quel momento di cancellarsi tutte insieme dal b-girl battle, iscrivendosi tutte all'Open battle - per una volta si è verificata una cosa mai vista in Italia: la solidarietà femminile - però chi ha fatto l'iscrizione all'open ci mise in fondo a tutto. Io non ero soddisfatta. Così, per farla breve, abbiamo deciso di fare un cartello con sopra scritto: LESS THAN A B-BOY? (Valgo meno di un b-boy?), e invece di aspettare il nostro turno e rispondere a chiamata, visto che volevamo dimostrare il nostro dissenso, quando è iniziato il contest abbiamo deciso di invadere lo spazio e rubare l'entrata a chi c'era, ballando e scambiandoci questo cartello davanti alla giuria. Ognuna di noi faceva l'entrata scambiandosi il cartello con quella che veniva dopo e così a rotazione tutte quante. Di tutti i giudici l'unico che ha segnato il punteggio è stato il giudice americano! Fu una cosa vergognosa! Poi mi venne dato il microfono e ho spiegato questa cosa qua, accennando al fatto che le b-girl in Italia non fossero supportate, perché pare che qui gli rode il culo alla gente se una è brava! In America è un valore aggiunto, si litigano le ragazze per farle entrare in crew! Siamo proprio l'antitesi di quello che dovrebbe essere in queste occasioni. Poi,da lì la gara è andata avanti, però ci sono state delle discussioni e gli organizzatori si sono molto arrabbiati, hanno detto che avrei dovuto chiamarli, spiegargli questa cosa al telefono, così loro avrebbero potuto correre prima ai ripari.

La situazione delle b-girl nella scena hip-hop italiana credi sia migliorata nel tempo?

Beh, secondo me vogliono far credere che sia cambiata, però infondo no. Vengono scelte delle persone che in realtà sono i linea con quel concetto lì anche se sono delle donne. Non è un lavoro di comunità, di trasmissione, di legacy, è un lavoro egoistico fin dall'inizio. Questa situazione rimane allo stesso modo di prima, a eccezione di pochi elementi che stanno dentro questo meccanismo e gli sta bene e pensano di aver raggiunto "l'over the top" semplicemente perché magari ti fai due giurie, quando nella mia opinione ci dovrebbe essere una donna a ogni giuria, perché in America più o meno è così. Non può essere il privilegio di due, tre, in Italia le b-girl sono di più, posso farti una lista infinita di ragazze che meritano e non le chiama nessuno semplicemente perché non stanno nel sistema.

Se tu b-girl ti volessi battere per questa cosa, una volta che sei "nel giro delle giurie", dovresti batterti con qualsiasi mezzo possibile inimmaginabile per far sì che ci sia a ogni contest una b-girl in giuria. Non è che non dici niente e accetti questo compromesso di starci sempre e solo tu - ogni tanto - per i cinque minuti di gloria! Dovresti batterti per la comunità! Io questi discorsi li faccio perché l'hip-hop lo vivo come una cosa di comunità, che mi faccio una giuria in più oppure una giuria in meno poco mi importa, mi sono bastate quelle che ho fatto all'IBE, quelle a Los Angeles, con me sono a posto, è più una questione di principio. Per me ci dovrebbe essere una b-girl a ogni giuria.

Ho solo altre due domande prima di concludere. La prima che vorrei farti - anche se in parte mi hai già risposto - è: quali sono secondo te le principali differenze della scena hip-hop di ieri in confronto a quella di oggi?

Il concetto di rispetto che è stato completamente annullato, nel senso che adesso va bene tutto, va bene tutto, va bene qualsiasi cosa, l'importante è che fai il numero. Questo non va bene. Poi l'originalità, che sembrerà strano ma questa continua evoluzione e questa continua ricerca forzata nel fare cose diverse alla fine ha fatto perdere un po' il concetto di originalità. Magari becchi gente che davvero fa otto miliardi di numeri però poi si perde e fai fatica a seguire quello che sta facendo: senza un senso, senza una storia. Queste sono le cose principali che sono cambiate perché poi a livello tecnico, ovviamente, il livello si è alzato in modo esponenziale, a volte anche eccessivo.

Sulla base di tutta la tua esperienza in questo mondo, credi che l'hip-hop sia uno oppure ne esistono tipologie diverse?

Credo che il concetto sia unico e poi ognuno lo applichi in maniera diversa, lo contestualizzi, riuscendolo a sfruttare al meglio. Però credo che sia un concetto unico, io parlo sempre della gente che condivide il mio pensiero, anche se non è il mio pensiero, ma il mio mood, diciamo. Io credo che sia uno, ma non credo che chi abbia un concetto diverso dal mio hip-hop non sia necessariamente hip-hop, o che lo contestualizzi male, c'è un limite però oltre il quale per me non si deve andare.Quindi, si! Ti posso dire che l'hip-hop è uno. Succede però che qualcuno lo trasformi in un modo che non è più hip-hop, okey? Non voglio peccare di presunzione, però ci sono dei limiti che non devono essere oltrepassati. Un po' come la musica. Se sei dentro un certo bpm fai una musica che può essere considerata hip-hop, quando lo aumenti prende un altro nome, fino ad arrivare a cose totalmente diverse. Magari quella persona che applica ciò che in quel momento lui vede come hip-hop, per me potrebbe non esserlo, ma semplicemente perché ognuno di noi ha una sua tara personale. Di base io penso sia unico, si!